Pensioni, Flop totale per il Part Time Agevolato agli ultra 63enni

Davide Grasso Sabato, 04 Febbraio 2017
Solo 200 le domande accolte all'Inps per fruire dell'agevolazione introdotta dallo scorso 2 giugno per i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato del settore privato. E il Governo toglie i fondi. 
Il part-time agevolato per i lavoratori del settore privato con più di 63 anni è stato un flop così come accaduto per quella sul Tfr in busta paga. Lo certifica il Presidente dell'Inps Tito Boeri nel corso della presentazione delle statistiche dell'istituto di previdenza avvenuta ieri. Dal 2 giugno 2016, data di entrata in vigore del decreto che dava la possibilità ai lavoratori che avrebbero maturato il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia entro il 31 dicembre 2018 di andare in part time verso la pensione, le domande accolte dall'Inps sono state appena 200La misura, sulla quale è stata attivata una campagna di comunicazione istituzionale per far conoscere a lavoratori e imprese i vantaggi dello strumento, è stata, infatti, finora fallimentare in tutte le regioni con 33 domande accolte in Lombardia, 21 nel Lazio, solo una in Molise, Basilicata e Valle d'Aosta e 5 rispettivamente in Liguria e nelle Marche. 

Il part-time agevolato consente ai lavoratori a tempo indeterminato nel settore privato che maturano 66 anni e sette mesi di età entro il 2018 con almeno 20 anni di contributi, previo accordo con il datore di lavoro, di ridurre l'orario in una misura compresa tra il 40% e il 60%. Con il part-time il lavoratore ha il vantaggio di percepire in busta paga, oltre alla retribuzione per l’attività lavorativa svolta, anche una somma esente dall’Irpef pari ai contributi a carico del datore di lavoro corrispondenti alla retribuzione persa. Il lavoratore non subisce così alcuna perdita sulla propria pensione perché viene comunque garantita la contribuzione piena con accredito figurativo per la quota che copre la retribuzione persa per le ore non lavorate. Ai fini del computo della pensione, quindi, gli anni a tempo parziale sono considerati pienamente a differenza di quanto accade in un part-time normale dove il lavoratore, se non vuole subire un danno sull'importo della pensione dovrà ricorrere al versamento dei contributi volontari oppure, se sono scaduti i termini, procedere al riscatto oneroso del periodo. 

In definitiva come già intuito su pensionioggi.it lo scorso anno l'accordo è conveniente solo per il lavoratore ma molto meno per il datore di lavoro che vede aumentare il costo del lavoro su base oraria (Qui è possibile simulare gli effetti in busta paga per il lavoratore). Da qui il fallimento praticamente totale della misura. A pesare anche il fatto che la norma ha escluso i lavoratori del pubblico impiego e i lavoratori che maturano entro il 2018 prima il requisito della pensione anticipata rispetto alla pensione di vecchiaia restringendo ulteriormente le possibilità di decollo dello strumento. Di fatto l'opzione è preclusa anche alle donne dato che chi può usare lo strumento deve essere nato prima del maggio 1952 e le donne nate prima di questa data sono in grandissima maggioranza uscite dal lavoro entro il 2016. Insomma come il TFR in busta paga l'operazione è stata segnata in partenza. Da qui la steccata del presidente dell'Inps, Tito Boeri che già aveva messo in guardia da "interventi estemporanei e parziali" con "costi amministrativi superiori alle somme erogate".

Segui su Facebook tutte le novità su pensioni e lavoro. Partecipa alle conversazioni. Siamo oltre cinquantamila

© 2022 Digit Italia Srl - Partita IVA/C.f. 12640411000. Tutti i diritti riservati