
Redazione
Zaia: 80 euro? Non reperire fondi da tagli a enti locali
Martedì, 12 Agosto 2014- Venezia, 12 ago. - "Non contestiamo il provvedimento, ma il metodo che si vuole usare per reperire i fondi che garantiscano l'erogazione degli 80 euro in busta paga secondo il provvedimento del governo Renzi". Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia annuncia di voler presentare un ricorso alla Corte Costituzionale riguardante il metodo usato dal governo per trovare fondi per il bonus degli 80 euro. "Non ho nulla contro il provvedimento - spiega - ma se si decide di aumentare la busta paga dei cittadini, il governo deve farlo con soldi suoi, non tagliando fondi agli enti locali. Si annunciano tagli orizzontali, ovvero noi veneti riceveremo gli stessi tagli che avra' la Regione Sicilia. La differenza e' che noi siamo una regione virtuosa dal punto di vista dei bilanci, la Sicilia no". Zaia ha osservato inoltre che l'ammontare complessivo del finanziamento degli 80 euro si aggira sui 6 miliardi e 400mila euro: "Dove credete che si vadano a pescare? - ha chiesto - dai bilanci degli enti locali. Per questo vogliamo entrare in gioco con un ricorso alla Corte. Non accettiamo che il taglio venga effettuato sulla spesa storica del 2013". .
Renzi: domani Expo, poi Sud e intanto lavoro a SbloccaItalia
Martedì, 12 Agosto 2014Sant'Anna di Stazzema: Napolitano, uno spiraglio per la verita'
Martedì, 12 Agosto 2014Esodati, Ichino (Sc): ormai quasi tutti sono stati tutelati
Martedì, 12 Agosto 2014Pubblichiamo di seguito una lettera ricevuta dal Senatore di Scelta Civica, Pietro Ichino. Caro direttore, a quasi tre anni dalla riforma delle pensioni del 2011, tra coloro che si qualificano come «esodati» non ce n'è più uno che possa essere indicato come tale secondo il significato originario del termine. Kamsin I provvedimenti di «salvaguardia» adottati nel 2011 e 2012 hanno infatti esentato dall'applicazione dei nuovi requisiti per il pensionamento tutti coloro che avessero perso il lavoro prima della riforma per effetto di un accordo individuale o collettivo di incentivazione all'esodo, stipulato in considerazione di un prossimo pensionamento secondo la vecchia disciplina. Sono stati poi «salvaguardati» anche tutti i lavoratori licenziati negli anni 2007-2011, i quali fossero destinati a maturare i requisiti per la pensione secondo le vecchie regole entro tre anni dalla riforma, cioè entro il 2014.
Qual è, dunque, la situazione delle persone che frequentano le trasmissioni telefoniche e radiofoniche presentandosi come «esodate» e rivendicando un diritto a essere prepensionate? In gran parte, quando non si tratta di persone che per poche settimane o mesi di differenza sono state costrette a rimanere al lavoro più a lungo di quanto desideravano, sono ultracinquantenni che hanno perso la loro ultima occupazione, per i motivi più vari, uno, cinque, dieci o quindici anni fa. Così stando le cose, dobbiamo metterci d'accordo: se riteniamo che, perso il lavoro, gli ultracinquantenni non possano ritrovarlo e debbano quindi essere in qualche modo accompagnati alla pensione, come si faceva normalmente fino al novembre 2011, allora diciamo apertamente che intendiamo abrogare la riforma.
Però, allora, diciamo anche che consideriamo giusto continuare ad accollare la pensione di questi cinquantenni e sessantenni alle nuove generazioni, che in pensione andranno a 70 anni o poco prima: perché, con una attesa di vita di oltre 80 anni, l'anzianità contributiva normale di 30-40 anni con cui si andava in quiescenza nei decenni passati non basta per il finanziamento di un trattamento decente destinato a durare 20 o 25 anni. E diciamo chiaramente che rinunciamo ad allineare il tasso di occupazione degli italiani tra i 50 e i 65 anni di età (oggi circa uno su tre) alla media europea (uno su due). Se invece consideriamo giusti gli obiettivi della riforma del 2011, riteniamo cioè necessario aumentare il tasso di occupazione degli anziani e darci un sistema previdenziale capace di camminare sulle sue gambe; se consideriamo — sulla base dei dati forniti dal ministero del Lavoro — che nell'ultimo anno 1,6 milioni di contratti regolari in Italia sono stati stipulati con persone ultracinquantenni e circa un quarto di questi con ultrasessantenni; se infine siamo convinti che il sistema ante 2011 di prepensionare tutti i cinquantenni o sessantenni che perdevano il posto sia, oltre che sbagliato, anche improponibile sul piano politico in Europa oggi; se di tutto questo siamo convinti, allora dobbiamo affrontare il problema di questi disoccupati nei termini appropriati: cioè come un problema, appunto, di disoccupazione, reso più difficile dall'età degli interessati.
Se disponiamo di risorse da destinare alla sua soluzione, istituiamo per queste persone una indennità non finalizzata alla loro espulsione definitiva dal mercato del lavoro, ma, al contrario, condizionata al loro rimanere in esso attive e disponibili; consentiamo a chi le assume di beneficiare di un contributo correlato alla parte non goduta dell'indennità; istituiamo la possibilità di pensionamento parziale combinabile con il part-time o altre forme di flessibilità dell'età di pensionamento. Ma sempre con l'obiettivo di promuovere e incentivare l'invecchiamento attivo, evitando tutto ciò che invece lo disincentiva. L'errore peggiore, comunque, è quello del rimanere in mezzo al guado, del fare e disfare, come accadde nel 2007, quando il ministro Damiano disfece la riforma del suo predecessore Maroni.
Se non vogliamo tornare indietro, dobbiamo orientare tutti gli interventi a un mutamento profondo della nostra cultura diffusa, che è alla base dei comportamenti e delle vecchie strategie di vita dalle quali è nato il problema degli «esodati» vecchi e nuovi. Mi riferisco alla cultura della job property, che rende vischiosissimo il nostro mercato del lavoro; quella per cui la progressione retributiva è affidata non alla possibilità effettiva di spostarsi dove il proprio lavoro è meglio valorizzato, ma agli scatti di anzianità, che frenano pesantemente la mobilità dei più anziani; quella per cui se il «diritto fondamentale» al posto di lavoro viene «leso» con il licenziamento, l'unico risarcimento possibile è la cassa integrazione per anni e poi il prepensionamento. Tutto si tiene. Dobbiamo passare da un vecchio equilibrio di sistema a uno nuovo. E, come sempre, spostarsi da un equilibrio a un altro è tutt'altro che facile. Ma non abbiamo alternative: di vie facili d'uscita dalla nostra arretratezza non ce ne sono.
Esodati, settimana chiave per la certificazione della quarta salvaguardiaZedde
Aspi, i periodi di Cig a zero ore non sono utili
Martedì, 12 Agosto 2014Per la determinazione del biennio per il requisito contributivo che consente l'accesso all'indennità di disoccupazione Aspi i periodi di cassa integrazione guadagni a zero ore devono essere neutralizzati con conseguente ampliamento del biennio di riferimento. Kamsin E' quanto ha chiarito ieri l'Inps indicando che non sono considerati utili ai fini del perfezionamento del requisito contributivo, pur se coperti da contribuzione figurativa valida, invece, ai fini pensionistici, i seguenti periodi: 1) malattia e infortunio sul lavoro nel caso in cui non vi sia integrazione della retribuzione da parte del datore di lavoro, nel rispetto del minimale retributivo; 2) cassa integrazione straordinaria e ordinaria con sospensione dell'attività a zero ore; 3) assenze per permessi e congedi fruiti dal coniuge convivente, dal genitore, dal figlio convivente, dai fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità.
I periodi in quanto non considerati utili, devono essere neutralizzati con conseguente ampliamento del biennio di riferimento.
Zedde