Pensioni D'oro, Ecco gli assegni nel mirino di Di Maio

Valerio Damiani Domenica, 24 Giugno 2018
Il Ministro del Lavoro ha ribadito la volontà di intervenire sugli assegni superiori a 5mila euro netti al mese (non giustificati dai contributi versati).
Il Ministro del Lavoro, Luigi di Maio, lancia la sfida alle pensioni d'oro. "Vogliamo finalmente abolire le pensioni d'oro che per legge avranno un tetto di 4.000/5.000 euro per tutti quelli che non hanno versato una quota di contributi che dia diritto a un importo così alto. E cambiano le cose in meglio anche per chi prende la pensione minima, perché grazie al miliardo che risparmieremo potremo aumentare le pensioni minime", ha detto ieri il Ministro sul suo profilo Facebook.

Di Maio definisce le pensioni d'oro finanziate da "tutta la collettività" uno "sfregio a quei tre milioni di italiani che non hanno neppure i soldi per fare la spesa, perché sono stati abbandonati dalle istituzioni. Sia chiaro: chi si merita pensioni alte per avere versato i giusti contributi ne ha tutto il diritto, ma quest'estate per i nababbi a spese dello Stato sarà diversa". Il merito alla tempistica del provvedimento, Di Maio scrive che "quest'estate non ci sono i mondiali, ma presto avremo qualcosa da festeggiare: la fine delle pensioni d'oro e l'inizio di un'Italia più giusta."

In attesa di comprendere cosa il Governo voglia realmente fare nel mirino ci sarebbero soprattutto ex dirigenti pensionati a carico dei fondi speciali dell'Inps (ex elettrici, ex telefonici, ex inpdai) e alte cariche dello Stato (es. magistrati, prefetti, diplomatici, avvocati dello stato eccetera) che hanno maturato l'intera parte dell'assegno (o gran parte di esso) con le regole di calcolo retributive riuscendo con gli ultimi scatti stipendiali ad ottenere un forte incremento della pensione. Il sistema retributivo consentiva, infatti, soprattutto per gli assicurati alla gestione pubblica e alle gestioni sostitutive dell'assicurazione generale obbligatoria di agganciare l'assegno all'ultimo valore stipendiale senza, peraltro, poter applicare alcun abbattimento della retribuzione pensionabile anche in corrispondenza di importanti cifre. A differenza di quanto dell'assicurazione comune che prevede una sistema di riduzione delle aliquote di rendimento al crescere della retribuzione.

Un sistema fortemente iniquo a cui il legislatore ha progressivamente posto rimedio solo a partire dalle Riforme degli anni '90 con la Riforma Amato del 1992, la Riforma Dini del 1995 e la finanziaria del 1998 ma che non ha potuto risolvere in via retroattiva per i vincoli di costituzionalità. Accadeva così che un assicurato nelle gestioni speciali che nell'ultimo anno o negli ultimi due avesse percepito uno stipendio di 200.000 euro già con soli 20 anni di contributi poteva agguantare una pensione di 80/90.000 euro annui anche ad un'età di 60 anni. E che saliva a 120.000 euro con 30 anni circa di anzianità. Cifre incredibili se confrontate con i magri rendimenti offerti oggi dal contributivo. Sono questi i primi pensionati che entreranno nel mirino di Di Maio a condizione che l'assegno splafoni il valore di circa 8/8.500 euro lordi al mese. Non rischiano nulla i pensionati che hanno liquidata una pensione interamente con il sistema contributivo nei confronti dei quali c'è, quindi, piena giustificazione tra importo erogato e contribuzione versata.

Già nel 2015 il Presidente dell'Inps, Tito Boeri, mostrò in alcuni approfondimenti gli effetti di un ricalcolo degli assegni elevati in chiave contributiva indicando riduzioni medie intorno al 20%. A parte i vincoli di costituzionalità tutt'altro che semplici da superare è certo che l'esecutivo dovrà superare una serie di difficoltà tecniche già in passato evidenziate dagli stessi esperti dell'Inps che avevano problemi nel ricostruire la carriera lavorativa e le retribuzioni percepite prima del 1993. 

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