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La più importante novità introdotta con il decreto legge Poletti è l'eliminazione della causale dal contratto a tempo determinato. Dallo scorso 21 marzo i datori di lavoro possono effettuare assunzioni a termine senza dover indicare le ragioni di carattere tecnico produttivo organizzativo o sostitutivo. 

Si tratta certamente di una novità significativa che tuttavia opera solo nel settore privato. Nel settore pubblico, infatti, è rimasto in vigore l'articolo 36 del Dlgs 165/2011 che obbliga alle Pa di indicare sempre le esigenze di carattere temporaneo o eccezionali che danno luogo al rapporto di lavoro a termine.

In sostanza per il datore di lavoro pubblico non ci sono grandi cambiamenti rispetto alle innovazioni che si sono prodotte nel settore privato. 

Nelle pubbliche amministrazioni resta in vigore l'obbligo di dover motivare in modo circostanziato la temporaneità oppure l'eccezionalità dell'esigenza per la quale si ricorre a contratti a tempo determinato.

Sono altri invece gli aspetti del decreto Poletti che hanno effetti anche con riguardo ai contratti a tempo determinato stipulati dalle Pa. Si tratta in particolare del nuovo regime delle proroghe secondo cui le pubbliche amministrazioni possono posticipare per otto volte la scadenza dell'assunzione di un lavoratore a termine a condizione tuttavia che si riferiscano alla stessa attività lavorativa. Resta fermo tuttavia il limite di durata di 36 mesi.

Anche per quanto riguarda il tetto del 20 per cento di dipendenti assunti con contratti a termine rispetto all'organico complessivo non dovrebbero esserci particolari problemi dato che il settore scuola è escluso da questa misura e vige il limite individuato dell'articolo 9 comma 28 del DL/78 2010 che prevede che le amministrazioni possono avvalersi di personale a tempo determinato nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009.

Sono comunque esclusi da questo limite i contratti a tempo determinato che sono stati stipulati per sostituire personale assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro, i lavoratori stagionali o coloro che hanno più di 55 anni. 

Le società innovative potranno beneficiare di detrazioni e deduzioni delle spese di investimento in un limite di 2,5 milioni di euro.

Dopo diversi mesi di attesa il 20 marzo scorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale 30 gennaio 2014 che contiene le nuove norme attuative relative alle agevolazioni fiscali individuate dall'articolo 29 del DL 179/2012 per coloro che effettuino investimenti in startup innovative. 

Come si ricorderà il decreto era l'ultimo passo necessario per rendere operativa questa disciplina. I soggetti interessati, è noto, sono le società di capitali di diritto Italiane non quotate costituite anche in forma cooperativa in possesso dei requisiti per essere qualificate come società innovative ai sensi del DL 179/2012 ed iscritte al Registro delle Imprese nella sezione speciale.

I benefici - Per i soggetti IRPEF l'agevolazione consiste in una detrazione dall'imposta lorda di un importo pari al 19 per cento degli investimenti effettuati fino ad un massimo annuo di 500.000 euro per i periodi d'imposta 2013-2016.

La somma massima detraibile annua quindi sarà pari a 95 mila euro. La detrazione, laddove di ammontare superiore all'imposta lorda di periodo al netto delle eventuali altre detrazioni spettanti al soggetto, potrà essere riportata a nuovo entro il terzo periodo d'imposta successivo.

Per quanto riguarda i soggetti Ires invece viene prevista una deduzione dal reddito complessivo per un importo pari al 20% degli investimenti effettuati fino ad un massimo annuo di 1,8 milioni di euro sempre con riferimento ai periodi d'imposta 2013-2016. La deduzione massima raggiunge quindi i 360 mila euro.

La deduzione tuttavia può essere effettuata solo entro i limiti di reddito imponibile netto di periodo, cioè al netto delle eventuali perdite fiscali pregresse, e l'eventuale eccedenza non utilizzata può essere riportata a nuovo entro il terzo periodo d'imposta successivo.

L'investimento può essere effettuato direttamente o indirettamente tramite Organismi di Investimento Collettivi o di altre società di capitali a condizione che i soggetti investano prevalentemente in start-up innovative. Il criterio della prevalenza si considera rispettato laddove i soggetti, al termine dell'esercizio, detengano titoli di tali società per un valore almeno pari al 70% del valore totale dei propri investimenti.

Il decreto attuativo prevede inoltre che la startup innovativa non possa ricevere investimenti annui superiori a 2,5 milioni di euro. La norma al riguardo è particolarmente severa.  Prevede infatti che, laddove la startup riceva nel medesimo esercizio investimenti complessivi superiori a tale soglia, gli investitori perdano del tutto il diritto all'agevolazione, cioè anche con riferimento agli investimenti pari o inferiori a tale soglia.

Il decreto prevede inoltre che la fruizione del beneficio fiscale è condizionata al mantenimento dell' investimento nella startup per almeno due anni. Per limitare gli abusi l'eventuale cessione anche parziale dell'investimento prima del decorso dei 2 anni comporta la decadenza del beneficio e l'obbligo per il soggetto di restituire le imposte risparmiate all'origine con la maggiorazione di interessi legali. Il contribuente decade dal beneficio anche laddove la startup perda i requisiti soggettivi e oggettivi previsti dal DL 179 2012.

Con l'entrata in vigore del decreto legge Poletti viene meno la necessità di giustificare anche le proroghe dei contratti a termine.

È entrata in vigore la norma che elimina per tutti i rapporti a tempo determinato l'obbligo di indicare le esigenze di carattere tecnico organizzativo produttivo per le quali il datore di lavoro ha stipulato un contratto a tempo. È quanto ha stabilito il decreto legge Poletti dl 34/2014 entrato in vigore lo scorso 21 marzo.

La nuova normativa semplifica gli oneri delle imprese eliminando i dubbi interpretativi ed i vari contenziosi giudiziari che potevano derivare dall'apposizione di una causale non chiara.

Sappiamo tutti infatti quanto era difficoltoso per i datori giustificare quelle esigenze tecnico produttive che avevano indotto il datore ad apporre il termine al contratto. Esigenze spesso oscure o fittizie che esponevano il datore al rischio di essere portato in tribunale.

Dal 21 marzo quindi via libera alla semplificazione del contratto a tempo determinato. Il datore dovrà da questa data esclusivamente verificare se il rapporto di lavoro rispetta il massimo di durata prevista dalla legge, fissato in 36 mesi, e stabilire se rientra nei nuovi limiti quantitativi fissati dalla legge, pari al 20 per cento dell'organico (con alcune eccezioni individuabili nei contratti stipulati per esigenze di carattere sostitutivo oppure stagionale).

Insomma il datore dovrà effettuare una semplice operazione aritmetica per verificare che l'incidenza dei rapporti a termine, rispetto all'organico complessivo dei dipendenti dell'azienda, sia mantenuta al di sotto del 20%.

Il limite dei 36 mesi è comunque non assoluto in quanto restano ferme le norme individuate dal decreto legislativo 368/2001 che consentono alla contrattazione collettiva la facoltà di individuare un arco temporale più ampio. Anche il limite del 20 per cento dell'organico complessivo può essere derogato attraverso la contrattazione collettiva.

Viene modificata anche in maniera significativa la gestione delle proroghe del contratto. Infatti se fino a pochi giorni fa il datore poteva prorogare il contratto solo una volta e sempre che questa fosse dovuta a ragioni oggettive, dal 21 marzo la proroga diventa del tutto libera. Cioè non più condizionata alla sussistenza di alcuna ragione oggettiva. Inoltre  il numero delle proroghe ammesse sale fino ad 8 fermo restando l'obbligo di rispettare sempre il tetto massimo di 36 mesi.

Considerando che con la proroga non trovano applicazione gli stop and go, cioè gli intervalli minimi di tempo tra un contratto e l'altro, il datore potrà liberamente gestire il contratto articolandolo come meglio crede a seconda delle sue esigenze.

Il decreto legge Poletti non modifica invece la disciplina dei rinnovi che come sappiamo presuppongono, al contrario delle proroghe, la scadenza di un contratto precedente e la stipula di uno nuovo. In tal caso alla fine di un contratto a termine sarà possibile stipularne uno nuovo solo a condizione che sia trascorso un intervallo minimo di tempo pari a 10 o 20 giorni a seconda se il contratto scaduto avesse rispettivamente una durata inferiore o superiore a sei mesi.

L'articolo 5 del decreto legge 34/2014 in vigore dallo scorso 21 marzo stanzia nuove risorse per le aziende che ricorrono ai contratti di solidarietà difensivi. Si tratta di strumenti applicabili a quelle aziende i cui dipendenti accedono al trattamento di cassa integrazione straordinaria al fine di facilitarle per evitare gli esuberi.

In favore delle imprese che stipulano contratti di solidarietà accompagnati da cassa integrazione straordinaria, è infatti previsto uno sgravio contributivo per i lavoratori il cui orario viene ridotto di oltre il 20 per cento. 

Il beneficio si applica per un periodo massimo di 2 anni ed è articolato in modo diverso a seconda della ripartizione dell'orario di lavoro: maggiore è la riduzione delle ore lavorate, maggiore sarà lo sgravio contributivo).

Gli sgravi ammontano al 25 per cento della contribuzione che diventano 35 per cento laddove l'accordo disponga una riduzione dell'orario di lavoro maggiore del 30 per cento delle ore in origine lavorate.

I benefici vengono anche articolati in base alla locazione geografica dell'impresa che richiede l'attivazione dei contratti di solidarietà difensivi. Ad esempio nelle aree meridionali ad alta criticità individuate dalla CEE nelle regioni di Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia le riduzioni contributive salgono rispettivamente dal 25 al 30% e dal 35 al 40%.

La misura è subordinata alla presenza di risorse economiche nel Fondo per l'occupazione e dello sviluppo che il Ministero del lavoro provvede sulla base delle risorse recuperate la legge di stabilità, a finanziarlo. Fondo che ora, grazie al decreto Poletti, viene rifinanziato con 15 milioni di euro dal 2014.

Un decreto ministeriale Lavoro-Economia dovrà tuttavia stabilire i criteri per individuare le aziende che avranno diritto allo sgravio contributivo.

Il taglio al cuneo fiscale sarà coperto attraverso tagli strutturali alla spesa pubblica. Ma resta il nodo delle altre risorse da utilizzare.

Il disco verde alla riduzione del cuneo fiscale da parte di Palazzo Chigi dovrebbe arrivare tra la fine della prossima settimana di aprile e quella successiva e comunque in anticipo rispetto alla scadenza del 15 aprile. Entro questa data verrà infatti varato il Documento di economia e finanza e il programma nazionale di riforme da inviare a Brussel, documenti che metteranno nero su bianco quali coperture il governo vuole utilizzare per finanziare il taglio dell'irpef.

Nelle settimane scorse il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan aveva escluso il ricorso a misure una tantum e dunque resta da comprendere quali voci aggiuntive rispetto alla sola spending review saranno utilizzate per dare una boccata d'ossigeno a 10 milioni di lavoratori dipendenti.

Il governo potrebbe immediatamente utilizzare il tesoretto derivante dalla minor spesa per interessi sul debito dovuti al calo dello spread in questi ultimi mesi. 

Per finanziare l'intervento di riduzione del cuneo fiscale il governo dovrebbe recuperare circa sei miliardi di euro quest'anno e 10 miliardi su base annua. E dalla spending review, questo è l'unico punto fermo per il momento, si dovranno recuperare per quest'anno circa 5 miliardi. All'appello manca quindi circa un miliardo che via Venti Settembre sta cercando di recuperare.

L'ipotesi a cui è al lavoro l'esecutivo porterebbe a garantire già dal prossimo maggio un aumento in busta paga mensile di 80 euro per i lavoratori dipendenti che dichiarano al fisco tra i 15 e i 20 mila euro annui. Una misura che dovrebbe essere attuata attraverso una riscrittura della curva delle detrazioni IRPEF.

Ma i tempi stringono. Se il decreto non verrà licenziato in tempi rapidi il rischio concreto è che i sostituti d'imposta non avranno la possibilità tecnica di erogare il bonus alla platea interessata.

Sul tavolo c'è poi il nodo dei cosidetti lavoratori incapienti cioè di quei contribuenti che dichiarano meno di 8.000 euro annui e sarebbero pertanto esclusi dalla tassazione e di conseguenza dallo sconto Irpef.

Nei giorni scorsi è circolata l'ipotesi che anche questi soggetti potessero conseguire il beneficio tramite un bonus erogato dall'Inps. Ma secondo il ministro dell'Economia Padoan l'ipotesi avrebbe alti costi ed effetti ridotti per uno stimolo e consumi.

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