Pensioni

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E' stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale della Repubblica numero 89 del 16 Aprile il Decreto Interministeriale Economia-Lavoro relativo alle modalità attuative della quinta salvaguardia per 17 mila esodati.

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Il decreto interministeriale indica le modalità attraverso cui i 17mila lavoratori potranno fruire della quinta procedura di salvaguardia (articolo 1, comma 194 e ss della legge 147/2013). I lavoratori potenziali interessati dovranno presentare istanza di accesso all'Inps o alle Direzioni Territoriali del Lavoro entro il 15 Giugno 2014 (60 giorni dalla data di pubblicazione in GU del Dm). Qui il testo ufficiale del decreto.

 

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Niente da fare per i docenti che chiedono di poter accedere alla pensione con le vecchie regole. Nel Def il governo non ha previsto alcuna copertura per il progetto di legge Ghizzoni/Marzana.

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Il governo non ha indicato nessuna copertura per la proposta Ghizzoni/Marzana in favore dei 4 mila docenti che chiedono di poter accedere alla pensione con le regole antecedenti alla Riforma Fornero. Nel Def presentato nei giorni scorsi e questa settimana all'esame del Parlamento, non sono indicate le coperture su come reperire le risorse necessarie (complessivamente 430 milioni di euro) per consentire l'approvazione della proposta di legge in favore del personale della scuola che si trova nella cosiddetta "quota 96".

Si susseguono le reazioni negative non solo da parte dei firmatari la proposta di legge, ma anche da parte della maggioranza dei componenti le Commissioni Bilancio e Lavoro della camera che avevano impegnato il governo a riferire, prima della presentazione del Def 2014, proprio in merito al reperimento delle risorse necessarie per l'adozione delle urgenti iniziative normative previste dalla proposta di legge.

L'esecutivo di Renzi ha invece soprasseduto sulla questione. «Inseriremo quota 96 nel Def e lo voteremo solo se il problema degli insegnanti coinvolti sarà risolto, ha detto in un tweet Barbara Saltamartini, vicepresidente della Commissione Bilancio alla Camera, Ncd. Ma a questo punto è ormai chiaro che l'ipotesi della deroga sta tramontando.

Dopo lo stop della Ragioneria dello Stato e del MEF delle scorse settimane, Domenico Pantaleo della Cisl scuola denuncia che le speranze sono ridotte al lumicino. "E' ormai chiaro che, andare in pensione a partire dal prossimo 1° settembre, non avrà nessuna possibilità di realizzarsi a meno che la questione non trovi soluzione in una revisione dell'impianto della riforma Fornero".

Tre progetti per risolvere in maniera strutturale il problema degli esodati. Ma il nodo resta sempre quello delle risorse.

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La bagarre sugli esodati prosegue. Dopo la richiesta di avviare un tavolo di confronto tra Ministero del Lavoro, Economia ed Inps per definire il numero dei potenziali interessati, vediamo di fare il punto sulle ipotesi attualmente in pista per una soluzione strutturale al problema.

La prima sul tavolo è quella di approvare una nuova deroga, la sesta salvaguardia, partendo dalla proposta unificata licenziata dalla Commissione Lavoro della Camera lo scorso mese di marzo. L'ipotesi ha il pregio di non modificare l'impianto della Riforma del 2011 che sta portando molti benefici per le Casse dello stato, ma ha comunque un costo elevato su cui è difficile un'intesa politica.

La proposta unificata inoltre limita i benefici solo in favore di talune categorie di soggetti con precisi vincoli e paletti come è accaduto con le precedenti operazioni di salvaguardia; secondo i sindacati la proposta non ha quel carattere universale che consentirebbe di risolvere in maniera strutturale il problema di tutti coloro che si trovano senza lavoro e senza pensione. 

Ad esempio fuori dalla tutela rimarrebbero i cd. "esodandi" cioè coloro che hanno lasciato il posto di lavoro dal 2012 in poi che si troverebbero soggetti alle nuove regole di pensionamento.

Le ipotesi dei pensionamenti flessibili
 
La seconda ipotesi è quella dello scivolo a 62 anni ed è stata rispolverata nei giorni scorsi da Poletti. E' l'idea di consentire di andare in pensione ai lavoratori bloccati in mezzo al guado dalla riforma Fornero attraverso una modifica alla riforma previdenziale del 2011 con l'introduzione di un requisito anagrafico minimo (pari a 62 anni) ed un minimo di 35 anni di contributi.

Un'ipotesi, contenuta nel progetto di legge 857 presentato da Damiano, che tuttavia prevederebbe delle decurtazioni sull'assegno tanto piu' il lavoratore anticipi l'uscita. "Si tratterebbe però di tornare ai prepensionamenti con oneri miliardari per le casse dell'Inps", ha spiegato Giuliano Cazzola, esperto di previdenza ed ex vicepresidente della Commissione Lavoro che boccia categoricamente la possibilità di procedere in tal senso.

Infine sul tavolo c'è l'opzione targata Giovannini che in realtà è una variante del progetto appena esposto. L'ex ministro del Lavoro stava lavorando al progetto del "prestito pensionistico che prevederebbe la possibilità di riconoscere con un anticipo di 2 o 3 anni la pensione maturata a lavoratori rimasti senza impiego e senza ammortizzatore sociale con almeno 62 anni di età e 35 di contributi.

Una sorta di "prestito previdenziale" su cui il Governo Letta non riuscì a indicare i dettagli, che verrebbe incontro a persone e a imprese (come quelle di minori dimensioni) che attualmente non possono utilizzare gli strumenti previsti in materia dalla legislazione vigente.

Un'ipotesi strutturale con minori costi per lo stato (dato che il prestito sarebbe poi recuperato sulla pensione con un decurtazione entro il 10%) che inoltre avrebbe il pregio di non modificare le regole pensionistiche attualmente esistenti. Lo strumento sarebbe pertanto una ulteriore possibilità per anticipare la pensione a cui si accederebbe su base volontaria, con il possibile coinvolgimento delle imprese, come già avviene nei casi previsti dalla legge per le aziende di maggiori dimensioni.

Sempre sulle pensioni, Renzi ha prospettato di aumentare nel 2015 gli assegni sotto 1000 euro: un intervento che dovrebbe ricalcare la manovra Irpef in arrivo a maggio. Ma anche in questo caso c'e un problema di costi perche circa il 40% del pensionati (7-8 milioni di persone) ha un assegno basso, sotto i mille euro: servirebbero quindi almeno altri 5 miliardi per il bonus anche a loro.

Passate le Elezioni Europee del 25 Maggio, il premier Renzi e la maggioranza saranno costretti ad un intervento di riordino sulla previdenza.

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Una volta terminate le elezioni europee di Maggio, per centrare i vincoli di bilancio concordati con Bruxelles, il governo dovrebbe essere costretto ad un intervento sul settore previdenziale in grado di eliminare almeno i privilegi più costosi e ingiusti di alcune categorie, che nella Prima e Seconda Repubblica hanno ottenuto di poter incassare «pensioni d’oro» in cambio di contributi più bassi rispetto a quelli previsti per la generalità dei lavoratori Inps.

Il riordino dovrebbe peraltro coincidere con un intervento strutturale sulle pensioni sotto i mille euro, come annunciato l'altro giorno dal Premier Matteo Renzi, per il 2015.

Un intervento su questo capitolo è del resto chiesto anche dal Consiglio d'Europa che come si ricorderà, ha richiamato piu' volte l’Italia perché le pensioni minime (circa 500 euro mensili) non consentono una vita dignitosa. La platea dei possibili interessati ammonta ad oltre 7milioni di pensionati.

Sotto i 500 euro ci sono 2,2 milioni di assegni mentre nella fascia tra 500 e mille euro gli assegni sono poco piu' di 4,9 milioni. Numeri davvero significativi che fanno comprendere la realtà del paese.

Anche per quanto riguarda il problema degli esodati, ci si augura che le forze politiche riescano a trovare la quadra e le risorse necessarie a soddisfare i tanti annunci che si sono susseguiti in questi ultimi tempi.

Insomma un intervento "manutentivo" sulla Riforma del 2011 appare quanto mai necessario. Il dilagare della disoccupazione e del precariato sta portando alla luce problemi che un tempo sembravano superati: milioni di cittadini vanno verso una vecchiaia in povertà.

La coalizione di governo dovrebbe cogliere l'occasione per fissare "regole uguali per tutti", alzare le pensioni minime, fissare un «tetto» massimo alle rendite alte, risolvere in maniera strutturale la questione degli esodati e delegare alle casse di categoria solo la previdenza integrativa.

La rete degli esodati contraria all'ipotesi di introdurre il prestito pensionistico: "Vogliamo solo il nostro diritto alla pensione. Non chiediamo assistenza sociale".

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“La cosiddetta riforma Fornero è stata una manovra finanziaria che ha fatto cassa alle spalle dei pensionandi. All’inizio del 2012 gli esodati erano 400 mila, poi 160 mila sono stati salvaguardati. Ma restano centinaia di migliaia di persone ancora in attesa di capire cosa succederà: gran parte di noi sono senza reddito e senza pensione, altri lo stanno per diventare, e abbiamo davanti a noi un periodo da due a sette anni in queste condizioni”. A dirlo è Francesco Flore, della Rete Comitati Esodati in occasione della manifestazione indetta per oggi (14 aprile) dalla Rete davanti alla Camera dei Deputati. “Per l’ottava volta – aggiunge – siamo qui davanti a Montecitorio, continueremo a esserlo anche domani, mentre dopodomani saremo davanti al ministero del Lavoro per manifestare ancora una volta tutta la nostra rabbia per un diritto del quale siamo stati derubati”.

La salvaguardia dei 160 mila ‘esodati’ è avvenuta attraverso cinque successivi interventi. “Noi li abbiamo vissuti come vere e proprie lotterie” spiega Flore: “sono state cinque ‘toppe’, messe lì per correggere gli squilibri e gli obbrobri creati dalla riforma. Da oltre due anni ascoltiamo le promesse di presidenti che, da un lato, dichiarano che con gli esodati lo Stato ha fatto un patto che bisogna onorare, dall’altro, questo patto rimane disatteso”. Nell’ultimo anno la Commissione Lavoro della Camera ha elaborato una proposta di legge dedicata agli esodati, che, pur non risolvendo “totalmente il problema, è un passo importante verso la soluzione. Questa proposta di legge, condivisa da tutti i partiti, doveva iniziare il suo percorso in aula il 27 marzo. L’avvio è poi slittato a oggi, ma l’esame ancora non è cominciato. E questo perché non si hanno ancora i numeri esatti degli esodati, quindi non si possono calcolare le coperture finanziarie. Una vera e propria beffa”.

A distanza di due anni, insomma, ancora non si conosce con esattezza il numero degli esodati. “Nel maggio 2012 l’Inps comunica alla Fornero i numeri degli esodati, che sono circa 400 mila. La Fornero impugna la relazione dell’Inps, subito scatta una polemica becera tra la Fornero e il presidente dell’Inps, con il risultato che quel documento viene insabbiato” spiega Flore: “ancora oggi non sanno quanto siamo, ma è impossibile che l’Inps non conosca i numeri, questa cosa è inaccettabile per un paese civile. Soprattutto è inaccettabile perché blocca una proposta di legge che, in qualche maniera, ne salvaguarda almeno una buona parte”.

La settimana scorsa, in un presidio davanti al ministero delle Finanze, la Rete Comitati Esodati è stata ricevuta dal sottosegretario Pier Paolo Baretta. “Ha detto – spiega Flore – che il governo intende risolvere il problema in maniera strutturale e definitiva. L’intenzione è istituire una commissione ad hoc tra i ministeri delle Finanze e del Lavoro, l’Inps, la Ragioneria dello Stato e le Commissioni Lavoro di Camera e Senato per certificare i numeri che arrivano dall’Inps, per poi presentare una proposta definitiva al Parlamento”. Qualche giorno fa, infine, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha proposto, per risolvere la questione degli esodati, la creazione di “uno scivolo per accompagnarli alla pensione". Una soluzione che la Rete respinge con fermezza: “da quel poco che abbiamo capito sarebbe ipotizzare dell’assistenza, quindi un’Aspi o qualcosa di simile, da qui fino alla pensione. Ma noi non vogliamo assistenza, noi vogliamo il ripristino del nostro diritto alla pensione, niente di più”.

La classe politica dovrà mettere al centro della propria azione i giovani e la crescita del paese. Se lo stallo continuasse la previdenza per i giovani resterà un miraggio.

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"Se dovessimo dare la simulazione della pensione rischieremmo un sommovimento sociale", si lasciò scappare nel 2012 l’ex Ministro del Lavoro Elsa Fornero, responsabile della famigerata Riforma Pensionistica del 2011. Eppure in quelle parole c’era un pezzo di verità che non si riesce a far emergere.

Quanto riceveranno, davvero di pensione, i giovani di oggi? Il sistema di calcolo contributivo ormai in vigore dal 1996 per tutti i nuovi entrati nel mondo del lavoro (e poi esteso dal 1° gennaio 2012 anche nei confronti di coloro che godevano ancora del retributivo) sappiamo che lega direttamente l’assegno alle somme effettivamente versate. In molti casi i giovani però non riusciranno a costruirsi una pensione adeguata.

Una situazione che va corretta. Partendo intanto dal dire loro la verità su quanto effettivamente prenderanno di pensione. Negli ultimi mesi, più volte è stata promessa la cosiddetta  «Busta arancione»: un documento inviato a ciascun lavoratore con l’indicazione della pensione che presumibilmente andrà a incassare, per capire quale sarà il proprio destino pensionistico, in modo da poter pensare a soluzioni alternative.

Si tratta questo di un atto di trasparenza verso milioni di contribuenti italiani. Un atto dovuto dato che in questi anni le aliquote contributive sono aumentate soprattutto per i lavoratori autonomi e parasubordinati. Merito della Riforma del 2011.

Ma della riforma Fornero, meritano di essere evidenziati anche gli effetti sul numero degli accessi al pensionamento. Nel 2013 sono state liquidate 649.621 pensioni rispetto ai 1.146.340 di nuovi trattamenti del 2012 (-43%). Le pensioni eliminate nel 2013 sono state 742.195 con un saldo di quasi 100mila trattamenti in meno viventi nell’anno.

L’Inps, per il 2014, prevede che vi saranno 596.556 nuove pensioni a fronte di 739.924 assegni da eliminare. Il crollo più vistoso riguarderà le pensioni di anzianità (ora pensioni di vecchiaia anticipate) che passeranno dalle 170.604 del 2013 alle 80.457 previste per il 2014 (-52,8%).

Insomma la classe politica dovrà fermarsi un attimo e creare maggiore trasparenza. E soprattutto mettere al centro i giovani.

Serve maggiore riflessione e meno decisioni d'impeto. Perchè il tema previdenziale rischia di esplodere in tutta la sua drammaticità nei prossimi anni. Si potrebbe introdurre una maggiore flessibilità: aliquote più basse a inizio carriera, più alte al progredire del reddito. Anche se la vera sfida è quella di far ripartire il paese. Il sistema contributivo, infatti, lega le pensioni alla dinamica del Pil. E se il paese crescesse del 3% l’anno, il rapporto tra ultimo reddito e pensione potrebbe aumentare anche del 25%.

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