Pensioni

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Secondo il Ministro della Pubblica Amministrazione e della Semplificazione, Marianna Madia, l'inefficienza delle Pubbliche Amministrazioni dovrà essere risolta attraverso piu' mobilità per i dipendenti pubblici. Peccato che le norme esistono già.

Il ministro Marianna Madia, fresca di nomina, ha dichiarato di voler accelerare sulla mobilità degli incarichi dirigenziali all'interno delle pubbliche amministrazioni. L'idea di base è quella di eliminare la figura del dirigente a tempo indeterminato nel settore pubblico: "un dipendente pubblico è a tempo indeterminato se vince un concorso. Il dirigente no. Stop allo strapotere delle burocrazie ministeriali", si legge nella bozza del cd. Jobs Act promosso dal nuovo esecutivo.

In realtà buona parte degli incarichi pubblici di livello dirigenziale già è a tempo determinato così come già ci sono diverse forme di mobilità per i dirigenti. E con le ultime riforme è anche passato il sistema di valutazione in base al merito richiesto oggi a gran voce dalla Madia e da Renzi. La mobilità nella pubblica amministrazione è infatti già pienamente regolata dal cd. "decreto Brunetta" e dalle sue svariate modifiche (contenute nel Dl 138/2010, nel Dl 78/2011, nella spending review del Dl 95/2012 e nel recente Dl 102/2013). Semmai dunque quello che dovrebbe fare Renzi è dare un impulso politico attraverso un confronto nuovo e aperto con il sindacato che tradizionalmente si è sempre opposto all'introduzione delle nuove regole. Insomma il punto vero è che queste norme non sono state mai applicate per interessi trasversali che tutelano la dirigenza del pubblico impiego.

La proposta di Renzi - Matteo Renzi vorrebbe creare un albo unico nazionale riservato ai dipendenti dirigenziali pubblici con un incarico massimo pari a 5 anni. Allo scadere del termine dovrà scattare la mobilità con la riassegnazione della risorsa all'interno della stessa o di un'altra amministrazione. Verrebbe inoltre introdotto un tetto massimo di 10 anni di permanenza nella stessa amministrazione. L'obiettivo è quello di rendere le amministrazioni pubbliche più produttive e più efficienti per favorire una ristrutturazione dello Stato. Produttività che dovrebbe essere raggiunta attraverso una revisione degli incarichi apicali, ricambio generazionale e la cultura dei risultati.

Nessuna agevolazione previdenziale per i lavoratori dipendenti che si assentano dal posto di lavoro per attività di protezione civile. E' questo quanto si legge in un comunicato del Patronato Inca della Cgil che ha rappresentato la risposta formulata dall'ex ministro del lavoro Enrico Giovannini al Parlamento lo scorso 20 Febbraio. Il ministro ha infatti confermato che non sono utili ad escludere le penalità della pensione anticipata (articolo 6, comma 2-quater del Dl 216/2011) le giornate in cui i lavoratori abbiano fruito di permessi speciali per assentarsi dal posto di lavoro come volontari nelle operazioni di soccorso e di assistenza alle persone in occasione delle calamità naturali e nelle attività di addestramento e simulazione.  Secondo l'ex ministro del Lavoro Giovannini è necessario reperire le risorse per la copertura del provvedimento.

La Cgil esorta quindi nuovo esecutivo e il nuovo Ministro del Lavoro Giuliano Poletti ad approvare una correzione alla riforma Fornero per tutelare il mondo del volontariato. Nel comunicato la Cgil ricorda che negli ultimi anni le richieste presentate al governo sono state in buona parte accolte. Ad esempio è stata ricompresa nella contribuzione utile ad escludere la penalizzazione per l'accesso alla pensione anticipata la contribuzione figurativa attribuita ai donatori di sangue, quella derivante dalla fruizione dei congedi parentali di maternità e paternità e a chi ha usufruito dei permessi e dei congedi per coloro che assistono parenti in situazioni di grave disabilità.

L'Inps ha confermato che il monitoraggio delle domande pervenute per la fruizione del beneficio di cui all'articolo 18, comma 22-quater del Dl 98/2011 convertito in legge 111/2011 è quello della data di cessazione del rapporto di lavoro dei potenziali beneficiari. E' quanto afferma una nota interna dell'istituto pubblicata venerdì scorso.

Qualora dal predetto monitoraggio risulti il superamento di 5mila domanda di ammissione al beneficio, l'Istituto non potrà prendere in esame ulteriori domande di pensionamento finalizzate a fruire dei benefici previsti.

I 5mila potenziali beneficiari della salvaguardia della legge 111/2011 -  L'articolo 18 comma 22 ter della legge 111/2011 ha incrementato le finestre di decorrenza per i lavoratori cosidetti quarantisti - cioè coloro che raggiungono i requisiti per la pensione di anzianità indipendentemente dal requisito anagrafico secondo la vecchia disciplina, in pratica i vecchi 40 anni di contributi. L'intervento ha comportato un incremento nella finestra di decorrenza variabile da 1 a 3 mesi a seconda della data di maturazione del requisito contributivo. Se i 40 anni sono raggiunti nel 2012 la finestra avrà una durata pari a 13 mesi, se il requisito è raggiunto nel 2013 la finestra sarà di 14 mesi, se raggiunto nel 2014 ed oltre la finestra sarà di 15 mesi. Per i lavoratori autonomi la finestra sarà rispettivamente pari a 19, 20 e 21 mensilità.

Il successivo comma 22-quater ha tuttavia esentato dallo slittamento 5mila soggetti che si trovino nelle seguenti situazioni: lavoratori collocati in mobilità ordinaria o lunga sulla base di accordi sindacali stipulati prima del 30 giugno 2011 a condizione che maturano i requisiti per la pensione in quel periodo di fruizione dell'indennità di mobilità; b) lavoratori titolari della prestazione straordinaria a carico di fondi di solidarietà di settore al 6 luglio 2011.

L'Inps ha pertanto confermato che la formazione della graduatoria dei 5mila beneficiari verrà effettuata sulla base della data di cessazione del rapporto di lavoro come peraltro accaduto per altre salvaguardie. I lavoratori per usufruire del beneficio possono indicare nella domanda di pensione la richiesta di fruire dei benefici previsti ex articolo 18 comma 22-quater del DL 98/2011 convertito in legge 111/2011.

Gli ammessi in posizione utile nella graduatoria terranno pertanto ferma la finestra di decorrenza a 12 mensilità (18 se autonomi) anche se perfezioneranno i 40 anni di contribuzione dopo il 31.12.2011.

Il nuovo ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, dovrà affrontare questioni molto delicate: dalla Riforma del Lavoro alla lotta contro la disoccupazione giovanile, dagli esodati al taglio del cuneo fiscale. Sullo sfondo la gestione della crisi di molte aziende italiane.

"Sono sicuro che la condizione essenziale per ottenere buoni risultati sia quella di una collaborazione efficace con il Parlamento che con le forze sociali" ha affermato il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti appena dopo la nomina. Sicuramente servirà una forte collaborazione e molta tenacia per affrontare le sfide che sono sul tavolo del neo ministro.

Il problema disoccupazione - In primo luogo nell'agenda Poletti c'è il problema dell'occupazione che ha registrato a Dicembre  ancora un ulteriore calo. A preoccupare è soprattutto quella giovanile che ormai viaggia oltre il 41% con picchi nelle regioni meridionali intorno al 50%. Renzi vorrebbe favorire le regole per assumere rimuovendo però buona parte di quei contratti atipici introdotti con la Riforma Biagi accusati di favorire il precariato. E introducendo un contratto d'inserimento unico a tempo indeterminato con tutele via via crescenti affiancandolo ad una revisione "ragionata e senza pregiudiziali" dell'articolo 18.

Gli ammortizzatori sociali - Poletti dovrà anche risolvere le oltre 160 vertenze di aziende in crisi che sono approdate sul Ministero di Via Veneto e trovare risorse per rinnovare gli strumenti di sostegno al reddito per i prossimi mesi. Questione delicata in quanto il neo-ministro dovrà rifinanziare strumenti molto costosi come la cassa integrazione e la mobilità in deroga.

Il cuneo Fiscale - La sfida piu' dura sarà però quella di iniziare una riduzione efficace del cd. "cuneo fiscale" per restituire maggiore competitività alle aziende italiane nei confronti dei concorrenti esteri e allo stesso tempo fare entrare piu' denari in busta paga ai lavoratori.

La Riforma delle Pensioni - Poi c'è il capitolo pensioni, materia sulla quale si avvertono ancora gli effetti controversi dalla Riforma Fornero del 2011. Poletti e Renzi si muoveranno nel solco tracciato da Letta e dall'ex numero uno di via Veneto, Enrico Giovannini: l'introduzione di strumenti che consentano una maggiore flessibilità in uscita. E probabilmente il nuovo esecutivo non potrà che intervenire nuovamente sul capitolo esodati.

Il Nuovo Ministro del Lavoro - Giuliano Poletti, 63enne imolese padre di due figli, ha una carriera alle spalle trascorsa l'interno della politica e nel mondo delle cooperative. Qui infatti riveste il ruolo di presidente nazionale di Lega Coop e, da poco, è diventato presidente anche dell'Alleanza delle Cooperative.

Ieri a Roma si è tenuto l'incontro organizzato da Sergio Iasi, amministratore delegato di Prelios, sul futuro del sistema previdenziale italiano. Il tema della discussione è stato incentrato su come garantire un futuro previdenziale sostenibile per le prossime generazioni. All’incontro ha partecipato Alberto Brambilla, coordinatore del comitato tecnico scientifico del Centro Studi Itinerari Previdenziali e già sottosegretario con delega alla previdenza.

Secondo Brambilla il tema è delicatissimo e destinato ad emergere in tutta la sua gravità nei prossimi anni. Soprattutto se non ci saranno adeguati correttivi. “Bisognerà trovare un punto di equilibrio perché i giovani sono doppiamente penalizzati: da un lato, oggi non riescono ad avere un reddito vero e proprio per la crisi di posti di lavoro, e dall'altro, domani non riusciranno a garantirsi una pensione dignitosa a causa del nuovo sistema di calcolo che li penalizza rispetto ai loro padri” ha detto Brambilla.

L’ex sottosegretario torna dunque a premere sulla necessità di introdurre adeguati rimedi. Che secondo Brambilla potrebbero essere individuati proprio nell'introduzione di un contributo di solidarietà su tutte le pensioni retributive (cioè quelle che hanno trattamenti economici superiori a quelli che deriverebbero dai contributi effettivamente versati). Un contributo che dovrebbe essere aumentato in modo proporzionale in base all’entità del trattamento economico erogato.

Per Brambilla si potrebbe introdurre un contributo dello 0,5% per quelle pensioni fino a 700 euro lordi al mese, circa 3,5 euro (in pratica il costo di quattro caffè al mese), con un incremento graduale sui trattamenti economici superiori. Che poi dovrebbe accelerare per colpire le pensioni d'oro tipo Banca d'Italia, fondi speciali, organismi costituzionali, vitalizi parlamentari, senza escludere le pensioni dei colonnelli e dei generali delle Forze Armate. Secondo Brambilla “si potrebbe anche effettuare un prelievo sul Tfs dei dipendenti pubblici che ancora oggi si calcola sull'ultima retribuzione percepita”.

“Si tratta di un'operazione che potrebbe portare alle casse dello stato 5 miliardi di euro da utilizzare per riequilibrare la Riforma Fornero”. Il tutto a vantaggio delle nuove generazioni. Secondo gli scenari elaborati da Itinerari Previdenziali infatti la prospettiva per i giovani è molto allarmante. “Per tutti i giovani che hanno iniziato a lavorare dal 1 gennaio 1996, l'integrazione al minimo non ci sarà più e non ci saranno neppure le maggiorazioni sociali delle pensioni. Chi non avrà versato a sufficienza dovrà lavorare anche in età avanzata. Con le risorse ottenute si potrebbero attenuare queste criticità” ha detto Brambilla.

Nel dubbio circa il 50% dei professori che raggiungono i requisiti per la pensione nel 2014 sceglieranno l'uscita del 1° Settembre

Secondo quanto emerge da un'indagine condotta dalla Cisl scuola, tra gli oltre 20mila docenti e personale Ata che entro il prossimo 31 Dicembre 2014 perfezionerà i requisiti per il trattamento di vecchiaia o anticipato, almeno il 55% avrebbe già presentato domanda di cessazione dal servizio. Nei precedenti anni il rapporto tra coloro che avevano maturato il diritto e la scelta effettiva si attestava intorno al 30-35%.

Insomma una vera e propria fuga verso la pensione, per chi se lo può permettere, ovviamente. Secondo il rappresentante sindacale della Cisl, Gianni Aldovrandi, i docenti si trovano in una situazione di profonda incertezza che li spinge ad andare in pensione piuttosto che rimanere al lavoro. "Da un lato c'è il diffuso timore che nei prossimi mesi si possa assistere ad un nuovo cambiamento delle regole, e questo non aiuta di certo la categoria, dall'altro c'è l'impossibilità da un punto di vista anagrafico a poter rimanere a scuola".

Sul primo punto Aldovrandi rassicura: "il rischio di un inasprimento è ingiustificato. Chi ha già maturato il diritto con la normativa attuale potrà continuare ad andare in pensione in qualsiasi momento anche se ci saranno cambiamenti peggiorativi. E' già accaduto con la Riforma del 2011: chi aveva maturato il diritto con le vecchie regole entro il 31 dicembre 2011, ha potuto mantenere la vecchia disciplina anche se non ha lasciato subito il posto di lavoro. E comunque le norme sono già molto dure. E' impensabile che ci sia una nuova stretta".

Secondo Aldovrandi però la fuga è dovuta anche all'impossibilità di rimanere in servizio sino ai nuovi requisiti per la pensione, soprattutto quella di vecchiaia. "Già a 55 anni per gli insegnanti risulta difficile gestire una classe, ricordare le lezioni, spiegare ed interrogare. Figurarsi resistere sino ad oltre 66 anni come vuole la legge Fornero. E' chiaro quindi che non appena raggiungono il primo requisito utile i docenti se ne vanno in pensione, soprattutto le donne". E ciò anche al prezzo di pesanti riduzioni.

Secondo la Cisl sono infatti soprattutto le prof. a chiedere il collocamento a riposo spaventate dall'idea di dover restare almeno altri 5-6 anni al lavoro. "I docenti che si presentano nelle nostre strutture sono in gran parte donne che cercano la scappatoia dell'uscita con il sistema di calcolo contributivo". Una scelta sofferta in quanto prevede una decurtazione di circa il 20-25% sull'assegno ma che in cambio consente un'uscita anticipata di diversi anni. L'opzione è fruibile però solo per quelle pensioni la cui decorrenza, cioè comprensiva del periodo di finestra mobile, sia entro il 31 Dicembre 2015. "Considerando quanto stabilito dall'Inps, le ultime lavoratrici che potranno beneficiare dell'istituto sono coloro che entro il 2014 potranno vantare almeno 57 anni e 3 mesi di età e 35 anni di contributi" afferma Aldovrandi.

A pesare sul mondo della scuola sono anche i timori circa il blocco della cosiddetta "riforma della quota 96". Secondo Aldovrandi il disegno di legge che dovrebbe consentire a questi lavoratori di accedere alla pensione dal 1° settembre 2014 (attualmente all'esame della camera) "molto probabilmente verrà accantonato. Le risorse appaiono scarse e il nuovo esecutivo vorrà concentrarsi su temi di maggiore rilevanza come un'ulteriore allargamento delle maglie degli esodati piuttosto che consentire l'accesso alla pensione a poche migliaia di insegnanti, che senza nulla voler loro togliere, partono comunque da una situazione meno svantaggiata".

Il rappresentante sindacale ricorda comunque che una "mini sanatoria" per il personale della scuola è stata già effettuata grazie all'articolo 11-bis del decreto legge 102/2013. Nel decreto approvato ad Ottobre scorso è stata infatti inserita una norma, fruibile anche dai docenti e dal personale Ata, che consente, a coloro che nel corso dell'anno 2011 risultavano essere in congedo per assistere parenti disabili, la possibilità di accedere alla pensione anticipata dal prossimo 1° settembre 2014 a condizione di poter far valere entro il corrente anno i requisiti anagrafici e contributivi utili per accedere alla pensione secondo la normativa previgente all'entrata in vigore della riforma Fornero.

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