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L'idea è del presidente di Cts Itinerari Previdenziali. Introdurre un prelievo generalizzato e crescente su tutti gli assegni per incentivare le nuove assunzioni di giovani.

Kamsin La sentenza della Corte costituzionale che ha annullato la deindicizzazione delle pensioni oltre tre volte il minimo introdotta dalla legge Fornero, può essere un'opportunità per ripensare a come fare per generare un migliore equilibrio tra pensioni e lavoro.

Il ragionamento si basa su alcuni presupposti: 1) il nostro sistema previdenziale è a ripartizione il che significa che con i contributi dei lavoratori attivi si pagano le pensioni; 2) come ogni sistema a ripartizione anche il nostro sottende un patto generazionale cioè una garanzia che ogni generazione consentirà a quella che l'ha preceduta di percepire la pensione; 3) i tassi di occupazione nel nostro paese sono molto bassi; 4) il cuneo fiscale è elevatissimo: siamo al primo posto per contributi sociali e nelle prime 5 posizioni per carico fiscale; 5) è fuor di dubbio che tutte le pensioni calcolate con il metodo retributivo siano assai più generose (soprattutto perché consentivano ampi spazi di evasione ed elusione) rispetto a quelle contributive; 6) il sistema pensionistico ora è certamente in equilibrio ma per reggere nel tempo ha necessità che l'economia migliori, che ci sia più sviluppo e maggiore occupazione.

Lo capiscono tutti che se negli anni della crisi abbiamo perso più di un milione di posti di lavoro significa che abbiamo 1 milione di persone che non versano più i contributi e quindi il sistema soffre e va in deficit, anche a causa della generosità delle citate pensioni retributive. Quindi ricapitolando: abbiamo scarsi livelli di occupazione dovuti anche all'eccessivo carico contributivo e fiscale mentre per mantenere l'apparato pensionistico/assistenziale occorrerebbe una maggiore occupazione soprattutto per la parte giovani (fino ai 29 anni) e per la «coda» cioè per gli over 55, troppo giovani per la pensione e spesso troppo costosi per restare al lavoro. Per inciso nel 2013 il costo complessivo del sistema che impropriamente chiamiamo pensionistico vale 280 miliardi di cui i due terzi sono pensioni e un terzo assistenza pura. Alla fiscalità generale il sistema è costato circa 100 miliardi.

Cosa possiamo fare? Conviene ai pensionati pagare qualcosa di più per garantirsi sia il patto intergenerazionale sia più semplicemente la loro pensione?La Corte costituzionale potrebbe avvallare un provvedimento che si ponga l'obiettivo di favorire un aumento dell'occupazione sia under sia over e quindi di rendere più sostenibile il bilancio prettamente previdenziale e quello assistenziale?

Considerando che con il Jobs Act si sono create le premesse per un aumento dell'occupazione si potrebbero fare due proposte: a) prevedere che per tutte le 23,3 milioni di prestazioni in pagamento l'indicizzazione ai prezzi sia pari al 90%; b) introdurre un contributo di solidarietà su tutte le prestazioni, anche assistenziali, generate dal metodo retributivo; ricordo che per i «poveri» contributivi cioè i giovani che hanno iniziato a lavorare dal 1996 non sono più previste ne le maggiorazioni sociali né le integrazioni al minimo di cui oggi godono oltre 4,6 milioni di pensionati su 16,3 milioni, un numero enorme di persone che in 65 anni di vita hanno pagato pochi contributi e forse pochissime tasse (che non pagano neppure oggi su queste prestazioni) e che gravano prevalentemente sulle giovani generazioni.

Il contributo sarà basso, ad esempio, dello 0,5% sulle pensioni fino al minimo (circa 2,5 euro al mese) per arrivare a percentuali più consistenti al crescere degli assegni. A seconda delle percentuali si potrebbero incassare tra i 5 e 7 miliardi l'anno; per fare cosa? Semplice, per creare incentivi fiscali finalizzati sia all'assunzione degli under 29 sia degli over 55. Gli incentivi andrebbero a sostituire l'attuale decontribuzione prevista nel Jobs Act peri prossimi 3 anni sulle assunzioni con il contratto a tutele crescenti. Ricordo che quando venne eliminata la decontribuzione per le regioni del Mezzogiorno a seguito delle previsioni europee fu un disastro per il Sud.

E' più che prevedibile che anche alla scadenza del triennio ciò accada; non succederebbe se gli incentivi fiscali (un'Irap positiva, cioè più assumi e più sconti fiscali hai) fossero stabili. Un aumento dell'occupazione, avrebbe il merito di aumentare i livelli di contribuzione e ridurre le spese per gli ammortizzatori sociali. Eliminerebbe in radice tutte le richieste di sussidi (reddito minimo e così via) e genererebbe un circolo virtuoso (meno gente che si rifugia nell'assistenza e più lavoratori). Con i 5/7 miliardi si può fare molto per l'occupazione soprattutto quella under, over e femminile. Credo che essendo un provvedimento (molto impopolare per la politica) utile al Paese e gravante sull'intera collettività di coloro che hanno interesse a mantenere l'equilibrio del sistema previdenziale (cioè la loro pensione), la Consulta potrebbe accettarlo.

seguifb

Zedde

Da oggi le domande volte ad ottenere l’indennità di disoccupazione per i lavoratori con contratti di  collaborazione coordinata e continuativa o a progetto, che hanno cessato l’attività dal 1 gennaio 2015 e sono rimasti senza lavoro saranno potranno essere presentate per via telematica. La nuova misura è prevista dall’art. 15 del D.Lgs.4 marzo 2015 n.22, come illustrato dalla circolare numero 83 del 27 aprile 2015. Lo Comunica l'Inps in una nota.

La domanda si può inviare online tramite il nuovo servizio DIS-COLL, pubblicato in Servizi online e accessibile con Pin dispositivo, dal percorso Accedi ai servizi>Servizi per il cittadino (Pin)> Invio domande di prestazioni a sostegno del reddito (Sportello virtuale per i servizi di informazione e richiesta di prestazione)>ASpI, disoccupazione, mobilità e trattamento speciale edilizia> DIS COLL.

L'dentikit della nuova indennità. L'indennità di disoccupazione per i collaboratori coordinati e continuativi sarà operativa solo per il 2015 in via sperimentale.  Ne avranno diritto i collaboratori coordinati e continuativi con o senza modalità a progetto, iscritti in via esclusiva alla Gestione separata, non pensionati e privi di partita Iva, che abbiano perduto involontariamente l'occupazione nel periodo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre del 2015.

Requisiti. Per il diritto alla Dis-Coll, nel 2015, occorrerà essere in possesso congiuntamente dei seguenti requisiti: a) stato di disoccupazione al momento della domanda; b) almeno tre mesi di contributi tra il 1° gennaio 2014 e il giorno di disoccupazione; c) almeno un mese di contributi oppure un rapporto di collaborazione di durata di almeno un mese (purché con compenso pari ad almeno 649 euro, cioè la metà dell'importo che dà diritto all'accredito di un mese di contribuzione nel 2015).

La Misura. La misura della DisColl dipenderà dal reddito dichiarato ai fini previdenziali (ciò in base al principio, comune anche alla Naspi, per cui chi più paga contributi ha diritto a prestazioni più pesanti). In particolare, la misura sarà pari al 75% del reddito dichiarato ai fini contributivi per l'anno della cessazione dal lavoro e per quello precedente, diviso per il numero di mesi di contributi, con i seguenti limiti: se il reddito medio non supera i 1.195 euro mensili, l'indennità sarà pari al 75 per cento di tale reddito; se si superano i 1.195 euro mensili l'indennità sarà pari al 75 per cento di tale reddito più il 25 per cento della differenza tra reddito medio e 1195.

L'indennità mensile, in ogni caso, non potrà superare i 1.300 euro mensili, l'importo, inoltre, andrà ridotto progressivamente di un 3 per cento a partire dal quarto mese di fruizione dell'ammortizzatore.

La Durata. La tutela spetterà, infine, per un numero di mesi pari alla metà di quelli di contributi accreditati dal primo gennaio 2014 al giorno di cessazione dal lavoro.

Qualora il beneficiario si impieghi con rapporto di lavoro subordinato, l'indennità viene sospesa d'ufficio a seguito della comunicazione obbligatoria presentata dal datore di lavoro. Se il periodo di sospensione duriameno di cinque giorni l'indennità riprende a decorrere dal momento in cui era rimasta sospesa.

seguifb

Zedde

"La Corte costituzionale ha deciso che una norma del governo Monti, la mancata indicizzazione delle pensioni, è incostituzionale, ma non dice che il governo deve pagare domani mattina tutto". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nel corso del videoforum di Repubblica.it. Kamsin "Nei prossimi giorni verificheremo le carte, prendiamoci il tempo necessario per evitare di fare errori - ha aggiunto Renzi - sulle pensioni non si possono sparare cifre a casaccio".

"Troveremo il modo per tenerci dentro le regole europee, troveremo una soluzione per rimanere credibili a livello europeo - ha sottolineato il premier -. Il problema è ampiamente nella nostra capacità di risolverlo".

Damiano: “I temi della diseguaglianza sociale, che stiamo sollevando da tempo, sono finalmente balzati agli onori delle cronache". “L’elenco dei problemi e’ purtroppo lungo – spiega Damiano – e comprende: nuova indicizzazione delle pensioni, dopo la sentenza della Consulta (il costo, secondo la CGIA di Mestre, ammonterebbe a 16 miliardi di euro); reddito minimo o di cittadinanza ( se si volesse dare un assegno di 600 euro al mese ad un milione di persone senza lavoro, la spesa strutturale annua ammonterebbe a 7 miliardi e 200 milioni di euro  e attualmente i disoccupati superano quota 3 milioni); adeguamento delle pensioni “incapienti”, quelle che arrivano fino a 600 euro al mese e che riguardano circa 6 milioni di pensionati; soluzione del problema degli “esodati” non compresi nei 170.000 salvaguardati (le risorse in questo caso ci sono per una soluzione, anche se parziale, utilizzando i risparmi del Fondo appositamente costituito); introduzione di un criterio di flessibilita’ nel sistema pensionistico per consentire, soprattutto a chi e’ rimasto senza lavoro, di poter andare in pensione a partire dai 62 anni di eta’ (anche in questo caso sarebbero necessari alcuni miliardi di euro)”.

” La massa e l’urgenza dei problemi sociali irrisolti e’ enorme e richiede risorse attualmente non disponibili. Occorre una attenta regia da parte del Governo con il pieno coinvolgimento del Parlamento e delle parti sociali per l’individuazione di priorita’ condivise. Scegliere da soli sara’ moderno, ma si commettono troppi errori”

seguifb

Zedde

Le tabelle di equiparazione servono a disciplinare i trasferimenti dei dipendenti pubblici nei casi di mobilità non volontaria fra diversi comparti. Per la mobilità volontaria si applicano invece in automatico le regole dell'ente di destinazione

Kamsin Il decreto per regolare la mobilità dei dipendenti pubblici, con le relative tabelle di equiparazione che dovrebbero permettere di inquadrare il lavoratore nella nuova amministrazione con una retribuzione il più possibile vicina a quella di provenienza ha ricevuto l'ok della Conferenza Unificata ed attende ora il via libera della Corte dei Conti. Per poi essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Si avvia dunque a compimento uno dei tasselli fondamentali della Riforma Madia della scorsa estate, un provvedimento che sarà utilizzato in primis per trasferire i dipendenti in esubero nelle province nelle altre amministrazioni dello stato.

Il meccanismo. L'obiettivo del dpcm è quello di regolare i passaggi fra enti pubblici caratterizzati da contratti diversi, sia attraverso mobilità volontaria che obbligatoria. Per farlo il decreto contiene le cd. tabelle di equiparazione, che traducono l'inquadramento di provenienza del dipendente in quello della sua possibile destinazione (qui è disponibile il testo in anteprima). Attraverso queste tabelle, ad esempio, un lavoratore in un comparto della pubblica amministrazione potrà essere trasferito, volontariamente o d'ufficio, presso un'altra amministrazione pubblica in cui si registri una carenza d'organico. Il tutto con l'obiettivo di garantire al lavoratore il mantenimento del medesimo livello retributivo.

Se nessun problema viene in evidenza nella mobilità volontaria, in quanto al dipendente si applica il trattamento giuridico ed economico dell'ente di destinazione, il vero nodo, contestato dalla parte sindacale, è il meccanismo che regola il trattamento economico in caso di mobilità non volontaria e, quindi, quella che si verifica per accordo fra enti e quella disposta per riassorbire gli esuberi. In siffatti casi l'articolo 3 del Dpcm garantisce al lavoratore "trasferito" il trattamento economico e accessorio ove piu' favorevole, solo sulle voci fisse e continuative corrisposte dall'amministrazione di provenienza. Una definizione aleatoria in quanto tali voci non sono facilmente individuabili all'interno del trattamento economico fondamentale ed in quello accessorio.

Ma a prescindere dalla classificazione delle voci un altro passaggio duramente contestato è che il trattamento di miglior favore in godimento nell'ente di partenza viene garantito al dipendente con un assegno ad personam, che, però, ha natura riassorbibile con qualsiasi futuro aumento stipendiale. Questo significa che il dipendente si vedrà bloccata la sua retribuzione per anni, stante l'andamento dei rinnovi contrattuali e dei fondi per le risorse decentrate. Non solo. Il trattamento di miglior favore sarà riconosciuto solo in caso sia individuata la relativa copertura finanziaria, anche a valere sulle facoltà assunzionali dell'ente. 

In concreto, nei procedimenti di mobilità non volontaria, rischia quindi di non essere tutelata la progressione in carriera conseguita dai lavoratori in ragione della professionalità posseduta, requisito ritenuto finora equivalente al possesso del titolo di studio nei percorsi di riqualificazione professionale e di progressione verticale.

Una disposizione particolare è prevista per i segretari comunali e provinciali di fascia C, che dovranno essere collocati nella categoria o nell'area professionale più elevata presente nell'amministrazione di destinazione.

seguifb

Zedde

La Lega Nord ripropone con la settima salvaguardia una misura che consentirebbe ai dipendenti pubblici di un pensionamento anticipato all'età di 64 anni a condizione di aver centrato la quota 96 entro il 2012.

Kamsin Riconoscere ai dipendenti pubblici che hanno maturato la quota 96 entro il 31 dicembre 2012 la possibilità di uscita a 64 anni. Alla stregua di quanto è stato garantito ai lavoratori del settore privato dalla legge fornero (all'articolo 24, comma 15-bis del Dl 201/2011). Ed eliminare la restrizione secondo la quale, per poter avvalersi della Deroga, si debba essere titolari di un rapporto di lavoro al 28 dicembre 2011. E' quanto prevede un passaggio del disegno di legge numero 3002 depositato dalla Lega nord la scorsa settimana in Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati.

La modifica proposta interviene sull'alinea del comma 15-bis dell'articolo 24 del Dl 201/2011 sostituendola con la seguente dicitura: «in via eccezionale, per tutti i lavoratori le cui pensioni sono liquidate a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, ancorché non titolari di un rapporto di lavoro alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». 

Una nota diffusa ieri dal partito guidato da Salvini ricorda che la proposta mette la parola fine ad una discriminazione ingiustificata che hanno subito gli statali rispetto a quanto, la stessa Fornero, aveva riconosciuto ai lavoratori del settore privato. «Con la nostra proposta qualsiasi dipendente pubblico che abbia raggiunto 60 anni e 36 di contributi (oppure 61 anni e 35 di contributi) entro il 31.12.2012 potrà uscire al compimento di 64 anni e 3 mesi (64 anni e 7 mesi dal 1° gennaio 2016 ndr,) con un anticipo di due anni rispetto alle regole attuali. Per le lavoratrici basteranno 60 anni e 20 anni di contributi, sempre da possedere entro il 31 dicembre 2012».

Novità ci sono anche per il settore privato con la soppressione del requisito, posto come condizione per attivare questo canale di uscita anticipata, che il lavoratore dovesse avere un rapporto di lavoro attivo al 28 dicembre 2011.  «Questa vincolo, inserito occultamente dall'Inps, ha determinato l'esclusione dal beneficio proprio delle fasce piu' deboli, che avevano perso il lavoro prima della Riforma Fornero, e che, per diversi motivi, sono rimaste fuori dalle salvaguardie» sottolineano dalla Lega. 

Resta da vedere cosa dirà la Commissione Lavoro della Camera e soprattutto il Governo. Il recente pronunciamento della Consulta rischia infatti di mettere a repentaglio qualsiasi ulteriore intervento sul capitolo previdenza che lo stesso Governo aveva annunciato nelle scorse settimane. 

Seguifb

Zedde

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