Eleonora Accorsi

Eleonora Accorsi

Sono una giornalista freelance. Collaboro con diverse testate e blog nella redazione di notizie ed approfondimenti su materie fiscali e di diritto del lavoro. Dal 2014 collaboro con la redazione di PensioniOggi.it

Il Jobs Act prevede l'introduzione del contratto unico per favorire l'assunzione dei giovani fino a 35 anni.

Nei prossimi mesi potremmo assistere ad una nuova rimodulazione del mercato del lavoro, l'ennesima in questi anni.  Secondo quanto previsto nel "Jobs Act" il governo Renzi varerà una mini riforma per agevolare le imprese ad assumere attraverso l'introduzione del cosiddetto contratto unico. Che in pratica è l'equivalente di un contratto di inserimento a tutele crescenti. E a tempo indeterminato, è questo l'elemento di novità.

Le tutele crescenti significano che in caso di licenziamento del lavoratore, in una prima fase verrano sterilizzati gli effetti dell'articolo 18, sostituendoli con indennità proporzionale al periodo lavorato. Il datore di lavoro sarà pertanto libero di licenziare per un periodo di tempo limitato, un periodo di sperimentazione. L'obbligo di reintegra - la cd. tutela reale - scatterà solo per il licenziamento discriminatorio. Superata la prima fase di applicazione del contratto unico, le regole ordinarie dell'articolo 18 vengono nuovamente ripristinate.

Ancora non chiaro invece il campo di applicazione del nuovo contratto unico. Secondo una prima ipotesi il contratto dovrà essere limitato solo al primo contratto ricomprendendo comunque i disoccupati di lunga durata. In alternativa il contratto potrebbe essere applicato senza vincoli a tutti giovani fino a 35 anni oppure ancora a tutti i rapporti di lavoro per facilitare ulteriormente l'accesso al lavoro.

Il programma di Renzi prevede anche una sforbiciata ad quelle forme di lavoro flessibile introdotte con la riforma Biagi nel 2001: in particolare l'abrogazione del lavoro a chiamata e del lavoro ripartito.

È pari a 0,265056 il coefficiente per la rivalutazione delle quote per il trattamento di fine rapporto TFR accantonate al 31 dicembre 2013 relativo al mese di gennaio.  L'indice dei prezzi al consumo calcolato dall'Istituto nazionale di statistica, con esclusione del prezzo dei tabacchi lavorati, è al valore di 107,3.

Tramite i dati resi noti dall'Istituto di statistica è possibile calcolare quindi il dato del trattamento di fine rapporto, introdotto dalla legge n. 297/82. Il calcolo viene fornito mensilmente per permettere di rivalutare le somme accantonate al 31 dicembre dell'anno precedente, nel caso di cessazione di rapporti di lavoro e/o conteggi in sede di bilanci infrannuali.

Secondo quanto stabilito dal codice civile (articolo 2120) il trattamento di fine rapporto accantonato al termine di ogni anno deve essere rivalutato mensilmente sommando due elementi: il 75% dell'aumento del costo della vita rispetto al mese di dicembre dell'anno precedente (colonna rival. 75%); e l'1,50% annuo, frazionato su base mensile.

In caso di corresponsione di un anticipazione del TFR il tasso di rivalutazione si deve applicare su l'intero importo accantonato fino al periodo di paga in cui l'erogazione del trattamento viene effettuata. Relativamente al resto dell'anno l'aumento si applica in bici solo sulla quota al netto della situazione è quella che rimane a disposizione del datore di lavoro. Non si rivaluta invece la quota di TFR versata dei lavoratori ai fondi di previdenza complementare. Dal primo gennaio 2001 la rivalutazione del trattamento di fine rapporto è soggetta all'imposta sostitutiva del 11 per cento.

Nel dubbio circa il 50% dei professori che raggiungono i requisiti per la pensione nel 2014 sceglieranno l'uscita del 1° Settembre

Secondo quanto emerge da un'indagine condotta dalla Cisl scuola, tra gli oltre 20mila docenti e personale Ata che entro il prossimo 31 Dicembre 2014 perfezionerà i requisiti per il trattamento di vecchiaia o anticipato, almeno il 55% avrebbe già presentato domanda di cessazione dal servizio. Nei precedenti anni il rapporto tra coloro che avevano maturato il diritto e la scelta effettiva si attestava intorno al 30-35%.

Insomma una vera e propria fuga verso la pensione, per chi se lo può permettere, ovviamente. Secondo il rappresentante sindacale della Cisl, Gianni Aldovrandi, i docenti si trovano in una situazione di profonda incertezza che li spinge ad andare in pensione piuttosto che rimanere al lavoro. "Da un lato c'è il diffuso timore che nei prossimi mesi si possa assistere ad un nuovo cambiamento delle regole, e questo non aiuta di certo la categoria, dall'altro c'è l'impossibilità da un punto di vista anagrafico a poter rimanere a scuola".

Sul primo punto Aldovrandi rassicura: "il rischio di un inasprimento è ingiustificato. Chi ha già maturato il diritto con la normativa attuale potrà continuare ad andare in pensione in qualsiasi momento anche se ci saranno cambiamenti peggiorativi. E' già accaduto con la Riforma del 2011: chi aveva maturato il diritto con le vecchie regole entro il 31 dicembre 2011, ha potuto mantenere la vecchia disciplina anche se non ha lasciato subito il posto di lavoro. E comunque le norme sono già molto dure. E' impensabile che ci sia una nuova stretta".

Secondo Aldovrandi però la fuga è dovuta anche all'impossibilità di rimanere in servizio sino ai nuovi requisiti per la pensione, soprattutto quella di vecchiaia. "Già a 55 anni per gli insegnanti risulta difficile gestire una classe, ricordare le lezioni, spiegare ed interrogare. Figurarsi resistere sino ad oltre 66 anni come vuole la legge Fornero. E' chiaro quindi che non appena raggiungono il primo requisito utile i docenti se ne vanno in pensione, soprattutto le donne". E ciò anche al prezzo di pesanti riduzioni.

Secondo la Cisl sono infatti soprattutto le prof. a chiedere il collocamento a riposo spaventate dall'idea di dover restare almeno altri 5-6 anni al lavoro. "I docenti che si presentano nelle nostre strutture sono in gran parte donne che cercano la scappatoia dell'uscita con il sistema di calcolo contributivo". Una scelta sofferta in quanto prevede una decurtazione di circa il 20-25% sull'assegno ma che in cambio consente un'uscita anticipata di diversi anni. L'opzione è fruibile però solo per quelle pensioni la cui decorrenza, cioè comprensiva del periodo di finestra mobile, sia entro il 31 Dicembre 2015. "Considerando quanto stabilito dall'Inps, le ultime lavoratrici che potranno beneficiare dell'istituto sono coloro che entro il 2014 potranno vantare almeno 57 anni e 3 mesi di età e 35 anni di contributi" afferma Aldovrandi.

A pesare sul mondo della scuola sono anche i timori circa il blocco della cosiddetta "riforma della quota 96". Secondo Aldovrandi il disegno di legge che dovrebbe consentire a questi lavoratori di accedere alla pensione dal 1° settembre 2014 (attualmente all'esame della camera) "molto probabilmente verrà accantonato. Le risorse appaiono scarse e il nuovo esecutivo vorrà concentrarsi su temi di maggiore rilevanza come un'ulteriore allargamento delle maglie degli esodati piuttosto che consentire l'accesso alla pensione a poche migliaia di insegnanti, che senza nulla voler loro togliere, partono comunque da una situazione meno svantaggiata".

Il rappresentante sindacale ricorda comunque che una "mini sanatoria" per il personale della scuola è stata già effettuata grazie all'articolo 11-bis del decreto legge 102/2013. Nel decreto approvato ad Ottobre scorso è stata infatti inserita una norma, fruibile anche dai docenti e dal personale Ata, che consente, a coloro che nel corso dell'anno 2011 risultavano essere in congedo per assistere parenti disabili, la possibilità di accedere alla pensione anticipata dal prossimo 1° settembre 2014 a condizione di poter far valere entro il corrente anno i requisiti anagrafici e contributivi utili per accedere alla pensione secondo la normativa previgente all'entrata in vigore della riforma Fornero.

Entro il prossimo 1° marzo 2014 i lavoratori dovranno presentare domanda per il riconoscimento dello svolgimento di lavori particolarmente faticosi e pesanti, con riferimento ai soggetti che perfezionano i requisiti nell’anno 2014.

L'Inps ha comunicato ieri, con il messaggio 2668, le modalità per la presentazione delle domande volte al riconoscimento dello svolgimento di lavori particolarmente faticosi e pesanti ai sensi del decreto legislativo 67 del 2011.

Analogamente a quanto disposto nella 2013, l'Inps rappresenta che entro il 1° marzo 2014 i lavoratori in questione che maturino i requisiti nell'anno 2014, sono tenuti a presentare la domanda.

Requisiti pensionistici per i lavoratori usuranti nel 2014 - Com'e' noto il citato decreto ha previsto requisiti di anzianità e contributivi più favorevoli rispetto alle regole di pensionamento introdotte dal decreto Salva Italia per tutelare proprio tale categoria di soggetti. Requisiti agevolati basati - similmente a quanto accadeva per le vecchie pensioni di anzianità - sul perfezionamento di una minima età anagrafica e contributiva e il contestuale raggiugimento di una quota minima calcolata sommando l'età anagrafica a quella contributiva. Ecco i requisiti validi per il 2014.

In particolare i lavoratori addetti alla cosidetta "linea di catena", i conducenti di veicoli adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo e i lavoratori notturni occupati per un numero di giorni lavorativi pari o superiori a 78 l'anno, possono conseguire il trattamento pensionistico ove in possesso di una anzianità contributiva di almeno 35 anni e, se lavoratori dipendenti, di un'età minima di 61 anni e 3 mesi fermo restando il raggiungimento di quota 97,3,  se lavoratori autonomi, di un'età minima di 62 anni e 3 mesi fermo restando il raggiungimento di quota 98,3.

I lavoratori notturni occupati per un numero di giorni lavorativi da 64 a 70 l'anno, possono conseguire trattamento pensionistico ove in possesso di un'anzianità contributiva di almeno 35 anni e, se lavoratori dipendenti, di un'età minima di 63 anni e 3 mesi fermo restando il raggiungimento di quota 99,3, se lavoratori autonomi, di un'età minima di 64 anni e 3 mesi fermo restando il raggiungimento di quota 100,3.

I lavoratori notturni occupati per un numero di giorni lavorativi da 72 a 77 l'anno, possono invece conseguire trattamento pensionistico ove in possesso di una anzianità contributiva di almeno 35 anni e, se lavoratori dipendenti, di un'età minima di 62 anni e 3 mesi e contestuale perfezionamento di quota 98,3, se lavoratori autonomi, di una età minima di 63 anni e 3 mesi e il perfezionamento di quota 99,3.

Restano in vigore le vecchie finestre mobili - L'Inps ricorda anche che i lavoratori in questione sono soggetti alle finestre mobili di cui all'articolo 12, comma 2 del Dl 78/2010. Pertanto la prima decorrenza utile è fissata trascorsi 12 mesi dalla data di maturazione dei requisiti per coloro che accedono al trattamento pensionistico a carico di una delle gestioni dei lavoratori dipendenti e 18 mesi per coloro che sono a carico della gestione speciale dei lavoratori autonomi.

Posticipo della decorrenze - Qualora i lavoratori in questione presentino domanda oltre termine del 1° marzo andranno incontro ad un differimento della decorrenza del trattamento pensionistico. In particolare il posticipo sarà pari ad un mese se la domanda viene presentata entro il 1° aprile 2014; di 2 mesi se la domanda viene presentata successivamente al 1° aprile 2014 ma entro il 1° giugno 2014; di 3 mesi se la domanda viene presentata successivamente al 1° giugno 2014.

Scarsi margini di manovra per il nuovo governo sul sistema previdenziale. Anche Renzi dovrà fare i conti con la necessità di tenere sotto controllo la spesa pubblica e mantenere fermo il punto di equilibrio tra contribuenti e pensionati.

"L'attuale sistema previdenziale non potrà essere stravolto dal nuovo governo". In altri termini sulle pensioni non si tornerà indietro anche se potranno essere inseriti alcuni migliorativi. A ribardirlo è stato ieri il sottosegretario al Welfare Alberto Brambilla che ha difeso il lavoro svolto dalla Fornero. "La riforma ha assicurato un buon punto di equilibrio tenendo in debita considerazione, da un lato le esigenze dovute all'allungamento della vita media e, dall'altra, gli interessi dello Stato che in questo particolare momento storico ha necessità di ridurre la spesa pubblica. Soprattutto quella legata alle prestazioni previdenziali".

Un equilibrio in parte raggiunto con i sacrifici imposti agli italiani dal Dl 201/2011 che infatti, a distanza di due anni dalla sua entrata in vigore, comincia a far sentire i propri effetti sulle casse dello Stato. Secondo gli ultimi dati diffusi dall'Inps nel 2013 sono state liquidate 649.621 nuove pensioni con un calo pari al 43 percento rispetto al 2012. Il numero di prestazioni pensionistiche erogate mensilmente resta tuttavia molto elevato: l'Inps ha stimato in 18 milioni e mezzo il numero di pensionati a cui ogni mese versa l'assegno. Numero ancora fortemente connotato da una componente retributiva (cioè non ancorato ai contributi versati nell'arco della vita lavorativa ma legati all'ultimo stipendio percepito dal lavoratore). E' questo ciò che mette sotto forte pressione i conti dell'Istituto. Squilibrio che è stato in parte riversato con le ultime manovre a carico degli stessi pensionati. Si pensi ad esempio al mancato adeguamento all'inflazione degli assegni e l'introduzione di prelievi di solidarietà sui trattamenti più elevati.

Tuttavia resta il fatto che almeno 50 per cento della spesa previdenziale va a vantaggio di soggetti che nella loro vita lavorativa non hanno mai versato i contributi necessari. Un regalo che lo Stato ha fatto in un periodo di crescita economica che pesa oggi sulle spalle dei contribuenti. Lo squilibrio si ridurrà certamente nel tempo, mano a mano che gli effetti dell'entrata in vigore del sistema contributivo dal 1° gennaio 2012 si faranno sentire, ma non è detto che sia comunque sostenibile per le casse dello Stato. Soprattutto se l'Italia non uscirà rapidamente dalla crisi economica in cui è caduta che fa calare il gettito contributivo. Insomma un periodo di crisi potrebbe mandare all'aria i conti che sono stati alla base della Riforma Fornero.

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