Pensioni, L'avvocato cancellato dalla Cassa non ha diritto alla restituzione dei contributi integrativi

Franco Rossini Giovedì, 05 Dicembre 2019
L'orientamento della Corte di Cassazione. La natura squisitamente solidaristica della contribuzione integrativa non consente l'azione di ripetizione da parte degli iscritti.
L'avvocato che viene cancellato retroattivamente dalla Cassa Forense nell'ipotesi in cui venga accertato l'esercizio della professione in regime di incompatibilità, non ha diritto alla restituzione anche della contribuzione integrativa versata alla Cassa.  Ciò in quanto E' quanto dichiara, in sintesi, la Corte di Cassazione con la sentenza numero 30571/2019 con la quale i giudici erano stati chiamati a pronunciarsi su una richiesta avanzata da un avvocato iscritto a cassa forense.

La contribuzione integrativa

Come noto il contributo integrativo - ai sensi dell'art. 11 della I. n. 576 del 1980 -  incombe su tutti gli iscritti agli Albi di avvocato e di procuratore nonché sui praticanti procuratori iscritti alla Cassa. Consiste nel pagamento di una maggiorazione percentuale (che è stata del 2% sino al 2012) su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale d'affari ai fini dell'IVA, ripetibile nei confronti del cliente.  È previsto un importo minimo risultante dall'applicazione della percentuale ad un volume d'affari pari a quindici volte il contributo minimo, dovuto per l'anno stesso. Il contributo è dovuto anche dai pensionati che restano iscritti all'Albo dei procuratori o degli avvocati o all'Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, ma l'obbligo del contributo minimo è escluso dall'anno solare successivo alla maturazione del diritto a pensione. Il contributo integrativo non è soggetto all'IRPEF né all'IVA e non concorre alla formazione del reddito professionale.

La questione

La Corte era stata chiamata a pronunciarsi sul diritto di un professionista ad ottenere la restituzione di tale contributo, nell'ipotesi in cui venga accertato l'esercizio della professione in regime di incompatibilità, con conseguente cancellazione retroattiva dalla Cassa. In una recente sentenza (Cass. 15109/2005) la Corte aveva affermato che l'accertamento da parte del giudice di merito di una situazione di incompatibilità con l'esercizio della professione legale e, quindi, con la stessa iscrizione all'Albo degli avvocati determina l'inesistenza dì un rapporto previdenziale legittimo con la Cassa forense, con il conseguente venir meno di (tutti) i diritti ed obblighi del soggetto illegittimamente iscritto. Sulla base di questo orientamento all'assicurato (illegittimamente iscritto) sarebbe spettata la restituzione dei contributi versati, secondo la disciplina dell'indebito (art. 2033 cc).

La Corte, tuttavia, precisa che l'azione di restituzione dei contributi versati (illegittimamente) è limitata ai soli contributi soggetti e non anche a quelli integrativi in quanto essi sono versati per ragioni squisitamente ed esclusivamente solidaristiche (Cfr: Cass. 10458/1998).

La natura solidaristica

A sostegno della tesi la Corte ricorda che l'art. 2, terzo comma, della legge n. 319 del 1975 dispone che l'attività professionale svolta in una delle situazioni di incompatibilità di cui all'art. 3 del r.d.l. n. 1578 del 1933, «ancorché l'incompatibilità non sia stata accertata e perseguita dal consiglio dell’ordine competente, preclude sia l'iscrizione alla Cassa, sia la considerazione, ai fini del conseguimento di qualsiasi trattamento previdenziale forense, del periodo di tempo in cui l'attività medesima è stata svolta», ma non revoca in dubbio che l'attività professionale sia stata legittimamente esercitata in virtù dell'iscrizione all'Albo.

Ne discende che il contributo integrativo non viene "indebitamente percepito" dalla Cassa nel periodo di iscrizione, ma viene da questa legittimamente riscosso, in forza delle disposizioni di legge vigenti e in relazione all'esercizio dell'attività professionale consentito dall'iscrizione all'Albo, sicché non trova applicazione l'art. 2033 c.c. che regola in via generale la ripetizione dell'indebito. Questa soluzione è confortata dall'art. 22 della stessa legge 576, che prevede espressamente al primo comma, per coloro che cessano dall'iscrizione alla Cassa senza aver maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione, solamente «il diritto di ottenere il rimborso dei contributi soggettivi, nonché degli eventuali contributi minimi e percentuali previsti dalla precedente legislazione», ma non dei contributi integrativi.

In altri termini il fine solidaristico che caratterizza il versamento di tale contribuzione non viene meno per effetto della cancellazione dell'iscritto. E, pertanto, conclude la Corte, la restituzione di un contributo pagato al solo fine di solidarietà deve essere negata in quanto snaturerebbe il contenuto impedendo l'attuazione del principio solidaristico costituzionalmente garantito.

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