Pensioni, La speranza di vita si riduce (causa covid) ma la pensione non arriverà prima

Valerio Damiani Martedì, 07 Settembre 2021
Le stranezze del sistema previdenziale. L'Istat ha certificato per la prima volta una riduzione dell'aspettativa di vita degli italiani a causa della pandemia da COVID-19. Ma l'età pensionabile non potrà comunque ridursi perché la legge non lo consente.

Ieri l'ISTAT ha comunicato che nel 2020 la diffusione della pandemia e l’aumento del rischio di mortalità che ne è derivato hanno interrotto la crescita della speranza di vita alla nascita che aveva caratterizzato il trend fino al 2019. Rispetto all'anno precedente si è registrata una contrazione pari a 1,2 anni: l’indicatore si è attestato a 82 anni (79,7 anni per gli uomini e 84,4 per le donne) e a livello provinciale la speranza di vita si è ridotta nelle aree del Paese a più alta diffusione del virus durante la fase iniziale della pandemia (in particolare nella provincia di Bergamo).

Come noto dal 2013 i requisiti per il pensionamento sono legati a doppio filo con le variazioni ISTAT ed in forza di questo meccanismo tra il 2013 ed il 2019 sono già scattati tre adeguamenti pari complessivamente a 12 mesi. Nel 2021 la variazione è stata nulla e quindi anche l'età pensionabile non è aumentata ma nel 2023 l'ultimo scenario demografico pre-covid (Istat 2018) ipotizzava un aumento di altri tre mesi. Ora viene quindi da chiedersi se la pesante riduzione dell'aspettativa di vita causata dal COVID-19 possa mettere in discussione il prossimo scatto (previsto appunto per il 2023) riducendo addirittura l'età pensionabile. Purtroppo la risposta è negativa. Vediamo perché.

Come si calcola la speranza di vita

Prima di tutto occorre ricordare che la speranza di vita in materia previdenziale viene calcolata dall'ISTAT rispetto alla variazione dell'eta' corrispondente a sessantacinque anni sulla media della popolazione residente in Italia (e non alla speranza di vita media alla nascita). L'indicatore di riferimento è quindi leggermente diverso ma ciò non toglie che il dilagare della pandemia avrà fatto registrare una contrazione anche di questo parametro.

La legge impone, inoltre, che la variazione della speranza di vita relativa a ciascun biennio di riferimento (dal 2021 gli adeguamenti hanno cadenza biennale) sia computata, ai fini dell'adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento, in misura pari alla differenza tra la media dei valori registrati nei singoli anni del biennio medesimo e la media dei valori registrati nei singoli anni del biennio precedente. In sostanza per il calcolo del prossimo adeguamento (2023-2024) si prende in considerazione la media della speranza di vita (all'età di 65 anni) registrata negli anni 2019 e 2020 confrontandola con la media registrata negli anni 2017 e 2018. L'aumento in ogni caso non può essere superiore a tre mesi (in tal caso lo scatto eccedente si trasferisce sul biennio successivo) né può essere negativo salvo recupero in sede di adeguamento o di adeguamenti successivi.

La mancata riduzione

In definitiva anche se fosse registrata una riduzione della speranza di vita l'età pensionabile nel biennio 2023-2024 resterà pari a 67 anni e la diminuzione sarà trasferita sull'adeguamento successivo (previsto per il 2025) compensando l'eventuale incremento che dovesse presentarsi in tale occasione. Per la conferma ufficiale occorrerà attendere la fine di quest'anno quando l'ISTAT comunicherà la variazione sul biennio di riferimento ed il ministero del lavoro adotterà il relativo decreto che certificherà la presenza o meno di un aumento dell'età pensionabile a partire dal 1° gennaio 2023.

Il legislatore in pratica ha agganciato le pensioni al tasso ISTAT solo se conviene allo Stato. Se cresce la speranza di vita slitta l'età di pensionamento per bilanciare la maggiore durata delle pensioni ma se si riduce non si può più tornare indietro e la differenza viene incassata dallo Stato. E' una delle tante stranezze del nostro sistema previdenziale.

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