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I giornalisti in quiescenza possono continuare a collaborare con la pubblica amministrazione. Alle predette attività, infatti, non si applica il divieto imposto dall'articolo 6 del dl n. 90/2014 il quale è circoscritto ai soli incarichi di studio, consulenza e a quelli dirigenziali. Kamsin È quanto si legge nel testo della deliberazione n. 15/2015, con cui la Corte dei conti  sezione centrale di controllo di legittimità sugli atti delle amministrazioni pubbliche ha fatto chiarezza sulla portata normativa delle disposizioni introdotte al citato articolo 6, dove si prescrive che è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di attribuire incarichi di studio e consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza.

Oggetto del casus belli è un contratto di attività giornalistica, consistente nella cura della comunicazione ed informazione istituzionale, stipulato nel dicembre dello scorso anno tra il Ministero dello sviluppo economico ed una giornalista in pensione. Analizzando lo stesso, il collegio della magistratura contabile ha preliminarmente rilevato che, per ascrivere o meno tale contratto nell'alveo del divieto normativo imposto, occorre individuarne la natura e che, in dettaglio, questo viene espressamente intestato quale «contratto di collaborazione ex art. 2 Cnnl giornalisti del 26 marzo 2009». A seguito delle osservazioni formulate in istruttoria, il Mise rilevava che l'incarico esaminato non ammette alcun vincolo di subordinazione, lo svolgimento di responsabilità gestionali né l'assegnazione di risorse umane o di capitoli di spesa dell'Amministrazione prevedendo esclusivamente lo svolgimento dell'attività giornalistica.

Sul punto, la Corte ha osservato che la norma limitatrice si esprime nel senso che il divieto si circoscrive ai soli «incarichi di studio» ed «incarichi di consulenza», oltre che agli «incarichi dirigenziali». Pertanto, un contratto di natura giornalistica non può rientrare nel divieto normativo sopra citato. La limitazione imposta dal legislatore, infatti, è da valutare come criterio di stretta interpretazione e, quindi, non è possibile estenderne gli effetti fondandosi su semplici analogie. In poche parole, il divieto di conferire incarichi a soggetti in quiescenza è applicabile ai soli casi espressamente indicati all'articolo 6 del dl n. 90/2014

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Le pensioni ricomprese tra i 2300 e i 2800 euro lordi al mese nel 2011 potrebbero avere un saldo negativo rispetto agli attuali importi liquidati.

Kamsin Il decreto legge sulla rivalutazione delle pensioni (Dl 65/2015) inizierà dalla Camera il percorso per la conversione in legge che dovrà avvenire, a pena di decadenza, entro il 20 luglio.  Il provvedimento governativo, com'è noto, interviene sul comma 25 dell'articolo 24 del Decreto Legge 201/2011 introducendo, retroattivamente, un diverso sistema di indicizzazione degli assegni superiori a 3 volte il trattamento minimo inps e sino a 6 volte il minimo. La misura si è resa necessaria per rispondere alla sentenza della Corte Costituzionale 70/2015 con la quale la Consulta ha dichiarato illegittimo il blocco totale dell'indicizzazione delle pensioni superiori a 3 volte il minimo inps nel biennio 2012-2013.

I pensionati interessati dalla misura sono coloro che avevano un assegno, a carico della previdenza obbligatoria, ricompreso tra i 1405 euro e i 2.810 euro lordi al 31 dicembre 2011 (con fascia di garanzia sino a 2.818 euro). Questi assegni infatti nel biennio 2012-2013 non hanno ottenuto alcuna rivalutazione e si sono trascinati una perdita nel corso degli anni.

Nello specifico il provvedimento riconosce per il biennio 2012-2013 una rivalutazione, sull'intero importo del trattamento, pari al 100% sugli assegni sino a 3 volte il minimo (confermando sostanzialmente la normativa in vigore); al 40% sino a 4 volte il trattamento minimo; al 20% sino a 5 volte il minimo e del 10% sino a 6 volte il minimo. Non è corrisposta alcuna rivalutazione per gli importi superiori a 6 volte il minimo. Nel biennio 2014-2015 la rivalutazione di tali trattamenti passa al 20% di quella riconosciuta nel biennio precedente per tutte le fasce sopra menzionate (cioè da 3 a 6 volte il minimo) e dal 1° gennaio 2016 la rivalutazione sale al 50% di quella riconosciuta nel biennio 2012-2013.

A partire dal 2014 e fino al 2016 questo sistema di calcolo, che andrà a sostituire il sistema introdotto dal governo Letta, ridurrà praticamente a zero l'indicizzazione in modo da contenere (per non dire annullare) l'aumento mensile dovuto alla perequazione 2012 e 2013. L'obiettivo del governo, infatti, è di garantire entro il 2016 il medesimo importo lordo di pensione erogato attualmente senza riconoscere un aumento strutturale (se non in misura minima) dell'assegno nel tempo (qui è possibile simulare gli effetti sugli assegni).

Questo obiettivo, se sostanzialmente viene centrato per gli assegni piu' bassi, rischia però di danneggiare i pensionati con trattamenti ricompresi tra 5 e 6 volte il minimo che potrebbero addirittura vedersi corrispondere, dopo il piccolo ristoro sul biennio 2012-2013, un importo minore rispetto a quanto erogato attualmente. Per questi pensionati sarebbe utile inserire, in sede di conversione in legge del provvedimento, una regola secondo la quale l'importo ricalcolato con le nuove regole non possa essere inferiore a quanto attualmente erogato. Dal 2017 la rivalutazione di tali trattamenti tornerà poi ancorata alle regole generali che potrebbero essere riviste anche in senso piu' favorevole.

Nel provvedimento ci sono anche altre misure sul sistema previdenziale. La data di pagamento di tutte le prestazioni previdenziali viene spostata al primo di ogni mese a partire dal 1° giugno; si sterilizzano gli effetti negativi dell'andamento quinquennale del Pil (il cd. tasso di capitalizzazione) sul montante contributivo; si rifinanzia di un miliardo il Fondo Sociale per l'Occupazione per garantire gli ammortizzatori sociali in deroga per l'anno 2015 e i contratti di solidarietà.

Documenti: decreto legge 65/2015

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Il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti: pronti a concedere maggiore flessibilità in uscita a partire dalla prossima legge di stabilità. Sono le aziende che, in primis, ci chiedono la staffetta generazionale.

Kamsin "In quattro mesi c'è stato un significativo incremento dei contratti a tempo indeterminato mentre si sono ridotte le tipologie di lavoro precario. Un fatto positivo perché la precarietà crea svantaggi non solo alle persone, ma a tutto il sistema economico". Lo afferma il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in un'intervista al Corriere della Sera.

"Premesso che i nuovi contratti a tempo indeterminato garantiscono tutte le tutele che i contratti precari non prevedono, sette punti sono già un grande passo in avanti - prosegue -. Credo che arrivare entro l'anno al 25% dei contratti a tempo indeterminato sarebbe un ottimo risultato. Significherebbe un contratto stabile ogni quattro attivati. Prima era uno su sei". Quanto al Jobs Act, "sono già attivi i nuovi ammortizzatori per chi perde il lavoro, che durano più a lungo e coprono più persone. Dopo i 4 decreti legislativi gia' approvati, il governo varerà entro i primi di giugno altri 4 decreti, completando così l'attuazione del Jobs act. Uno riguarderà l'Agenzia unica sulle ispezioni, perché non è possibile che un'azienda subisca, magari in momenti diversi, i controlli degli ispettori del ministero, di quelli dell'Inps e di quelli dell'Inail. Un altro decreto avrà come obiettivo l'universalizzazione degli ammortizzatori sociali. A regime vorremmo estendere i sostegni ai lavoratori delle imprese con almeno 5 dipendenti".

Sul tema delle pensioni, "la flessibilità in uscita è importante non solo per rimuovere alcuni elementi di rigidità del sistema previdenziale, ma anche per favorire l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, in questi ultimi anni oggettivamente limitato anche dall'allungamento dell'età pensionabile - sottolinea il ministro -. Sono le stesse aziende che ci richiedono questa sorta di staffetta generazionale. Quanto alle proposte ne parleremo a settembre con la legge di Stabilità, in base alle risorse disponibili".

Per Poletti "la lotta alla povertà è una priorità, perché con la crisi le diseguaglianze sono aumentate. Metteremo a disposizione tutte le risorse del ministero più i fondi dei piani europei per l'inclusione, ma so già che non basteranno. Su questo dovremo concentrare gli sforzi nella legge di Stabilità".

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I Comitati degli esodati chiedono un rapido sblocco dell'approvazione della settima salvaguardia, un provvedimento che consentirebbe di estendere il vecchio regime previdenziale nei confronti di ulteriori migliaia di lavoratori bloccati dalla Riforma Fornero

Kamsin Scenderanno in piazza giovedì prossimo sotto la sede dell'Inps per chiedere una celere approvazione della settima salvaguardia, le due proposte di legge presentate lo scorso mese di Aprile dalla minoranza dem e dalla Lega Nord alla Camera per estendere le tutele offerte dalla legge 147/2014.

«Esclusi dalle 6 salvaguardie finora approvate - ricorda un comunicato diffuso dalla Rete - restano almeno 49.500 cittadini, come certificato dal Governo e comunicato dal Sottosegretario Bobba in Parlamento lo scorso ottobre in risposta  ad interrogazione parlamentare n. 5-03439 dell’On. Gnecchi».

I rappresentati dei Comitati intendono riportare al centro dell'attenzione del Governo il problema dei lavoratori esodati dopo la sentenza della Consulta sul blocco biennale dell'indicizzazione delle pensioni e della recente apertura del Governo verso l'introduzione delle pensioni flessibili e del reddito minimo per gli ultra 55enni. Tali provvedimenti, per quanto urgenti, non devono pregiudicare l'iter legislativo delle salvaguardie per chiudere i "danni" determinati dalla legge Fornero del Dicembre 2011 nei confronti di quei lavoratori che, all'epoca, avevano già siglato accordi che prevedevano la cessazione del rapporto entro pochi anni.

«Stante il blocco dei lavori inerenti le due proposte di legge per una settima salvaguardia depositate in Commissione Lavoro della Camera - ricordano -, la cui “calendarizzazione” è impedita  dall’irragionevole ritardo dell’INPS nelle verifiche tecniche atte a quantificare e rendicontare i risparmi certi realizzati nei sei provvedimenti finora attuati e  che per legge devono essere adoperati per nuovi interventi di salvaguardia, la Rete dei Comitati ha deciso di indire una nuova manifestazione per giovedì 28 maggio, che inizierà il mattino davanti alla sede dell’INPS e proseguirà nel pomeriggio davanti ad altre sedi istituzionali e di quotidiani nazionali».

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Il Ministero della Funzione Pubblica apre la via ai «permessi di malattia ad ore», da utilizzare per visite mediche, terapie, cure specialistiche, esami diagnostici.

Kamsin Via libera ai permessi di malattia ad ore. Lo precisa ufficialmente la nota 7457/2015 con la quale il Dipartimento della funzione pubblica accoglie la recente sentenza del Tar del Lazio (n. 5714 del 17 aprile scorso). In attesa che la materia venga disciplinata con atti contrattuali, precisa Palazzo Vidoni, i dipendenti pubblici che dovranno assentarsi per visite mediche specialistiche (se tali visite non sono immediatamente riconducibili ad uno stato di malattia) potranno fruire di speciali permessi retribuiti aggiuntivi a quelli previsti dal contratto nazionale ai sensi del comma 5-ter dell’art. 55-septies del Dlgs 165/01 introdotto dall’art. 16 c. 9 della legge n. 111 del 15 luglio 2011. 

La materia, prima della sentenza, del Tar era regolata dalla Circolare 2/2014 della Funzione Pubblica nella quale si precisava che i pubblici dipendenti, anche per effettuare un semplice prelievo o una radiografia prescritti dal medico, dovevano utilizzare i permessi straordinari per motivi personali (massimo 3 giorni l'anno) oppure i giorni di ferie, venendo così compromesse sia la finalità di queste tipiche assenze sia la loro effettiva durata come stabilita dal contratto collettivo di lavoro.

Il Tar ha però annullato la circolare. Viene ora riconosciuto il pieno diritto del dipendente ad essere considerato regolarmente in malattia anche non per una intera giornata di lavoro. Dal momento che i contratti collettivi non possono essere modificati unilateralmente da semplici circolari, è in corso una trattativa sindacale con l'Aran, l'agenzia contrattuale per il settore pubblico, per inserire i nuovi permessi di malattia ad ore, stabilendone modalità e quantità, all'interno di un "pacchetto sociale", che comprenda anche le assenze di malattia collegate a terapie salvavita.

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