
Pubblico Impiego
Esubero statali, tre le ipotesi di Cottarelli
Ottomila dipendenti pubblici potrebbero essere accompagnati alla pensione, 16 mila rischiano invece il trasferimento.
Statali è tempo di fare le valigie. Almeno secondo le intenzioni del commissario straordinario alla spending review Carlo Cottarelli che negli scorsi giorni ha presentato il piano straordinario per ridurre la spesa pubblica che colpirà in modo significativo i dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Il piano conferma come il pubblico impiego sia uno dei principali punti oggetto dei possibili tagli alla spesa. Nelle slide messe a punto da Cottarelli gli esuberi nelle pubbliche amministrazioni potrebbero raggiungere anche le 85 mila unità; la cifra, in realtà, è stata subito disconosciuta da Renzi e dal Ministro della pubblica amministrazione Marianna Madia che si sono affrettati a precisare che non saranno adottati provvedimenti di questa portata. Secondo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, "le bozze sono solo bozze." Insomma per il governo il dossier Cottarelli va considerato solo come una base di lavoro, un punto di partenza. Ma che ci sarà un provvedimento sul pubblico impiego nessuno lo nega.
I numeri degli esuberi, secondo il governo, saranno molto più bassi e già la prossima settimana saranno resi noti in una versione rivista del dossier Cottarelli. Che poi, nella sua versione definitiva, diventerà parte integrante del prossimo Documento di economia e finanza atteso entro i primi di Aprile. Al ministero dell'Economia in effetti si sono fatti altri numeri frutto, evidentemente, di una ricognizione più prudenziale che parlano di circa 24 mila esuberi.
A rischiare sono soprattutto dipendenti dell'Inps (3.300 esuberi tra impiegati e dirigenti) quelli dei ministeri del Lavoro, dello Sviluppo, dell'Agricoltura, Difesa, Ambiente, Salute ed Infrastrutture e dipendenti di Aci, Istat e Enac che potrebbero essere sfoltiti di 1.200 unità.
Ma a parte le cifre che possono essere diverse a seconda di come si effettuano le ricognizioni sul personale in eccesso, Cottarelli vorrebbe rendere soprattutto più incisivo il meccanismo per la gestione del personale dichiarato in esubero. Chi è più prossimo alla pensione (8.000 persone secondo le stime del Mef) verrebbe collocato in prepensionamento; gli altri (circa 16.000 dipendenti, se le stime del Mef fossero confermate) entrerebbero in una mobilità forzata in un ufficio locale all'interno della parte regione di residenza. I lavoratori che non accettano la mobilità forzata avrebbero una riduzione dello stipendio di circa il 20-30% per due anni in attesa di trovare un nuovo lavoro. Poi il licenziamento.
In alternativa Cottarelli propone incentivi all'uscita finanziati una tantum dallo stato con il collocamento in disponibilità. Uno stipendio più basso ma con i contributi previdenziali assicurati e un taglio tra l'8 e il 12 per cento degli stipendi dei dirigenti apicali e di prima fascia con parte della retribuzione legata ai risultati.
Il Ministero dell'Economia però sta anche lavorando ad un terzo piano. Quello di creare una specie di fondo di solidarietà come già accade per i dipendenti bancari in esubero che accompagni gli interessati per un certo periodo in attesa che trovino una diversa occupazione. I dipendenti pubblici potrebbero fruire, in questo modo, di una specie di assegno straordinario di sostegno al reddito in attesa di essere reimpiegati nel settore privato o pubblico creando, eventualmente, una sorta di agenzia di collocamento per i dipendenti statali.
Pubblico impiego, la spending review verso il taglio di 85 mila posti
I risparmi conseguibili dalla gestione di 85 mila esuberi sarebbero di 3 miliardi di euro dopo i tagli indicati da Cottarelli.
Sul pubblico impiego l'intervento indicato dal commissario straordinario alla spending review Carlo Cottarelli prevede la razionalizzazione di diversi enti ed amministrazioni pubbliche con una riduzione di circa 85 mila lavoratori. Il progetto consentirebbe un risparmio per le casse dello stato di circa 3 miliardi di euro.
Secondo Cottarelli gli interventi comporteranno esuberi che potranno essere riassorbiti con la mobilità. Tra le ipotesi c'è anche la possibilità di introdurre il blocco totale del turn over per evitare circa 90 mila assunzioni programmate nei prossimi 3-4 anni. Il piano di Cottarelli conferma poi il taglio degli stipendi dei dirigenti delle amministrazioni pubbliche per 500 milioni di euro.
Tra le altre misure, per fare cassa, c'è anche una proposta di legge firmata da Francesco Boccia presidente della commissione Bilancio della Camera che prevede ulteriori tagli temporanei e progressivi sugli stipendi degli amministratori pubblici.
Nel mirino ci sono gli stipendi oltre i 60, 70 e 80 mila euro lordi annui che porterebbero risparmi netti di 2,5 miliardi nell'arco di tre anni. La proposta di legge prevede nello specifico un taglio del 6% degli stipendi superiori a 60 mila euro del 7% per quelli superiori a 70mila euro e dell'8% per quelli sopra gli 80 mila euro. La misura avrebbe carattere temporaneo dal 2014 al 2016 con l'obiettivo di garantire l'equilibrio del bilancio dello Stato.
Pa, il tetto allo stipendio esteso ai pensionati ancora in attivita'
Limite di poco superiore a 300mila euro per i titolari di assegni statali che svolgono altre attività o incarichi retribuiti
A partire da quest'anno il tetto agli stipendi d'oro della pubblica amministrazione si fa un pò più severo. La legge di stabilità 2014 l'ha infatti generalizzato applicandolo "a chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche retribuzioni o emolumenti di qualsiasi tipo" (articolo 1, commi 471 e seguenti della legge 147/2013). Sotto il limite rientrano dal 2014 pertanto (oltre agli incarichi con le Authority e i professori universitari) anche i pensionati ancora in attività, per i quali il limite si riferisce alla somma di pensione ed emolumenti aggiuntivi.
Con le norme approvate, le amministrazioni e gli enti pubblici ricompresi nell'elenco Istat ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 196/2009 non potranno pertanto corrispondere trattamenti economici superiori al trattamento economico previsto per il primo presidente della Corte di Cassazione ai dipendenti titolari di trattamenti pensionistici erogati da gestioni pensionistiche pubbliche (quali in particolare le casse ex Inpdap). In pratica, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni titolari di pensione, non potranno percepire una retribuzione annua, sommata al trattamento pensionistico, superiore a circa 300 mila euro annui lordi.
Per la determinazione del limite, la legge di stabilità ricomprende anche i vitalizi derivanti da funzioni pubbliche elettive con la conseguenza che il tetto al trattamento economico dovrà essere rispettato anche dai parlamentari, consiglieri regionali e provinciali e sindaci che abbiano conseguito la pensione. L'efficacia della disposizione viene tuttavia limitata dalla precisazione che vengono fatti salvi i contratti degli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza.
Quota 96, i Prof sperano nella soluzione della questione entro Aprile
Avanza il progetto di legge che potrebbe salvare dalle nuove regole di pensionamento circa 4mila professori che hanno maturato i requisiti nel corso dell'anno scolastico 2011/2012
La proposta di legge targata Ghizzoni (Pd) e Marzana (M5S) contenente la deroga in materia di pensionamento per il personale della scuola (cd. questione della "Quota 96") potrebbe diventare legge entro il prossimo Aprile. È quanto ha lasciato ieri intendere la relatrice al progetto di legge Barbara Saltamartini (Ncd) che tuttavia non ha nascosto che il Ministero dell'Economia e delle Finanze deve dare ancora il via libera all'operazione. "Stiamo aspettando chiarimenti dal sottosegretario all'Economia Giorgetti relativamente ai costi dell’operazione" ha affermato la Saltamartini.
La proposta, com’è noto, è al centro di una profonda discussione da diversi mesi ormai. Sullo sfondo il problema di diverse migliaia di insegnanti che si sono visti sfumare la possibilità di andare in pensione dopo l’approvazione della Riforma Fornero nel dicembre 2011. L'articolo 24 del Dl 201/2011 infatti non ha riconosciuto la specificità del comparto scuola (i professori vanno in pensione in una data prestabilita, il 1° Settembre - in coincidenza con la fine dell'anno scolastico - per evitare interruzioni didattiche) lasciando gli insegnanti che hanno maturato i requisiti pensionistici dopo il 31.12.2011 soggetti alle nuove regole.
“I lavoratori del comparto scuola che maturavano i requisiti nel corso dell'anno scolastico 2011/2012 dovevano essere trattati tutti allo stesso modo. Invece hanno subito conseguenze diverse a seconda se i requisiti sono stati perfezionati prima o dopo del 31.12.2011, data in cui sono entrate in vigore le nuove regole” spiega Bruno Palmieri del Patronato Inca di Roma. “Chi ha maturato i requisiti entro il 31.12.2011 ha potuto beneficiare del vecchio regime, gli altri sono rimasti soggetti alle nuove regole. Una questione non da poco perchè significa dover rimanere sul lavoro per almeno altri 3-4 anni”.
Ora il progetto di legge potrebbe affrontare il problema e concedere la pensione a decorrere dal 1º settembre 2014 per gli insegnanti che hanno perfezionato i requisiti di pensionamento previgenti all'entrata in vigore della riforma Fornero entro la fine l'anno scolastico 2011/2012. Secondo la Saltamartini i tempi devono essere però rapidi. Entro il 30 Aprile la proposta di legge dovrebbe essere approvata per consentire ai Prof di presentare la domanda all'Inps entro il 31 maggio e quindi poter conseguire la pensione dal prossimo 1° Settembre.
La graduatoria - La proposta di legge stanzia risorse sufficienti per garantire il mantenimento delle previgenti regole solo per 4mila insegnanti. Qualora il numero delle domande di pensione presentate dai professori risultassero superiori, l’Inps sarà costretto a stabilire una graduatoria formulata sulla base della somma dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva posseduta dall’insegnante alla data di scadenza della domanda.
Gli interessati - I professori interessati dalla novità sono coloro che hanno raggiunto entro il 31 agosto 2012 i vecchi requisiti pensionistici (quelli in vigore prima del Dl Salva Italia). Parliamo cioè della vecchia quota 96 (60 anni e 36 di contribuzione o 61 anni e 35 di contribuzione) oppure 40 anni di contribuzione per la pensione di anzianità; oppure 65 anni d'età (61 se donne) con 20 di contributi per la pensione di vecchiaia.
Pensioni Pa, la cessazione scatta solo al compimento dei 65 anni
I dipendenti pubblici che hanno raggiunto i requisiti per la pensione ante Riforma Fornero entro la fine del 2011 sono soggetti al vecchio regime, ma non sono obbligati a sfruttarli fino ai 65 anni di età.
Secondo una nota interpretativa del Ministero della Funzione pubblicata la scorsa settimana, i dipendenti pubblici che hanno maturato i requisiti per l'accesso alla pensione secondo le regole antecedenti alla riforma Fornero entro il 31 dicembre 2011 rimarranno obbligatoriamente soggetti al vecchio regime pensionistico e alle relative decorrenze.
La nota interpreta gli effetti dell'articolo 2, comma 4 del recente decreto pubblico impiego (Dl 101/2013) che aveva sollevato dubbi da parte di diverse amministrazioni comunali. In primo luogo il Ministero chiarisce che il lavoratore pubblico che abbia raggiunto un diritto a pensione entro il 31/12/2011 non può esercitare l'opzione di andare in pensione con il nuovo regime. Questi soggiace obbligatoriamente al regime previgente. Per cui, ad esempio, resta preclusa la possibilità di rimanere in servizio sino al perfezionamento dei nuovi requisiti per la pensione di vecchiaia previsti dalla normativa Fornero (66-67 anni).
In secondo luogo la nota chiarisce che il dipendente può continuare a rimanere in servizio fino a che non abbia raggiunto i limiti ordinamentali per il collocamento a riposo previsti dalla disciplina ante Fornero, cioè i 65 anni. In pratica il perfezionamento del diritto a pensione, laddove non siano stati compiuti i 65 anni, non comporta automaticamente il collocamento a riposo.
E' questo il caso di quei dipendenti pubblici che abbiano raggiunto la vecchia quota 96 per la pensione di anzianità o i 40 anni di contributi (oppure i 61 anni e 20 anni di contributi se donne per la pensione di vecchiaia) entro il 31.12.2011. In tali casi i lavoratori possono decidere se andare in pensione o se rimanere in servizio sino al perfezionamento dei 65 anni di età. E solo al compimento di tale età l'amministrazione pubblica dovrà procedere obbligatoriamente al loro collocamento a riposo.
Resta comunque salva la possibilità della concessione del trattenimento in servizio per un ulteriore biennio secondo quanto previsto dall'articolo 16 del Dlgs. 503 del 92 se i dipendenti dichiarino la propria disponibilità e l'Amministrazione intenda sfruttarla.
La nota infine ricorda che per questi soggetti restano in vigore le finestre mobili annuali secondo quanto disposto dall'articolo 12, commi 1 e 2 del Dl 78 del 2010.
Precari Pa, arriva lo stop della Corte Ue
I contratti flessibili nel pubblico impiego tornano nel mirino della Corte di Giustizia europea che, boccia la legislazione italiana in materia di precariato.
I giudici della Corte Europea si sono pronunciati su due casi che sono stati sollevati dalle giuridizioni italiane: un insegnante della banda municipale in contenzioso contro il Comune di Aosta; un dipendente temporaneo in controversia con Poste Italiane.
Nel primo caso, i giudici hanno accertato l'illegittimità della legislazione italiana in materia di precariato pubblico, sostenendo che l'Italia non riconosce e non garantisce ai lavoratori pubblici precari le tutele e le garanzie previste dal legislatore europeo. La norma bocciata è quella che limita il risarcimento del danno subito dal lavoratore in caso di utilizzo abusivo da parte dello stato di piu' contratti a tempo determinato. Il lavoratore - secondo la norma italiana - ha diritto al risarcimento del danno subito solo se riesce a provare che a causa dell'abuso del precariato da parte del datore di lavoro pubblico ha dovuto rinunciare a migliori opportunità di lavoro che avrebbe avuto sul mercato, e senza possibilità di trasformazione del lavoro precario in lavoro stabile.
I giudici della Corte hanno poi bocciato anche la sanzione introdotta dalla legge 183/2010 con effetti retroattivi sui processi in corso di Poste italiane. La Corte Ue, con la sentenza Carratù, ha sancito che la Direttiva comunitaria sul lavoro precario può essere applicata anche a Poste italiane, in quanto deve essere considerata una società statale e non un'impresa privata.
Secondo il Ministro della Funzione Pubblica Dalia "la sentenza della Corte di Giustizia europea sulla egislazione italiana in materia di precariato pubblico non giunge certo come una novità, visto che il governo nel frattempo è già intervenuto con il decreto 101, convertito in legge, che ha come obiettivo proprio il superamento definitivo del fenomeno del precariato. Da un lato - ha detto il ministro - abbiamo introdotto il principio secondo cui l'unico modo per accedere nella P.A. è a tempo indeterminato, se non per esigenze eccezionali e motivate, pena la nullità del contratto con sanzioni disciplinari ed economiche per il dirigente che viola questa norma. Dall'altro abbiamo previsto, nell'ambito dei posti e delle risorse finanziarie disponibili, un sistema di inserimento stabile e meritocratico nelle Pubbliche amministrazioni attraverso concorsi riservati per quei precari che da almeno tre anni negli ultimi cinque, con il loro lavoro, mandano avanti le amministrazioni".
Secondo Dalia per assorbire il precariato nella Pa nei prossimi tre anni saranno possibili concorsi dedicati al 50% a chi ha cumulato 3 anni di contratti negli ultimi 5. Le pubbliche amministrazioni possono poi sottoscrivere contratti a termine con vincitori o e idonei di graduatorie ancora valide e predisposte per assunzioni a tempo indeterminato. Il ricorso al lavoro flessibile viene consentito solo per esigenze eccezionali.