Quando l'amministratore di una società di capitali può essere anche dipendente

Nicola Colapinto Venerdì, 20 Settembre 2019
I chiarimenti in un documento dell'Inps con il quale l'ente previdenziale si adegua al prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità. 
L'Inps cambia orientamento circa la possibilità di configurare un rapporto di lavoro dipendente tra l'amministratore di una società di capitali (Spa o Srl) e la società stessa. Il messaggio Inps numero 3359/2019 pubblicato l'altro giorno supera, dopo un copioso contenzioso legale,  il divieto di coesistenza per la stessa persona, dei due rapporti di amministratore di società di capitali e di lavoro subordinato con la stessa società.

Si tratta di una novità importante che recepisce, a distanza di anni, l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità secondo il quale non è possibile escludere a priori (come invece faceva l'Inps) che tra i presidenti, gli amministratori unici e i consiglieri delegati di società di capitali e la stessa società possa ricorrere un valido rapporto di lavoro dipendente. Secondo la giurisprudenza, infatti, “l’essere organo di una persona giuridica di per sé non osta alla possibilità di configurare tra la persona giuridica stessa ed il suddetto organo un rapporto di lavoro subordinato, quando in tale rapporto sussistano le caratteristiche dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione dell’ente” (cfr. le sentenze n. 18476/2014 e n. 24972/2013).

Quando il lavoro subordinato è cumulabile

Nel mutato contesto legale l'Inps, pertanto, si adegua correggendo le precedenti istruzioni fornite con la Circolare 179/1989 (temperate, peraltro, solo recemente con riferimento ai Presidenti delle Cooperative; cfr messaggio 12441/2011). Secondo l'ente previdenziale la carica di presidente del consiglio di amministrazione al pari di qualsiasi altro consigliere, non è da ritenersi incompatibile con lo status di dipendente, poiché la persona (il presidente e/o consigliere) è soggetta a direttive, decisioni e controllo dell'organo collegiale. Tale affermazione non è neppure contraddetta dall’eventuale conferimento del potere di rappresentanza al presidente, atteso che tale delega non estende automaticamente allo stesso i diversi poteri deliberativi. Anche l'amministratore delegato può essere dipendente della società, a condizione che questi non abbia la  delega ad agire senza consenso del cda; se la delega è limitata al solo potere di rappresentanza o a specifiche deleghe è invece possibile l'instaurazione di un rapporto subordinato genuino.

Con riferimento al tipo di lavoro dipendente rivestito l'Inps rende possibile anche un l'assunzione di un rapporto di tipo dirigenziale qualora, tra l'altro, l'assunzione sia avvenuta con tale qualifica; ci sia stato il conferimento della carica di direttore generale da parte dell'organo amministrativo nel suo complesso; ci sia svolgimento effettivo delle relative mansioni.

La possibilità di attivare un rapporto di lavoro dipendente è astrattamente possibile anche nei confronti del socio di società di capitali che abbia l’incarico di amministratore fermo restando l'accertamento dei criteri sopra esposti.

Quando il lavoro subordinato non è cumulabile

La possibilità di cumulare i due ruoli va invece esclusa per l'amministratore unico di società: in questo caso, infatti, l'amministratore è detentore del potere di esprimere da solo la volontà propria dell’ente sociale, come anche i poteri di controllo, di comando e di disciplina. Stesso discorso vale per il socio unico, anche se di fatto: la concentrazione della proprietà delle azioni nelle mani di una sola persona esclude – nonostante l’esistenza della società come distinto soggetto giuridico – l’effettiva soggezione del socio unico alle direttive di un organo societario.

Oneri probatori

Nei casi in cui il cumulo sia astrattamente possibile Inps spiega che per la qualificazione del rapporto come dipendente dovrà accertarsi in concreto l’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico e che tali attività siano contraddistinte dai caratteri tipici della subordinazione (verificando, a quest'ultimo fine, gli elementi sintomatici della presenza della subordinazione quali la periodicità e la predeterminazione della retribuzione, l’osservanza di un orario contrattuale di lavoro eccetera).

In definitiva ai fini della valutazione della compatibilità dello status di amministratore di società di capitali occorrerà l'accertamento di tre condizioni:

1) che il potere deliberativo (come regolato dall’atto costitutivo e dallo statuto), diretto a formare la volontà dell’ente, sia affidato all’organo (collegiale) di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale il quale esplichi un potere esterno;

2) che sia fornita la rigorosa prova della sussistenza del vincolo della subordinazione (anche, eventualmente, nella forma attenuata del lavoro dirigenziale) e cioè dell’assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale, all’effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale a cui appartiene;

3) che il soggetto svolga, in concreto, mansioni estranee al rapporto organico con la società; in particolare, deve trattarsi di attività che esulino e che pertanto non siano ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite.

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Documenti: Messaggio Inps 3359/2019; Circolare Inps 179/1989; Messaggio Inps 12441/2011

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