Come noto dal punto di vista pratico, l’adeguamento alla variazione dei prezzi viene effettuato in due fasi. Nella prima si adotta un valore provvisorio sulla base della variazione dell’indice di riferimento nei primi 9 mesi dell’anno che ha valore per l'anno successivo e, contestualmente, si fissa quella definitiva per l'anno in corso. Se il valore tra quello provvisorio e definitivo è diverso si effettua il conguaglio il primo gennaio dell'anno. Così, con decreto ministeriale, nel mese di novembre 2015 è stato deciso di adottare una rivalutazione provvisoria pari a zero da applicare agli importi in pagamento dal 2016 (perché la rivalutazione ha sempre effetto sull’anno successivo a quella su cui è calcolata). Questa rivalutazione è stata confermata nel decreto appena pubblicato e, pertanto, non si dovrà operare alcuna operazione di conguaglio sugli importi dei trattamenti pensionistici il 1° gennaio 2017.
Conguaglio negativo una tantum
Il tasso di inflazione pari a zero manda però all'aria i piani del Governo che aveva spostato proprio al 2017, confidando in una ripresa dell'inflazione, il recupero della maggiore indicizzazione concessa nel 2014. Come si ricorderà l'articolo 1, co. 288 della legge 208/2015 aveva stabilito il rinvio di un anno del conguaglio negativo che si sarebbe dovuto applicare sulla pensione lo scorso 1° gennaio 2016. Infatti per il 2014 è stato adottato un indice di rivalutazione provvisorio dello 0,3%, mentre quello definitivo è risultato dello 0,2 per cento. Di conseguenza il 1° gennaio 2016 sarebbe dovuto scattare il recupero pari a 0,1 punti percentuali moltiplicato per le tredici mensilità erogate nel corso del 2015. Si tratta di importi contenuti: tra 16 e 20 euro per chi incassa pensioni lorde mensili che oscillano tra 1.400 e 3.000 euro. Salvo ulteriori interventi normativi che spostino di un altro anno il recupero, a gennaio 2017 gli importi subiranno quindi comunque una decurtazione una tantum.
I tassi sono però negativi
Il rallentamento dell’economia che si protrae da alcuni anni sta mettendo comunque in crisi le pensioni. L’anno scorso il governo ha dovuto tamponare con il Dl 65/2015 l’effetto dell’oscillazione negativa del Pil quinquennale, a cui è collegata la rivalutazione dei contributi previdenziali accantonati nel sistema contributivo ed anche il pericolo che una svalutazione dei prezzi al consumo avesse ridotto l'importo delle pensioni, circostanza registratasi per la prima volta lo scorso anno (-0,1%) e ancora una volta nei primi nove mesi del 2016 (-0,1%). Anche in questo caso il legislatore è dovuto intervenire con una norma ad hoc, l'articolo 1, comma 287 della legge 208/2015 che ne impedisce, opportunamente, la svalutazione.
Non ci sono novità, invece, per quanto riguarda le fasce di perequazione delle pensioni. Restano confermati, anche per il prossimo anno, gli indici perequativi previsti dall'articolo 1, co. 483 della legge 147/2013 che garantiscono l'adeguamento pieno delle pensioni fino a 3 volte il trattamento minimo; al 95% per quelli da tre a quattro volte il minimo; al 75% per quelli da quattro volte a cinque volte il minimo; al 50% per quelli da cinque a sei volte il minimo e al 45% per i trattamenti complessivi superiori a 6 volte il trattamento minimo. Perequazione che avviene sull'intero importo della pensione e non più, come disponeva la legge 388/2000, sulle singole fasce determinando così un ulteriore nocumento sulla pensione. Essendo l'inflazione pari a zero gli indici in questione risultano praticamente inefficaci. Qui ulteriori dettagli sul funzionamento della perequazione delle pensioni.
Documenti: Il decreto 17 Novembre 2016 del Ministero dell'Economia