Pensioni, ecco i coefficienti per rivalutare le retribuzioni nel 2019

Davide Grasso Martedì, 09 Aprile 2019
L'Inps ha aggiornato i coefficienti per rivalutare le retribuzioni e determinare, quindi, la Quota A e la Quota B delle pensioni aventi decorrenza nel 2019. 
Si completa il puzzle per determinare la misura degli assegni pensionistici nel 2019. Dopo la diffusione del tasso di capitalizzazione dei montanti contributivi necessario al calcolo delle pensioni con decorrenza nel 2019 l'Inps ha aggiornato con il messaggio hermes 1290 del 28 Marzo 2019 in via preliminare i coefficienti di rivalutazione degli stipendi, quei valori che consentono di determinare, la media delle retribuzioni pensionabili percepite ai fini del calcolo delle quota degli assegni che sono ancora soggette al sistema di calcolo retributivo per i lavoratori iscritti presso l'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti e le gestioni speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti e coltivatori diretti). E' dunque possibile determinare con precisione l'importo delle pensioni aventi decorrenza nell'anno 2019.

Il calcolo retributivo, infatti, pur essendo stato definitivamente soppresso dal 1° gennaio 2012 continua ad essere utilizzato per determinare le quote dell'assegno riferite ai periodi precedenti cioè per quei lavoratori in possesso di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995. E si basa principalmente su due elementi. Il primo è quello del numero degli anni di contribuzione unito alla media delle retribuzioni lorde aggiornate e riferite agli ultimi anni di attività. L'ammontare della prestazione pensionistica è pari al 2% del reddito pensionabile per ogni anno di contribuzione: con 25 anni di contributi si ha diritto al 50% della media degli ultimi stipendi, con 35 anni di contributi si ha diritto al 70% sino a raggiungere l'80% con 40 anni di contribuzione. Le aliquote di rendimento diminuiscono poi gradualmente al crescere della retribuzione pensionabile.

La rendita è costituita dalla somma di due distinte quote, la quota A e la quota B. La prima corrisponde all'importo relativo alle anzianità contributive maturate fino al 31 dicembre 1992; l'altra, la B, si riferisce alle anzianità acquisite dal 1° gennaio 1993 sino al 31 dicembre 2011 (per chi può vantare almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995) oppure sino al 31 dicembre 1995 (per chi vanta meno di 18 anni di contributi alla predetta data). Per i lavoratori dipendenti la base pensionabile della quota A è costituita dalla media degli stipendi degli ultimi 5 anni che precedono la decorrenza della pensione. La base pensionabile della quota B si determina invece dalla media annua delle retribuzioni degli ultimi 10 anni (520 settimane contributive) se il lavoratore è in possesso di almeno 15 anni di contributi al 31 dicembre 1992 oppure dal 1988 sino alla decorrenza della pensione se il lavoratore è in possesso di meno di 15 anni di contributi alla predetta data. In tabella i valori validi per il 2019.

Gli importi impiegati per il conteggio non sono però quelli effettivamente incassati nella busta paga dal lavoratore ma sono quelli rivalutati tenendo conto dell'inflazione ed escludendo l'anno di decorrenza e quello immediatamente precedente. Per esempio uno stipendio di 30mila euro nel 2010 in pensione ne vale un pò di più quando deve essere riferito alla quota A o alla quota B di pensione. La discesa del tasso di inflazione, tuttavia, in questi ultimi anni ha compresso fortemente il potere di rivalutazione del suddetto meccanismo determinando un ulteriore impoverimento degli assegni. 

Si ricorda che per le pensioni con de­correnza dal 2012, il calcolo della rendita deve tener conto, oltre alle due fette di pensione calcolata con il metodo retributivo, anche di una ulteriore quota (C), riferita all'anzianità acqui­sita successivamente al 31 dicembre 2011 per tutti co­loro che potevano contare su 18 anni di versamenti al 31 dicembre 1995, i quali avevano in precedenza be­neficiato del solo criterio retributivo.

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