Nicola Colapinto

Nicola Colapinto

Nicola Colapinto, avvocato con specializzazione in diritto del lavoro, seguo le principali questioni giuslavoristiche e previdenziali per PensioniOggi.it. 

Si accende la polemica all'interno del governo per l'anticipo dell'uscita solo per i dipendenti pubblici. Gli esodati chiedono di essere inseriti nel progetto.

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Anche l'ex ministro del lavoro Elsa Fornero è andata contro il ministro Madia. «Alla Madia suggerisco di essere abbastanza attenta, i dipendenti privati farebbero bene ad arrabbiarsi perché non possono essere sempre solo loro a pagare».

Il progetto del ministro, che ha ufficialmente annunciato il piano di prepensionamenti per gli statali, inizia a suscitare le reazioni. Dopo i sit-in degli esodati che stanno protestando davanti alla direzione del Pd anche alcuni all'interno del partito cominciano a diffondersi in primi malumori.

Il problema è che ci sono migliaia di dipendenti del settore privato, oltre 120mila, ancora non salvaguardati dalle normative attuali che sono usciti dal mondo del lavoro con la speranza di andare in pensione e che ora sono rimasti a bocca asciutta dopo la Riforma del 2011.

La platea è molto vasta, probabilmente inquantificabile in maniera ufficiale e protesta contro le ipotesi di anticipare l'accesso al pensionamento dei dipendenti pubblici. "Loro un posto di lavoro e una fonte di reddito già la hanno", così dicono al sit-in di via del Nazareno.

Ciò che gli esodati chiedono è di destinare le risorse a risolvere prima il loro problema, piu' grave in quanto non hanno alcuna fonte di reddito. «È assolutamente prioritario prima di qualsiasi intervento sulle pensioni», dice Stefano Fassina, ex vice ministro dell'Economia in quota Pd sotto il governo Letta, «risolvere il problema degli esodati».

Fassina nei giorni scorsi, insieme a Gianni Cuperlo, ha incontrato gli esodati per chiedere un incontro diretto con il premier Matteo Renzi. «Non si possono rivedere le regole per anticipare la pensione a dirigenti pubblici che hanno stipendi elevati», spiega l'ex ministro, «per una questione di equità va assicurato lo stesso trattamento anche ai dipendenti privati».

Anche l'ex ministro del welfare Cesare Damiano, è d'accordo. «Serve che il governo si coordini al suo interno», il problema «è che non si percepisce il fatto che la questione esodati stia diventando esplosiva».

Nei giorni scorsi il ministro del lavoro Giuliano Poletti, in audizione alla Camera, ha parlato della volontà del governo di trovare una «risposta organica» al problema. Sul punto è lo stesso Ministro ad aver ricordato ieri che è stata calendarizzato alla Camera per il 14 Aprile la discussione della proposta unificata sul tema delle deroghe alla Riforma del 2011 approvata in Commissione Lavoro due settimane fa.

Il nodo è quello delle risorse. Per risolvere il problema degli esodati alla radice, secondo la Ragioneria, si dovrebbero trovare 17 miliardi fino al 2022. Cifre troppo grandi per un paese in difficoltà.

L'ex ministro del lavoro Enrico Giovannini aveva ipotizzato l'escamatoge dell'introduzione del "prestito pensionistico". In pratica sarebbe consentito a tutti i dipendenti di lasciare il lavoro in anticipo, ma scaricando il costo in parte sulle imprese, in parte sullo Stato e in parte sul lavoratore stesso, con una riduzione della pensione tra il 10 e il 15 per cento.

E poi c'è il progetto di legge firmato da Damiano e dall'attuale sottosegretario dell'Economia, Pierpaolo Baretta, che giace in Commissione lavoro e concede la possibilità di lasciare, per tutti, il lavoro a 62 anni con almeno 35 di contributi. Ed anche in questo caso è prevista una penalizzazione sulla pensione percepita.

Chi ha un contratto a canone di mercato potrebbe essere invogliato a optare per quello concordato.

Tra le novità approvate con il decreto casa, dl 47/2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 28 marzo 2014, la principale è certamente quella che ha ridotto la cedolare secca sugli affitti abitativi al 10 per cento. 

La tassa piatta, lo si ricorda, è una forma di fiscalità che sottopone la rendita da locazioni abitative tra persone fisiche ad un prelievo, in sostituzione alla ordinaria tassazione Irpef, fissato al 10 per cento. La tassa piatta si applica tuttavia solo per i contratti a canone concordato. Ciò significa che l'aliquota agevolata potrà essere applicata solo nei comuni ad alta tensione abitativa individuati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica. 

Detto questo vediamo dunque rapidamente quali sono le scelte che può effettuare il proprietario dopo le novità introdotte dal decreto casa.

L'ipotesi più semplice è quella in cui il locatore già avesse stipulato un contratto a canone concordato optando per per la tassa piatta. In tal caso nessun altro adempimento sarà richiesto in quanto già risulta nel mod 69 dell'Agenzia delle Entrate l'opzione per il regime agevolato. In pratica in tal caso l'aliquota ridotta scatterà automaticamente.

Se invece il locatore avesse originariamente optato per l'Irpef e vuole ora passare alla tassa piatta dovrà curare due adempimenti: effettuare la comunicazione all'inquilino della rinuncia all'adeguamento Istat e quindi comunicare l'opzione per la cedolare attraverso il mod 69 all'Agenzia delle Entrate. 

Il passaggio alla cedolare secca comporta il vantaggio di non dover pagare altre imposte riguardanti il rapporto di locazione. Ad esempio non dovrà essere più pagata l'imposta di registro annuale, il bollo e chiaramente l'Irpef. Il passaggio alla cedolare tuttavia determina che l'aliquota colpirà l'intero importo del canone di di locazione e quindi contribuente non potrà più godere delle detrazioni previste per l'Irpef.

Chi ha invece stipulato un contratto di mercato, per passare alla cedolare secca, dovrà necessariamente, di comune accordo con il conduttore, risolvere il precedente rapporto contrattuale di locazione e sottoscriverne uno nuovo sulla base delle disposizioni previste per i contratti concordati. 

Entra in vigore lo sconto fiscale sulla cosiddetta cedolare secca per i proprietari che affittano un alloggio a canone concordato.

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legge 28 marzo 2014 numero 47 entrano finalmente nel vivo le misure annunciate dal ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, lo scorso 12 marzo in Consiglio dei ministri. 

Il decreto conferma un ulteriore sconto sulla cedolare secca  che passa dal 15 al 10 per cento per i proprietari che affittano un alloggio a canone concordato. È questa certamente la principale novità del decreto Lupi che secondo quanto calcolato da confedilizia si tradurrà per il proprietario in un vantaggio aggiuntivo medio di 720 euro per un reddito di 14 mila 400.

Lo sconto è in vigore dall'anno d'imposta 2014. La misura è valida solo per il triennio 2014-2017 e viene allargata anche agli alloggi locati da cooperative e organizzazioni senza scopo di lucro.

Ma oltre a questo intervento immediato vi sono anche molte altre misure che incidono sugli alloggi in affitto che tuttavia, a differenza della cedolare secca, richiederanno l'attuazione di specifici provvedimenti da parte dei ministeri e regioni.

Il decreto legge infatti dispone una maxi deduzione dei redditi d'impresa pari al 40 per cento dei ricavi da canone di locazione per le imprese che realizzano recuperando nuovi alloggi da destinare ad edilizia sociale. Gli sgravi fiscali sono previsti per le nuove costruzioni, per manutenzioni straordinarie o recupero degli alloggi esistenti. Il decreto limita lo sconto solo alle imprese immobiliari o di costruzioni e fissa al 40 per cento l'asticella della deduzione fiscale su Ires e Irap.

Il decreto Lupi interviene anche sulla vendita degli alloggi degli Istituti Autonomi case popolari agli inquilini degli stessi. Le procedure per l'alienazione dovranno essere approvate con decreto ministeriale Infrastrutture-Economia-Affari regionali previa intesa in Conferenza unificata.

Queste risorse contribuiranno peraltro a finanziare il programma di recupero degli alloggi inagibili degli stessi Iacp per i quali il decreto stanzia complessivamente 468 milioni di euro. Di questi almeno 400 milioni arriveranno però dal definanziamento di opere pubbliche bloccate.

Di particolare evidenza inoltre il decreto legge stanzia ulteriori 100 milioni di euro per il fondo di sostegno per l'affitto e 226 milioni di euro per il nuovo fondo per la morosità incolpevole che tutela gli inquilini che non riescono a pagare le rate dell'affitto e rischiano pertanto uno sfratto. 

Per gli inquilini di alloggi sociali inoltre viene introdotta la possibilità di riscattare la casa dopo 7 anni di assegnazione. Fin dal suo ingresso nell'abitazione inoltre l'inquilino potrà imputare una quota del canone d'affitto come anticipo sull' acquisto futuro dell'appartamento.

Nell'apprendistato professionalizzante, la formazione pubblica sarà una mera possibilità lasciata al datore di lavoro. 

Con l'approvazione del decreto legge Poletti (dl 34/2014) sono cambiate nuovamente le regole relative al contratto di apprendistato. L'articolo 2 del decreto legge interviene infatti sul testo unico dell'apprendistato di cui al decreto legislativo numero 167/2011 in diversi punti. Tra le principali novità viene abrogato l'obbligo della forma scritta del piano formativo individuale.

Secondo Giovanna Bernardi dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma la novità alleggerira' l'onere probatorio per il datore di lavoro. La Bernardi ricorda come il piano formativo individuale sia stato fino a oggi un elemento essenziale del contratto di apprendistato.

"Questo consisteva in un allegato al contratto che veniva redatto in forma scritta anche in base ai moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale mediante il quale veniva individuato il percorso formativo che l' apprendista doveva seguire.Il decreto legislativo 167 prevedeva che il piano formativo individuale doveva essere definito entro 30 giorni dalla conclusione del contratto di apprendistato. Ora però il decreto legge 34 ha abrogato l'obbligo di stipulare il piano formativo individuale in forma scritta. Di conseguenza si può ritenere che la formazione effettuata dell'apprendista possa essere provata anche mediante una semplice verifica in concreto della formazione svolta senza alcuna ulteriore formalità in capo al datore di lavoro."

L'altra novità che suscita molte perplessità agli addetti ai lavori è l'abrogazione di quella disposizione introdotta con la riforma della legge 92/2012 che aveva limitato la possibilità di assunzione di nuovi apprendisti alla circostanza che il datore di lavoro avesse confermato, al termine del periodo formativo, almeno il 50 per cento dei rapporti di apprendistato svolti nell'ultimo triennio (limite poi abbassato al 30 per cento fino al 2014).

Per molti infatti, l'abrogazione del vincolo può comportare il rischio di un abuso al ricorso di questa tipologia contrattuale. È vero tuttavia che il tentativo di stabilizzazione del rapporto di apprendistato, voluto con la riforma Fornero del 2012, aveva nei fatti fatto naufragare l'apprendistato in quanto eccessivamente oneroso e vincolante per il datore di lavoro.

Di grande novità invece è l'introduzione della modifica delle modalità di retribuzione degli apprendisti per la qualifica e per il conseguimento del diploma professionale. All'apprendista, per le ore in cui ha svolto formazione professionale, spetterà un equivalente retributivo pari al 35 per cento dell'intero monte ore di formazione.

Controversa poi la facoltizzazione, per il contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere, dell'obbligo di integrare la formazione professionalizzante dell'apprendista con offerta formativa pubblica. 

La più importante novità introdotta con il decreto legge Poletti è l'eliminazione della causale dal contratto a tempo determinato. Dallo scorso 21 marzo i datori di lavoro possono effettuare assunzioni a termine senza dover indicare le ragioni di carattere tecnico produttivo organizzativo o sostitutivo. 

Si tratta certamente di una novità significativa che tuttavia opera solo nel settore privato. Nel settore pubblico, infatti, è rimasto in vigore l'articolo 36 del Dlgs 165/2011 che obbliga alle Pa di indicare sempre le esigenze di carattere temporaneo o eccezionali che danno luogo al rapporto di lavoro a termine.

In sostanza per il datore di lavoro pubblico non ci sono grandi cambiamenti rispetto alle innovazioni che si sono prodotte nel settore privato. 

Nelle pubbliche amministrazioni resta in vigore l'obbligo di dover motivare in modo circostanziato la temporaneità oppure l'eccezionalità dell'esigenza per la quale si ricorre a contratti a tempo determinato.

Sono altri invece gli aspetti del decreto Poletti che hanno effetti anche con riguardo ai contratti a tempo determinato stipulati dalle Pa. Si tratta in particolare del nuovo regime delle proroghe secondo cui le pubbliche amministrazioni possono posticipare per otto volte la scadenza dell'assunzione di un lavoratore a termine a condizione tuttavia che si riferiscano alla stessa attività lavorativa. Resta fermo tuttavia il limite di durata di 36 mesi.

Anche per quanto riguarda il tetto del 20 per cento di dipendenti assunti con contratti a termine rispetto all'organico complessivo non dovrebbero esserci particolari problemi dato che il settore scuola è escluso da questa misura e vige il limite individuato dell'articolo 9 comma 28 del DL/78 2010 che prevede che le amministrazioni possono avvalersi di personale a tempo determinato nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009.

Sono comunque esclusi da questo limite i contratti a tempo determinato che sono stati stipulati per sostituire personale assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro, i lavoratori stagionali o coloro che hanno più di 55 anni. 

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