Pensioni

Pensioni

Il Gruppo Sel presenta una proposta di legge alla Camera per tutelare i lavoratori che assistono da oltre dieci anni familiari disabili con oltre il 100% di invalidità.

Kamsin Introdurre, per il triennio 2015-2017, in via sperimentale la possibilità di accedere alla pensione con 60 anni e 20 anni di contributi per i lavoratori sia del settore privato che del settore pubblico che si sono dedicati ad assistere in via continuativa un familiare disabile al 100% per almeno dieci anni. E' quanto prevede il ddl 2918 (vai al testo del disegno di legge) a firma dei deputati Melilla e Nicchi di Sinistra Ecologia e Libertà depositato ieri in Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati.

Tra gli obiettivi del ddl c'è l'introduzione di un'apposita tutela previdenziale per quei lavoratori che si prendono cura 24 ore su 24 di un familiare gravemente disabile, i cosiddetti caregiver, una figura che - fanno notare i firmatari - non è adeguatamente ricompensata e riconosciuta nonostante rappresenti un tassello fondamentale nel tessuto sociale dell'intera comunità. Del resto - ricordano da Sel - oltre agli oneri psicologici di chi sostiene l'onere della cura di un disabile, si aggiunge, molto spesso, anche la difficoltà economica derivante dall'esigenza di dover provvedere con propri mezzi alla copertura della spesa per l'aiuto di persone esterne al nucleo familiare, laddove i servizi socio-assistenziali non riescono a coprire in toto le pressanti esigenze richieste dal caso specifico. Per i motivi esposti - concludono i promotori del provvedimento - non è pertanto più eludibile introdurre nel nostro sistema giuridico alcune nuove disposizioni che consentano il pensionamento anticipato per coloro che assistono familiari gravemente disabili, aventi cioè una invalidità non inferiore al 100 per cento, con necessità, quindi, di assistenza continua poiché non in grado di compiere i normali atti quotidiani della vita.

Nel ddl si precisa, inoltre, che il diritto al pensionamento anticipato può essere goduto da un solo familiare (coniuge, persona stabilmente convivente, genitore, fratello, sorella o figlio) che abbia convissuto con la persona per almeno dieci anni per ciascuna persona disabile presente all'interno del nucleo familiare. Il beneficio, inoltre, sarebbe riconosciuto a condizione che il familiare disabile non sia stato ricoverato a tempo pieno in modo continuativo in un istituto specializzato, nei dieci anni, ovvero non risulti stabilmente ricoverato a tempo pieno, alla data di entrata in vigore della presente disposizione, in un istituto specializzato. Le coperture, pari a circa 750 milioni di euro sino al 2023, sono individuate ricorrendo ad un aumento dell'accisa su birra, prodotti alcolici intermedi e alcool etilico. 

seguifb

Zedde

La Gnecchi sottolinea come sia indispensabile un "intervento strutturale sulla Gestione Separata che riconduca il livello contributivo di questi lavoratori a quanto previsto per la generalità dei lavoratori autonomi".

Kamsin Allineare le aliquote contributive della Gestione Separata a quelle vigenti nelle gestione artigiani e commerciati; eliminare la doppia contribuzione nella Fondazione Enasarco per gli agenti di commercio; rivedere le tutele riguardanti la malattia, la maternità e politiche di sostegno al reddito;  salvaguardare la contribuzione già versata alla gestione separata INPS in caso di conversione dei contratti atipici in contratti di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.

Sono questi i contenuti di tre risoluzioni che intendono impegnare il Governo a tutelare maggiormente il lavoro autonomo discusse ieri presso la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati. Le risoluzioni, che sono state depositate dal M5S, dal Partito Democratico e dalla Lega nord, saranno la base per l'adozione di un testo unificato che sarà poi votato dalla Commissione.

Particolarmente duro il giudizio sulla normativa attuale accusata dalla Commissione di penalizzare chi intraprende un'attività di lavoro autonomo. "Negli ultimi due decenni - ha osservato la Gnecchi - in conseguenza delle profonde trasformazioni che hanno caratterizzato il sistema produttivo italiano, la composizione della forza lavoro ha vissuto una radicale mutazione, con un peso sempre più significativo dei lavoratori che svolgono la loro attività in forma autonoma. Sussistono però - ricordano dalla Commissione - ancora troppe differenze tra le tutele previste per i lavoratori dipendenti e quelle per i lavoratori autonomi, nonostante vi sia stato qualche miglioramento negli ultimi anni".

Tre sono gli interventi richiesti quindi al Governo. In primis una modifica strutturale che riconduca il livello contributivo dei professionisti senza cassa, iscritti alla gestione separata, a quanto previsto per la generalità dei lavoratori autonomi. Aliquote dunque piu' basse allineate intorno al 23-24% contro il 27% attualmente previsto. In secondo luogo la Commissione chiede che in caso di patologie gravi e di conseguente sospensione dell'attività sia rivisto l'obbligo del versare acconti e saldi di imposte e contributi sulla base di imponibili che la patologia non permette oggettivamente di produrre: la richiesta è almeno di consentire, in situazioni di conclamata e prolungata impossibilità di produrre reddito, la rateizzazione dei tributi dovuti. 

Nei testi delle risoluzioni viene anche formulato l'invito al Governo a prevedere opportune misure che salvaguardino la contribuzione già versata alla gestione separata INPS in caso di conversione dei contratti atipici in contratti di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti e alla soluzione della doppia contribuzione obbligatoria dovuta dagli agenti di commercio alla Fondazione/cassa Enasarco: secondo i deputati si tratta di un unicum nel panorama previdenziale italiano ormai anacronistico e assolutamente insostenibile per i giovani lavoratori che si affacciano alla professione.

seguifb

Zedde

L'aumento della stima di vita interesserà anche quei lavoratori che, in virtu' di speciali disposizioni di legge, mantengono tutt'oggi in vigore le regole di pensionamento antecedenti alla Riforma Fornero.

Kamsin  La Circolare Inps 63/2015 ha fissato gli effetti del prossimo incremento dell'età pensionabile nel triennio 2016-2018. E' così dal prossimo 1° gennaio 2016 si dovrà lavorare 4 mesi in piu' di quest'anno. Per la pensione anticipata bisognerà raggiungere i 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne) mentre per la vecchiaia saranno necessari 66 anni e 7 mesi (65 anni e 7 mesi per le lavoratrici dipendenti e 66 anni ed un mese per le autonome).

Nella Circolare c'è, tuttavia un passaggio che ha destato tra i lettori di pensionioggi.it molta confusione. Il passaggio "incriminato" è il seguente: "Ciò posto, dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2018, i soggetti per i quali continuano a trovare applicazione le disposizioni in materia di requisiti per il diritto a pensione con il sistema delle c.d. quote, possono conseguire tale diritto ove in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 35 anni e, se lavoratori dipendenti pubblici e privati, di un’età anagrafica minima di 61 anni e 7 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 97,6, e, se lavoratori autonomi iscritti all’Inps, di un’età anagrafica minima di 62 anni e 7 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 98,6". Molti lettori hanno interpretato questa disposizione nel senso che fossero tornate in vigore le pensioni con le quote in forma generalizzata e che quindi fosse possibile uscire con 61 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi. Viene sorridere perchè, naturalmente, non è così.

Il passaggio infatti si riferisce solo a due categorie "particolari" di lavoratori per i quali è ancora oggi previsto il sistema delle quote. Da un lato ci sono i lavoratori salvaguardati, cioè coloro che sulla base di specifici provvedimenti legislativi possono continuare a godere delle regole ante-Fornero, tra cui c'era, per l'appunto, la possibilità di accedere alla pensione con le cd. quote. Sono 170mila i lavoratori che si trovano in questa condizione e, per avvalersi di questo beneficio, bisogna rispettare parecchi vincoli e condizioni stabiliti in sei diversi provvedimenti di salvaguardia. Si tratta comunque di lavoratori che avevano perso il lavoro entro il 2011 o che avevano, sempre entro tale data, stipulato accordi con il datore che prevedevano l'uscita nei mesi successivi.

anzianita-quote

Dall'altro lato ci sono i lavoratori addetti a lavori particolarmente faticosi e pesanti e notturni ai sensi di quanto previsto dal Dlgs 67/2011 (vedi voce lavori usuranti). Anche per questi lavoratori è, infatti, previsto un canale di uscita basato sulle cd. quote che chiederà, per il triennio 2016-2018, il perfezionamento di almeno 61 anni e 7 mesi di età unitamente ad quorum di 97,6 (per gli autonomi i requisiti sono di un anno piu' elevati).

E' appena il caso di precisare che chi beneficia di questa normativa riporta in vita anche il vecchio sistema basato sulle finestre mobili. E quindi dovrà attendere 12 mesi o 18 mesi dal perfezionamento dei suddetti requisiti prima di poter ottenere la liquidazione della prestazione.

L'Inps propone anche un esempio di come deve essere condotta la verifica per il diritto a pensione. Ad esempio per verificare il raggiungimento del requisito al 31 ottobre 2016 di un lavoratore nato il 20 marzo 1955 con 1877 settimane di contributi bisogna trasformare l’età e i contributi del lavoratore in questo modo: 61 anni e 225 giorni sono pari a (61+225/365)= 61,616 anni; si divide quindi il numero di contributi per le settimane (1877/52) e si ottiene il valore 36,096 anni. La somma tra età e anzianità contributiva alla data del 31 ottobre 2016 è pari a 61,616 + 36,096 = 97,712.  Il lavoratore ha quindi raggiunto il diritto a pensione avendo superato quota 97,6 ed essendo in possesso dei requisiti minimo di 61 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contribuzione.

Ad ogni modo, dunque, un lavoratore dipendente, pubblico o autonomo che non si riconosca in una delle due deroghe appena citate non potrà fruire delle quote. Ma dovrà attendere i requisiti previdenziali introdotti dalla Riforma Fornero citati all'inizio dell'articolo.

seguifb

Zedde

Per ogni lavoratore indipendentemente dal reddito percepito, il datore di lavoro dovrà versare 5.000 euro l'anno per 40 anni. «Il principio - spiega Siri - è lo stesso della Flat Tax; tutti percepiranno la stessa pensione indipendentemente dal reddito.

Kamsin A esprimere parere favorevole nei confronti della proposta di Armando Siri, condivisa dalla Lega Nord, che lega il sistema di previenza sociale alla Flat Tax così da garantire a ciascun lavoratore mille euro di pensione al meseper quattordici mensilità è Nino Galloni, oggi membro effettivo del Collegio dei sindaci dell'Inps per conto del Ministero del Lavoro, dove è stato direttore generale a partire dal maggio 1990.

Lo riporta oggi un articolo comparso sul quotidiano Il Tempo. «La proposta di Armando Siri - spiega Galloni - renderebbe più conveniente per le imprese la stabilizzazione dei lavoratori piu pagati, riducendo il cuneo, ma lasciando invariata la contribuzione a carico del lavoratore. Questa sembrerebbe una delle poche proposte in grado di contrastare l'errore gravissimo che si commise trent'anni fa volendo scambiare la flessibilità con l'occupazione invece che col salario. Quell'errore produsse la precarizzazione e i bassi salari che rendono e soprattutto renderanno socialmente insostenibile attuale modello a contribuzione».

Il programma di Siri prevede per i lavoratori dipendenti un versamento annuale medio di 7.500 euro (5.000 di contributo annuale fisso a carico del datore di lavoro a prescindere dal reddito percepito dal lavoratore e un contributo pari al 10% della retribuzione a Carico del dipendente). Tale versamento in 40 anni produrrà una contribuzione complessiva di 300mila euro che, calcolando vent' anni di erogazione della pensione in base all' aspettativa di vita media, consentirà al lavoratore di ottenere una pensione di mille euro al mese netti. Per i lavoratori autonomi invece la pensione viene così calcolata: 3.500 euro di versamenti all'anno per 35 anni danno diritto a 500 euro di pensione al mese; 3.500 euro per 40 anni daranno una pensione di 600 euro al mese; con 5.000 per 40 anni si avrà diritto invece a mille euro al mese.

La riforma di Siri si applicherebbe a tutti i lavoratori a prescindere dal reddito e senza vincolo di età. Quindi sarebbe possibile andare in pensione anche a 60 anni purchè siano stati raggiunti 40 anni di versamenti. Gli unici parametri sono infatti il numero di anni e l'entità di effettiva contribuzione.

Nel nuovo sistema saranno coinvolti tutti i neo-lavoratori e quelli che hanno fino a 10 anni di anzianità ai quali, nel caso di versamenti superiore i a 5.000 euro verrà erogata una tantum dall'Inps per recuperare la differenza. I lavoratori che hanno fino a 25 anni di anzianità contributiva potranno invece scegliere il nuovo sistema solo se la loro aspettativa di pensione è superiore ai mille euro al mese e, in questo caso, otterranno un rimborso rateizzato in tre anni per recuperare la differenza.

seguifb

Zedde

L'Inps ha aggiornato il report delle procedure di monitoraggio dei lavoratori cd. salvaguardati. Restano insufficienti i posti dedicati ai lavoratori che hanno assistito disabili nel corso del 2011.

Kamsin Quasi 11.000 pensioni certificate e poco più di 800 prestazioni liquidate nell'ambito della sesta salvaguardia. È quanto emerge dal report diffuso dall'Inps relativo alle operazioni di salvaguardia aggiornato al 20 marzo.

Questa la suddivisione delle certificazioni in base ai diversi profili di tutela individuati dalla legge 147/2014. Per quanto riguarda i lavoratori in mobilità ordinaria l'Inps ha emesso 1.119 certificazioni a fronte di una platea di 5.500 posti disponibili; ammontano invece a 3.773 le certificazioni per i lavoratori autorizzati ai volontari (sia con contributo versato entro il 6 dicembre 2011 sia senza) su una platea prevista di 12.000 posti; sono 1.836 le certificazioni relative a coloro che sono cessati con accordi con il datore di lavoro entro il dicembre 2012, la platea disponibile è 8.800 posti.

Continua invece a registrarsi un deficit di posti disponibili per i lavoratori che hanno fruito dei permessi e dei congedi per assistere disabili nel corso del 2011. A fronte di una capienza di 1.800 posti le certificazioni rilasciate sono infatti più del doppio, ben 3.701. A questo punto appare evenidente la necessità di un intervento ad hoc per estendere la capienza del contingente utilizzando le posizioni avanzate negli altri profili di tutela. In questo profilo, del resto, si era già avuto modo di evidenziare l'insufficienza dei posti previsti per legge già nel corso della quarta salvaguardia (legge 124 2013). In tale occasione, infatti, il legislatore aveva fatto male i calcoli fissando in 2.500 ma l'Inps certificò in quasi 5mila i potenziali aventi diritto. 

Crescono anche le prestazioni liquidate nelle altre 5 salvaguardie. Complessivamente l'Inps ha certificato il diritto in favore di circa 110mila lavoratori mentre sono 70mila le pensioni già poste in pagamento. Queste norme, lo si ricorda, consentono a lavoratori che hanno perso il lavoro entro il 2011 di mantenere l'ultrattività delle regole pensionistiche ante-fornero e quindi di accedere alla pensione prima rispetto a quanto stabilito dalla Riforma del 2011.

seguifb

Zedde

Il blocco dell'indicizzazione degli assegni nel biennio 2012-2013 ha già fatto lasciare sul terreno oltre 150 euro al mese sugli assegni superiori a 3mila euro lordi.

Kamsin Com'è noto gli assegni previdenziali vengono di anno un anno rivalutati in base all'andamento dell'inflazione. In gergo questo meccanimso di chiama "perequazione", una misura "compensativa" che consente agli assegni pensionistici di recuperare il potere d'acquisto eroso dall'aumento annuale dell'inflazione. Si tratta dunque di una garanzia che il reddito del pensionato rimanga costante nel tempo.

In questi ultimi anni, però, le modalità di erogazione della rivalutazione sono state piu' volte riviste sino a generare molta confusione sul punto. Con la Riforma Fornero è stato infatti disposto il blocco dell'indicizzazione nei confronti delle pensioni che erano di importo superiore a tre volte il trattamento minimo Inps (pari a 1.443 euro per il 2012; 1486,26 euro per il 2013). Le pensioni di importo inferiore sono state invece adeguate pienamente all'inflazione (+ 2,7% nel 2012 e + 3% nel 2013).

Si ricorda che prima del Dl 201/2011 la perequazione era suddivisa in tre fasce all'interno del trattamento pensionistico complessivo e l'adeguamento veniva concesso in misura piena per le pensioni fino a tre volte il trattamento minimo; scendeva al 90% per le fasce di importo comprese tra tre e cinque volte il trattamento minimo; e ancora calava al 75% per i trattamenti superiori a cinque volte il minimo.

La legge 147/2013 ha parzialmente rimosso questa misura particolarmente penalizzante. Nello specifico la legge citata ha previsto un sistema di rivalutazione suddiviso in cinque scaglioni. Per le pensioni di importo fino a tre volte il trattamento minimo l'adeguamento avviene in misura piena (100%); per le pensioni di importo superiore e sino a quattro volte il trattamento minimo viene riconosciuto il 95% dell'adeguamento; per quelle di importo superiore e sino a cinque volte il minimo l'adeguamento è pari al 75%; per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il minimo l'adeguamento è del 50%; per i trattamenti superiori a 6 volte il minimo l'adeguamento è pari al 45% (per il 2014 l’aumento è stato del 40% ma calcolato soltanto sulla quota di pensione entro il limite di sei volte il trattamento minimo: in pratica gli assegni sono cresciuti di un valore fisso pari a 13,08 euro).

Con la legge 147/2013, va in soffitta però, almeno sino al 2016, il sistema di rivalutazione differenziata per fasce d’importo all’interno della stessa pensione. Le nuove regole prevedono che l’aliquota di aumento, spettante ad ogni pensione a seconda del gruppo in cui si colloca, venga applicata all’intero importo della pensione. Questa misura aggrava ulteriormente l’effetto limitativo delle nuove disposizioni. Per fare un esempio, con il meccanismo precedente una pensione di 2.000 euro lordi sarebbe stata rivalutata al 100% per i primi 1.486,29 euro e al 90% per la parte rimanente, che equivale all’applicazione di un’aliquota media pari al 97,42% del normale, mentre oggi l’aliquota da applicare al gruppo d’importo in questione è ridotta al 75%. Ciò comporta un ulteriore aggravio rispetto a quanto prevedeva la vecchia normativa.

Per una visione d'insieme degli effetti sugli assegni pensionistici prodotti dalle Riforme degli ultimi anni si rimanda alla seguente tabella in cui vengono comparati gli effetti della normativa ante fornero e quella attualmente vigente con la legge 147/2013.

Come si vede gli assegni superiori a 3 volte il minimo hanno lasciato sul terreno circa 100 euro al mese di mancata rivalutazione, cifra che mano mano aumenta al crescere dell'importo della pensione sino a toccare quasi i 200 euro per gli assegni superiori a 6 volte il trattamento minimo inps. La maggior parte del mancato guadagno dipende dal blocco della rivalutazione nel biennio 2012-2013 dato che gli effetti negativi della misura si ripercuotono inevitabilmente sugli anni a venire.

seguifb

Zedde

A cura di Giorgio Gori, Patronato Inas

© 2022 Digit Italia Srl - Partita IVA/C.f. 12640411000. Tutti i diritti riservati

Accedi