Pensioni, All'ex coniuge non spetta la reversibilità se l'assegno divorzile è stato liquidato in unica soluzione

Vittorio Spinelli Mercoledì, 26 Settembre 2018
La Corte di Cassazione a Sezioni unite precisa i contorni dell'erogazione della pensione di reversibilità in favore dell'ex coniuge superstite. La prestazione previdenziale non spetta se è stato liquidato l'assegno divorzile in un'unica soluzione.
La liquidazione dell'assegno divorzile in un'unica soluzione preclude la corresponsione della pensione di reversibilità in caso di morte dell'ex coniuge. Lo precisa la Corte di Cassazione con la sentenza a Sezione Unite numero 22434 del 24 Settembre 2018, sottolineando che il diritto all'assegno previdenziale necessita la fruizione dell'assegno di divorzio al momento del decesso dell'ex coniuge.

La questione riguardava un ricorso presentato dall'ex moglie di un pensionato defunto che aveva chiesto all'Inps la liquidazione della pensione di reversibilità in occasione della morte dell'ex coniuge. L'ex moglie invocava, in particolare, la disposizione di cui all'art. 9, comma 3, della legge n. 898 del 1 dicembre 1970 (come sostituito dall’art. 13 della legge n. 74 del 6 marzo 1987) che riconosce al coniuge nei confronti del quale sia stata pronunciata la sentenza di scioglimento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili e che sia titolare dell’assegno di cui all’art. 5 della legge n. 898/1970 il concorso sulla pensione di reversibilità, tenuto conto della durata del rapporto. La Corte di appello aveva negato il diritto alla pensione per l'ex moglie ritenendo che il requisito della titolarità dell’assegno divorzile dovesse essere attuale e cioè che al momento del sorgere del diritto alla pensione di reversibilità dovesse essere in atto una prestazione periodica in favore dell’ex coniuge.

Contro la decisione della Corte d'Appello la moglie ha, quindi, proposto ricorso per Cassazione. Secondo la ricorrente, la titolarità dell’assegno di cui all’art. 9, comma 3, della legge n. 898/1970 va intesa come accertamento del diritto all’assegno a prescindere dalle modalità della sua corresponsione che ben possono consistere in una dazione in unica soluzione piuttosto che in una attribuzione periodica. In altri termini il requisito della titolarità dell’assegno altro non è se non l'attestazione della qualità di coniuge economicamente debole, vissuta nel matrimonio ormai sciolto, con la conseguenza che negare il riconoscimento al concorso sulla pensione di reversibilità significherebbe negare al coniuge divorziato economicamente debole i suoi diritti previdenziali.

La decisione

La prima sezione della Cassazione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite rilevando un contrasto tra gli orientamenti di legittimità. In particolare, se da un lato la sentenza 159 del 1998 a Sezione Unite aveva sottolineato la natura previdenziale del diritto alla reversibilità, successive sentenze della sezione lavoro (26168/2015 e 9054/2016), pur riconoscendo la natura previdenziale, avevano escluso il diritto del coniuge divorziato alla reversibilità ove l'assegno divorzile fosse stato erogato in un'unica soluzione. Per sciogliere il nodo le sezioni unite evidenziano innanzitutto che la decisione del 1998 è da ritenersi almeno in parte superata dalla successiva giurisprudenza partire dalla sentenza 419/1999 della Corte costituzionale. In tale occasione era stato superato il fondamento della reversibilità nell'apporto «alla formazione del patrimonio comune e a quello dell'altro coniuge e nelle aspettative formatesi durante e per effetto del matrimonio» facendolo piuttosto coincidere con il venir meno del sostegno economico garantito all'ex coniuge con l'assegno divorzile.

La Corte ribadisce la centralità e l'attualità di questo orientamento negando, pertanto, la configurazione di un diritto autonomo alla pensione di reversibilità in occasione della morte dell'ex-coniuge. I giudici spiegano, infatti, che "se la finalità del legislatore è quella di sovvenire a una situazione di deficit economico derivante dalla morte dell’avente diritto alla pensione, l’indice per riconoscere l’operatività in concreto di tale finalità è quello della attualità della contribuzione economica venuta a mancare; attualità che si presume per il coniuge superstite e che non può essere attestata che dalla titolarità dell’assegno, intesa come fruizione attuale di una somma periodicamente versata all’ex coniuge come contributo al suo mantenimento". 

Il ragionamento della Corte è, quindi, nel senso di riconoscere la prestazione di reversibilità all'ex-coniuge solo nel caso in cui al momento del decesso il defunto contribuisse al suo sostentamento. Venendo meno, in occasione della morte, il trasferimento monetario, è tale situazione ad essere meritevole di tutela. Nel momento in cui l'assegno divorzile non spetta al momento della morte difetta quel requisito funzionale del trattamento di reversibilità che è dato dal presupposto solidaristico finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell’ex coniuge.

Il principio affermato dalle SSUU

In conclusione della decisione la Corte ha affermato, pertanto, il principio secondo il quale ai fini del riconoscimento della pensione di riversibilità, in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, "la titolarità dell’assegno divorzile, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell’assegno divorzile, al momento della morte dell’ex coniuge, e non già come titolarità astratta del diritto all’assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un’unica soluzione."

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