L'interessato si era cancellato dalla Cassa dal 1 gennaio 2007 in quanto titolare di pensione da altro ente e non più soggetto ad obbligo assicurativo ma era rimasto iscritto all'Albo dei dottori commercialisti svolgendo l'attività di sindaco di società cooperative ed iscrivendosi alla Gestione Separata dell'Inps per il corretto assolvimento degli obblighi previdenziali. A seguito della cancellazione l'interessato riteneva di non dover più versare nè il contributo soggettivo nè quello integrativo alla CNPADC in quanto la professione di commercialista risultava ormai priva del carattere continuativo e il reddito prodotto dall'attività di sindaco della società cooperativa non era più qualificabile come reddito professionale (come tale non assoggettabile al prelievo integrativo).
Il contributo integrativo
La Corte di Cassazione confermando la sentenza del Corte d'Appello ha respinto la tesi del professionista. Secondo la Corte, l'ordinamento della CNPADC consente l'esonero dall'iscrizione alla Cassa a quei soggetti che risultano iscritti ad un'altra forma di previdenza obbligatoria per lo svolgimento di un'attività diversa da quella di dottore commercialista, oppure se sono beneficiari di un trattamento pensionistico derivante dall'iscrizione a un'altra forma di previdenza obbligatoria. Costoro, conseguentemente, non sono tenuti al versamento del contributo soggettivo, bensì unicamente al versamento del contributo integrativo, dovuto da tutti gli iscritti all'albo di dottore commercialista, indipendentemente dall'iscrizione alla Cassa professionale.
Il presupposto impositivo del contributo integrativo - spiega la Corte - è da riconnettere alla mera iscrizione all'albo dei commercialisti unitamente alla presenza di corrispettivi rientranti nel volume d'affari ai fini dell'IVA. Ciò in quanto la finalità della contribuzione integrativa è di concorrere al finanziamento del sistema previdenziale di categoria per ragioni solidaristiche, proprio in quanto obbligatoria anche nei casi in cui non vi è obbligo di iscrizione alla Cassa professionale. La Cassazione conferma così l'orientamento già espresso in passato (Cass. n. 32167 del 2018; Cass. n. 5376 del 2019) nel quale è stato ribadito che il contributo integrativo deve essere versato da tutti gli iscritti all'Albo professionale e prescinde dalla formazione di un reddito professionale (circostanza esclusa ove il professionista si sia cancellato dalla Cassa).
La finalità solidaristica del contributo integrativo, peraltro, - conclude la Corte - non è messa in discussione dalla facoltà di destinare parte del contributo integrativo all'incremento dei montanti individuali "trattandosi di un mero ampliamento dei poteri gestionali delle casse che di certo non modifica il dato essenziale che l'obbligo di versamento del contributo integrativo, nei casi in cui ciò è previsto, prescinde dall'obbligo di iscrizione alla cassa medesima".