Il lavoratore a termine che ottiene dal giudice la conversione del contratto in rapporto a tempo indeterminato non deve restituire all’Inps l’indennità di disoccupazione percepita nel periodo di inattività. Lo hanno stabilito le Sezioni unite civili della Corte di cassazione con la sentenza n. 23876/2025, mettendo la parola fine a un contrasto giurisprudenziale che durava da anni.
La questione
Il caso riguardava un lavoratore che, dopo la cessazione del contratto a termine, aveva percepito per un anno l’indennità di disoccupazione, la NASpI. Successivamente, il tribunale aveva dichiarato illegittima la clausola di durata e convertito il rapporto in contratto a tempo indeterminato “ex tunc”, cioè con effetto retroattivo.
L’Inps aveva chiesto la restituzione di oltre 9 mila euro, sostenendo che la riammissione in servizio azzerava, a posteriori, lo stato di disoccupazione. Contestualmente, il lavoratore aveva incassato anche l’indennità forfettaria di quasi 18 mila euro prevista dall’articolo 32 della legge n. 183/2010 (il cosiddetto collegato lavoro) per l’illegittima apposizione del termine al contratto.
La decisione delle Sezioni Unite
La Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’Inps, chiarendo che:
- nel periodo intercorrente tra la cessazione del contratto e la reintegra il lavoratore era realmente disoccupato e privo di reddito;
- l’indennità di disoccupazione tutela un bisogno previdenziale immediato e non può essere restituita;
- l’indennità forfettaria prevista dal collegato lavoro ha natura risarcitoria, non corrispettiva, e serve a quantificare il danno derivante dall’illegittima apposizione del termine.
Due trattamenti, quindi, che operano su piani distinti: uno previdenziale, tra lavoratore e Inps; l’altro risarcitorio, tra lavoratore e datore di lavoro. La Cassazione, inoltre, rileva che fra la cessazione del contratto a termine e la reintegra il lavoratore risulta effettivamente disoccupato non per sua volontà e, pertanto, sussiste un effettivo stato di bisogno giuridicamente tutelabile.
Nessuna sovrapposizione
La Corte ha escluso anche la violazione del principio di incumulabilità invocato dall’Inps. La contribuzione figurativa legata alla disoccupazione cessa, infatti, non appena viene ripristinata la contribuzione effettiva con il rientro in servizio. Non si crea dunque alcuna sovrapposizione tra le due forme di tutela.
Le ricadute della sentenza
Grazie alla pronuncia i lavoratori con contratti a termine dichiarati illegittimi potranno conservare la NASpI percepita durante il periodo di inattività. Per l’Inps, invece, si tratta di un cambiamento significativo nella gestione dei casi di conversione contrattuale: l’ente non potrà più pretendere la ripetizione delle somme, ma dovrà riconoscere la piena legittimità del sostegno erogato durante lo stato di bisogno.













