Pensioni, Il Part-Time Agevolato è stato un Flop

Davide Grasso Domenica, 24 Settembre 2017
Solo 121 le domande accolte all'Inps sinora per fruire dell'agevolazione introdotta per i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato del settore privato.
Il part-time agevolato per i lavoratori del settore privato con più di 63 anni è stato un flop così come accaduto per quella sul Tfr in busta paga. Lo certifica il sottosegretario al Welfare, Luigi Bobba, in risposta ad una interrogazione parlamentare che si è tenuta questa settimana in Commissione Lavoro alla Camera. Dal 2 giugno 2016, data di entrata in vigore del decreto che dava la possibilità ai lavoratori che avrebbero maturato il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia entro il 31 dicembre 2018 di andare in part time verso la pensione, le domande accolte dall'Inps sono state meno di 162 di cui 121 sono state accolte. Le risorse finanziarie utilizzate, sino ad oggi, relativamente agli anni 2016,2017 e 2018 ammontano complessivamente a 1.208.959,44 euro. Insomma un vero e proprio buco nell'acqua sul quale, ha detto il Sottosegretario, il Governo avvierà una riflessione, al fine di verificare l'eventualità della proroga della misura per il prossimo anno.

Il part-time agevolato consente ai lavoratori a tempo indeterminato nel settore privato che maturano 66 anni e sette mesi di età entro il 2018 con almeno 20 anni di contributi, previo accordo con il datore di lavoro, di ridurre l'orario in una misura compresa tra il 40% e il 60%. Con il part-time il lavoratore ha il vantaggio di percepire in busta paga, oltre alla retribuzione per l’attività lavorativa svolta, anche una somma esente dall’Irpef pari ai contributi a carico del datore di lavoro corrispondenti alla retribuzione persa. Il lavoratore non subisce così alcuna perdita sulla propria pensione perché viene comunque garantita la contribuzione piena con accredito figurativo per la quota che copre la retribuzione persa per le ore non lavorate. Ai fini del computo della pensione, quindi, gli anni a tempo parziale sono considerati pienamente a differenza di quanto accade in un part-time normale dove il lavoratore, se non vuole subire un danno sull'importo della pensione dovrà ricorrere al versamento dei contributi volontari oppure, se sono scaduti i termini, procedere al riscatto oneroso del periodo. 

In definitiva come già intuito su pensionioggi.it lo scorso anno l'accordo è conveniente solo per il lavoratore ma molto meno per il datore che vede aumentare il costo del lavoro su base oraria (Qui è possibile simulare gli effetti in busta paga per il lavoratore). E dato che tra i due serve un accordo per far decollare la misura ecco spiegato il fallimento praticamente totale. A pesare anche il fatto che la norma ha escluso i lavoratori del pubblico impiego, quelli a tempo determinato, i lavoratori che maturano entro il 2018 prima il requisito della pensione anticipata rispetto alla pensione di vecchiaia restringendo ulteriormente le possibilità di decollo dello strumento. Oltre ad una mancanza di informazione per le stesse imprese. Di fatto l'opzione è preclusa anche alle donne dato che chi può usare lo strumento deve essere nato prima del maggio 1952 e le donne nate prima di questa data sono in grandissima maggioranza uscite dal lavoro entro il 2016. Insomma come il TFR in busta paga l'operazione è stata segnata in partenza. Se si volesse salvare la misura si potrebbe, dunque, estendere il part-time agevolato anche a queste categorie di soggetti, oppure dirottare le risorse verso strumenti di flessibilità più appetibili.

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