
Lavoro
Articolo 18, così cambia l'indennizzo
Entro la fine del Gennaio entrerà in vigore la Riforma della Disciplina dei licenziamenti illegittimi. Il reintegro sarà ammesso solo in casi "residuali".
Kamsin Il reintegro del lavoratore sul posto di lavoro resterà possibile solo per il licenziamento discriminatorio, per quello intimato in forma orale oppure nel caso di licenziamento disciplinare (giustificato motivo soggettivo o giusta causa) quando sia accertato in giudizio che il fatto contestato al lavoratore non sussiste. Negli altri casi, per i nuovi assunti resterà solo il meccanismo delle tutele crescenti, cioè un indennizzo proporzionato al periodo di permanenza in azienda: la misura è pari a due mensilità per ogni anno, con un minimo di quattro ed un massimo di ventiquattro. Passiamo dunque in rassegna le novità:
Licenziamenti economici - Nelle imprese con piu' di 15 dipendenti prima, con la riforma Fornero, ogni lavoratore dipendente assunto a tempo indeterminato poteva essere licenziato per ragioni «economiche» in cambio di un indennità monetaria. Ma: 1) si doveva passare per un giudice; 2) serviva molto più tempo; 3) l'azienda avrebbe speso di più (da un minimo di 12 a un massimo di 24 mensilità, più eventuali incentivi); 4) il giudice avrebbe potuto decidere di restituire il posto di lavoro al lavoratore licenziato, cioè la tutela dell'articolo 18.
Ora, con la riforma, per chi ha già un contratto di lavoro attivo continuano a valere le regole della legge Fornero. Chi verrà assunto con un contratto «a tutele crescenti», sarà facilmente licenziabile: basterà pagare un'indennità che varia da un minimo di 4 mensilità di stipendio, e sale di 2 mensilità per anno di servizio fino a un tetto di 24 mensilità. Non si passa mai per il giudice, a meno che il lavoratore voglia cercare di dimostrare che si tratta di un licenziamento discriminatorio e nullo. La stessa disciplina riguarda anche i licenziamenti collettivi, quelli effettuati in caso di crisi aziendale.
Nelle imprese con meno di 15 dipendenti (se agricole, meno di 5) la disciplina vigente non prevede mai il reintegro in caso di licenziamento ingiustificato. C'è solo un indennizzo economico che può oscillare tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità. Con la Riforma Renzi si prevede che per tutti i nuovi assunti in una impresa di piccole dimensioni valgono le procedure stabilite per i licenziamenti economici nelle grandi aziende: soltanto che le indennità economiche sono dimezzate. In pratica, si parte da due mesi di stipendio il primo anno, si sale di una mensilità l'anno fino a un massimo indennizzo pari a sei mesi di stipendio del lavoratore.
Novità anche sui licenziamenti disciplinari. Con la legge Fornero in alcuni casi erano i contratti collettivi, in altri un giudice, a stabilire che cosa accadeva a un lavoratore licenziato per ragioni disciplinari, se la sanzione del licenziamento era proporzionata alla colpa commessa o meno. In generale, il lavoratore poteva recuperare il posto se il fatto contestato non esisteva oppure rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa. In altri casi il lavoratore perdeva il posto, ricevendo però un indennizzo dal datore di lavoro, variabile a seconda dei casi da un minimo di 6 a un massimo di 24 mensilità di stipendio. Adesso per tutti i lavoratori assunti dopo la riforma la reintegra nel posto di lavoro diventa piu' difficile. Resterà infatti in vigore soltanto per i soli casi di insussistenza materiale del fatto contestato, a prescindere da quello che stabiliscono i contratti. In tutte le altre situazioni il lavoratore sarà licenziato, e riceverà in cambio una indennità economica.
Per quanto riguarda, infine, il capitolo dedicato ai licenziamenti discriminatori, la normativa attualmente vigente prevede che se il licenziamento è riconosciuto come discriminatorio (legato a orientamenti sessuali, religione, opinioni politiche, attività sindacale, motivi razziali o linguistici, handicap, gravidanza, malattia, come stabiliscono leggi e Costituzione) il lavoratore sia subito reintegrato dal giudice nel suo posto di lavoro. In più all'azienda si impone il pagamento dello stipendio maturato nel periodo di assenza obbligata per il lavoratore. La Riforma Renzi lascia immutata questa disciplina stabilendo, però, che dagli stipendi arretrati il datore di lavoro possa detrarre quanto incassato dal lavoratore licenziato grazie ad altri lavori. Viene anche precisato che il risarcimento minimo è pari a 5 mensilità piu' i contributi arretrati. Resta ferma la possibilità per il lavoratore di andarsene comunque dall'azienda prendendosi un'indennità di 15 mensilità.
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Congedo Maternità, se la nascita non arriva nel giorno presunto
Com'è noto dopo la data effettiva del parto la madre ha diritto ad un periodo di congedo dal lavoro. Si tratta di un periodo obbligatorio di astensione dal lavoro pari a tre mesi successivi al parto, mesi che decorrono dalla data effettiva della nascita del bambino. Kamsin Molti dei nostri lettori ci chiedono cosa accade qualora, però, la madre partorisca qualche giorno prima o qualche giorno dopo la data indicata dal certificato di gravidanza. Può perdere qualche giorno di congedo mentre nell'altro guadagna invece qualche giorno? Oppure la legge opera in diverso sistema di calcolo?
Per evitare spiacevoli discussioni in azienda al rientro dalla maternità è utile sapere che in tali circostanze non si verifica nessuna perdita, al piu' ci sarà un incremento del periodo di riposo. Ad esempio se la madre dovesse partorire 5 giorni dopo la data indicata nel certificato di gravidanza, il periodo di congedo partirà dalla data effettiva del parto con la conseguenza che il periodo di congedo si dilaterà di 5 giorni in avanti rispetto a quanto originarimente previsto. Ad esempio se la madre doveva partorire il 15 gennaio 2015 ma il bambino nascerà il 20 gennaio il congedo arriverà sino al 20 aprile. Nel caso opposto, qualora la data effettiva del parto sarà 10 gennaio (cinque giorni prima): il congedo durerà comunque fino al 15 aprile (tre mesi + cinque giorni di anticipazione dall'11 al 15 gennaio). Quindi, in queste circostanze, la madre vede, in realtà allungarsi il periodo di congedo.
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Aspi 2015, l'indennità di disoccupazione si allunga di due mesi
Con effetto sui licenziamenti dal 31.12.2014, la durata della mobilità si riduce se l’età è pari o sup eriore a 40 ann. Si riduce invece l'indennità di mobilità.
Kamsin In attesa della Naspi (Nuova assicurazione sociale per l'impiego) che entrerà in vigore «salvo intese» dal prossimo primo maggio, secondo il decreto attuativo varato dal Governo alla vigilia di Natale dal 1° gennaio 2015 cambia la durata delle indennità di disoccupazione Aspi e miniAspi e l'indennità di mobilità.
Per Aspi e miniAspi vale, infatti, ancora il regime transitorio previsto dalla riforma Fornero del 2012, che stabilisce periodi variabili per le indennità dal 2013 al 2016. Dal 2015 in arrivo nuove regole anche per l'arco temporale massimo relativo alla mobilità, diverso tra CentroNord e Sud Italia, con una marcata penalità per i lavoratori del Mezzogiorno. Vediamo allora le novità, che riguardano nel complesso una platea di circa 300mila persone a livello nazionale (secondo le ultime domande presentate all'Inps che eroga le prestazioni), di cui quasi 200mila nel Meridione.
Dal 1° gennaio 2015 i lavoratori dipendenti che avranno perduto involontariamente l'occupazione e che abbiano un periodo contributivo di almeno un anno nell'ultimo biennio e meno di 50 anni di età avranno diritto a due mesi in più di indennità di disoccupazione, ovvero dieci mesi in tutto (erano otto nel 2014). I mesi restano invece dodici, come nel 2014, se chi ha perso il lavoro ha tra i 50 e i 55 anni. Due mesi in più anche per chi ha oltre 55 anni: per loro l'aumento della durata dell'Aspi arriverà a sedici mesi di indennità (rispetto ai 14 mesi del 2014). In pratica, per costoro, risulterà piu' conveniente essere licenziati dal 1° gennaio 2015 rispetto che nel 2014.
Dal 1° maggio 2015 l'Aspi verrà, però, assorbita nella Nuova Aspi (Naspi) e dunque chi perderà involontariamente l'occupazione da maggio vedrà nuovamente cambiare i criteri di assegnazione e di durata dell'ammortizzatore sociale. Per quanto riguarda invece l'indennità di mobilità, destinata a confluire nell'Aspi dal 2017 secondo la riforma Fornero (e per la quale il decreto non prevede novità), l'anno prossimo la durata, in caso di licenziamenti in aziende industriali o commerciali con almeno 50 dipendenti, resterà di dodici mesi per chi ha fino a 39 anni, ma si ridurrà di sei mesi (da diciotto a dodici) per chi risiede nel Mezzogiorno. Per chi ha tra 40 e 49 anni passerà da 24 a 18 mesi (da 36 a 24 nel Meridione), mentre per gli over 50 l'indennità di mobilità passerà da 36 a 24 mesi (da 48 a 36 nel Sud).
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Congedo Post-Partum, il beneficio può essere prolungato
In talune circostanze una lavoratrice dipendente incinta potrebbe non essere in grado di proseguire il lavoro fino al termine del settimo mese per poi assentarsi dal lavoro nei due mesi restanti. In questo caso è utile ricordare che è possibile ottenere dalle amministrazioni pubbliche l'ampliamento del periodo di lontananza dal lavoro senza, però, perdere il diritto all'indennità di maternità pagata dall'Inps. Kamsin Questa assenza anticipata può essere disposta in tre casi: a) dalla Asl, nel caso di gravi complicazioni della gravidanza o di preesistenti forme morbose che potrebbero essere aggravate dal particolare stato della donna; b) dalla Direzione territoriale del lavoro, quando le condizioni di lavoro sono di pregiudizio alla salute della donna e del bambino, oppure quando la donna, addetta a lavori pesanti, pericolosi o insalubri, non possa essere spostata ad altre mansioni.
Questo stato precario di salute della donne potrebbe poi incidere pesantemente sul parto, che comunque è sempre un rischio non legato alle precedenti vicende di salute. Perciò il testo unico sulla maternità e paternità prevede quattro casi in cui sia il padre ad avere diritto al congedo post-partum, indipendentemente dal fatto che la madre ne abbia diritto in quanto lavoratrice. Il padre ne ha diritto quando la madre abbia una grave infermità che le consente di assistere il neonato; in caso di premorienza della madre o di abbandono del figlio; in caso di affidamento del figlio in via esclusiva al padre. In queste ipotesi passa all'uomo il diritto di restare a casa fruendo della indennità Inps. Diritto che viene riconosciuto fino al terzo mese di vita del figlio o per la minore parte residua che sarebbe spettata alla madre.
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Riforma Pensioni, Damiano: considerare anche le partite Iva
"Le misure per il lavoro autonomo sono insufficienti e contraddicono quello che il governo afferma a parole, cioè che il lavoro non è soltanto dipendente. Se è così bisogna aiutare anche quella parte del lavoro autonomo costituita dalle libere professioni, anche non regolamentate, per lo più svolte da giovani". Kamsin Così Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro, difende le partite Iva dalla legge di Stabilità del governo Renzi in una intervista raccolta da Il Giornale.
"Avere fissato il tetto per accedere al regime dei minimi a 15mila euro, rispetto ai precedenti 30mila. Poi, per i lavoratori con partita Iva della gestione separata Inps, non avere fermato l'aumento della contribuzione previdenziale della legge Fornero; un'altra mazzata".
Al giornalista che gli fa notare che quando era ministro anche lui avesse aumentato i contributi per gli autonomi Damiano risponde di aver sbagliato: "ho ammesso questo mio errore alla presenza dei giovani delle partite Iva e lo ribadisco. Nel 2007 ho sbagliato pensando che quel tipo di attività fosse tutta riconducibile al lavoro dipendente e, di conseguenza, che si potesse arrivare ad un tetto di contribuzione del 33%. Lo studio dell'argomento mi ha convinto che nell'ambito del lavoro autonomo ci sono differenze. Alcune partite Iva sono false ed è giusto cancellarle. Ma i giovani che scelgono volontariamente quella strada, devono essere equiparati ai lavoratori autonomi. Serve una riforma strutturale per portare la contribuzione al 24 per cento".
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Bonus Bebè 2015, ecco come si presentano le domande per il beneficio
Sale a 600 euro al mese il beneficio alternativo al congedo per consentire alle mamme di fruire della baby sitter o degli asili nido. Il bonus è stato esteso anche al settore pubblico.
Kamsin Via libera al bonus bebè per contribuire alle spese che le neo mamme devono sostenere per iscrivere i figli all'asilo nido o per mettere a disposizione la baby sitter. Il governo, infatti, in questi ultimi giorni ha confermato il bonus per le neo-mamme raddoppiandolo fino a 3600 euro ed estendendolo anche in favore delle lavoratrici dello stato e della pubblica amministrazione, fino ad oggi esclusi dal beneficio.
A stabilirlo è il decreto 28 ottobre 2014 pubblicato sulla G.U. n. 287/2014 che disciplina la misura alternativa al congedo parentale per gli anni 2014 e 2015.
Vediamo quindi come è strutturata la novità.
Chi ne può beneficiare - Possono presentare richiesta le madri lavoratrici dipendenti di pubbliche amministrazioni e di datori di lavoro privati, nonché le madri lavoratrici iscritte alla gestione separata. La richiesta si può presentare al termine del periodo di congedo di maternità e negli 11 mesi successivi, anche se intanto sia stato già in parte usufruito del congedo parentale. Niente bonus alle lavoratrici autonome (coltivatrici dirette, mezzadre, colone, imprenditrici agricole professionali, artigiane, commercianti eccetera).
Le spese agevolabili. Il bonus può essere alternativamente utilizzato per il servizio di baby sitting oppure per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati.
L'entità del bonus - Il bonus vale 600 euro mensili per un periodo massimo di sei mesi (quindi 3.600 euro totali), in base alla richiesta della lavoratrice. Per le lavoratrici iscritte alla gestione separata, invece, la durata massima si ferma a tre mesi (quindi 1.800 euro in tutto). In caso di lavoratrici a part time, il bonus è ridotto in misura proporzionale alla riduzione dell'orario di lavoro. Ma c'è una postilla. Se le risorse non dovessero bastare è previsto che, a domande già presentate, possa essere fissato un Isee per il riconoscimento del diritto o rideterminato l'importo del bonus.
Come si ottiene il bonus - Per accedere al bonus occorre presentare una domanda in via telematica sul sito inps entro il 31 dicembre di ogni anno, in cui specificare tra l'altro l'opzione scelta (servizi baby sitting o rete pubblica) e il numero di mensilità. Mensilità che poi non potranno più essere fruite sotto forma di congedo parentale e che per questo sono comunicate dall'Inps al datore di lavoro.
L'INPS pagheranno gli incentivi attraverso due modalità a seconda del servizio che viene richiesto. Nel caso in cui la mamma si voglia avvalere della baby sitter gli uffici daranno i voucher che la mamma consegnerà alla baby sitter, con i quali prendere i soldi presso qualsiasi ufficio postale. Nel caso in cui la madre voglia fruire degli asili nido l'Inps intratterrà il rapporto direttamente con le strutture in parola e pagherà le somme dietro presentazione della relativa documentazione.
In tale ipotesi si ricorda che l'Inps ha invitato proprio in questi giorni gli asili nido a convenzionarsi per gli anni 2014 e 2015. Agli asili che si iscriveranno l'Inps riconoscerà il bonus che permetterà alle mamme di evitare del tutto la retta o di pagarla in misura inferiore.
La successione degli atti è la seguente: 1) l'asilo presenta la domanda in via telematica; 2) l'Inps controlla che la struttura sia in regola con le norme previdenziali e del lavoro e abbia i requisiti chiesti dal bando; 3) in caso positivo la struttura viene inserita nell'elenco pubblicato sul sito dell'Inps. A questo punto la parola passa alle mamme: a) presentano la domanda per avere il bonus mensile; b) indicano l'asilo scelto tra quelli elencati dall'Inps; c) presentano l'attestato Isee che documenta le possibilità economiche della famiglia; d) l'Inps accetta o no la domanda.
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