Pensioni, L'incarico dirigenziale non costituisce trattenimento in servizio

Martedì, 26 Aprile 2022
La Corte di Cassazione ribadisce l’insuperabilità della previsione normativa che governa l’istituto del trattenimento in servizio senza che possa assumere alcuna rilevanza la negoziazione individuale.

Il conferimento di un incarico dirigenziale ad un dipendente pubblico ancorché la scadenza dello stesso sia fissata successivamente al compimento dei limiti ordinamentali per la permanenza in servizio (65 anni) non costituisce istanza di trattenimento in servizio. Ciò in quanto il prolungamento oltre il 65° anno di età è subordinato ad una formale richiesta del dipendente ed al consenso (discrezionale) dell’ente. Se manca o è presentata fuori termine la risoluzione d’ufficio scatta lo stesso.

E’ il principio espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 10668 del 1° aprile 2022 con la quale i giudici colgono l’occasione per ribadire che il conferimento di un incarico dirigenziale non può essere espressione implicita della volontà di proseguire il rapporto oltre il limite previsto dalla legge.  

La questione

I fatti risalgono ad epoca anteriore al dl n. 90/2014 con il quale il legislatore, come noto, ha sostanzialmente abrogato il trattenimento in servizio con l’obiettivo di svecchiare le Pubbliche Amministrazioni. Secondo la disciplina ratione temporis applicabile l’Istituto consentiva ai dipendenti pubblici di chiedere la prosecuzione del rapporto di lavoro per un biennio dopo il raggiungimento del 65° anno di età.

Il caso riguardava un dipendente della Regione Calabria a cui era stato conferito un incarico dirigenziale di durata triennale la cui scadenza si sarebbe collocata oltre il 65° anno di età. All’avvicinarsi del predetto limite anagrafico il dipendente, tuttavia, non aveva formalizzato alcuna richiesta di trattenimento in servizio ai sensi dell’articolo 72, co. 7 del dl n. 112/2008 confidando, erroneamente, nel fatto che il conferimento di un incarico triennale con scadenza oltre tale limite anagrafica costituisse manifestazione (tacita) di volontà di prolungare il servizio per il biennio di legge. La Regione, tuttavia, al compimento del 65° anno ha intimato la risoluzione unilaterale del rapporto. Contro la decisione il dirigente ha presentato ricorso soccombendo in Appello, da qui il ricorso per Cassazione.

La decisione

La Cassazione osserva che il prolungamento oltre il 65° anno di età è subordinato alla richiesta del dipendente ed al consenso (discrezionale) dell’ente, circostanza non riscontrabile nel caso scrutinato in cui non c’è stata una tempestiva richiesta di prolungamento del rapporto da parte del ricorrente né, tantomeno, l’accoglimento della Pa.

In particolare i giudici spiegano che dal conferimento di un incarico dirigenziale, seppur con scadenza teorica successiva al 65° anno di età, non può desumersi un prolungamento del rapporto implicito e, per gli effetti, analogo a quello dell’istituto del trattenimento in servizio. L’incarico dirigenziale, infatti, non è altro che una specificazione del rapporto di servizio ordinario dal quale differisce per il solo trattamento economico.

Pertanto per conseguire gli effetti della prosecuzione di cui all’articolo 72, co. 7 del dl n. 112/2008 l’interessato avrebbe dovuto presentare apposita istanza alla PA dai 24 ai 12 mesi precedenti il raggiungimento del 65° anno di età. E la PA, discrezionalmente, avrebbe potuto accogliere o rigettare la richiesta. Nel caso di specie la richiesta era stata presentata tardivamente rispetto alle predette scadenze (e quindi irrilevante ai fini in questione) quanto basta per confermare che il ricorrente evidentemente era a conoscenza della corretta procedura da seguire.

Gli ermellini, pertanto, hanno respinto il ricorso osservando che il ricorrente non ha rispettato i termini per la presentazione dell’istanza di trattenimento in servizio. Ciò peraltro è conforme all’orientamento della stessa Corte secondo cui la previsione normativa che governa l’istituto del trattenimento in servizio è insuperabile e, pertanto, non può assumere alcuna rilevanza la negoziazione individuale (v. ex multis Cass. 16 ottobre 2017, n. 24372; Cass. 7 ottobre 2013, n. 22790).

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