Il part-time agevolato consente ai lavoratori a tempo indeterminato nel settore privato che maturano 66 anni e sette mesi di età entro il 2018 con almeno 20 anni di contributi, previo accordo con il datore di lavoro, di ridurre l'orario in una misura compresa tra il 40% e il 60%. Con il part-time il lavoratore ha il vantaggio di percepire in busta paga, oltre alla retribuzione per l’attività lavorativa svolta, anche una somma esente dall’Irpef pari ai contributi a carico del datore di lavoro corrispondenti alla retribuzione persa. Il lavoratore non subisce così alcuna perdita sulla propria pensione perché viene comunque garantita la contribuzione piena con accredito figurativo per la quota che copre la retribuzione persa per le ore non lavorate. Ai fini del computo della pensione, quindi, gli anni a tempo parziale sono considerati pienamente a differenza di quanto accade in un part-time normale dove il lavoratore, se non vuole subire un danno sull'importo della pensione dovrà ricorrere al versamento dei contributi volontari oppure, se sono scaduti i termini, procedere al riscatto oneroso del periodo.
In definitiva come già intuito su pensionioggi.it lo scorso anno l'accordo è conveniente solo per il lavoratore ma molto meno per il datore di lavoro che vede aumentare il costo del lavoro su base oraria (Qui è possibile simulare gli effetti in busta paga per il lavoratore). Da qui il fallimento praticamente totale della misura. A pesare anche il fatto che la norma ha escluso i lavoratori del pubblico impiego e i lavoratori che maturano entro il 2018 prima il requisito della pensione anticipata rispetto alla pensione di vecchiaia restringendo ulteriormente le possibilità di decollo dello strumento. Di fatto l'opzione è preclusa anche alle donne dato che chi può usare lo strumento deve essere nato prima del maggio 1952 e le donne nate prima di questa data sono in grandissima maggioranza uscite dal lavoro entro il 2016. Insomma come il TFR in busta paga l'operazione è stata segnata in partenza. Da qui la steccata del presidente dell'Inps, Tito Boeri che già aveva messo in guardia da "interventi estemporanei e parziali" con "costi amministrativi superiori alle somme erogate".