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Sull'apprendistato si dovrà specificare se la facoltà della formazione pubblica riguardi datori di lavoro o solo le regioni.

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Sono diversi i nodi che dovranno essere sciolti sul decreto Poletti, il dl 34/2014, entrato in vigore lo scorso 21 marzo 2014 che ha iniziato il suo percorso di conversione in legge in Parlamento. Oltre le modifiche che alcuni partiti vogliono introdurre, sulle quali c'è stata la dura presa di posizione dell'esecutivo che ha indicato la sua contrarietà ad uno stravolgimento del decreto, ci sono anche altri aspetti più delicati e meno "politicizzabili". 

Si tratta in particolare di chiarire il regime applicabile ai contratti a termine in corso di validità affinché le imprese possano fruire della più ampia facoltà di prorogare fino ad otto volte, contenuta nel decreto. Anche sull'apprendistato si dovrà specificare se la facoltà della formazione pubblica debba riguardare i datori di lavori o le regioni. La differenza non è da poco perché solo nel primo caso si può ottenere una semplificazione importante per le imprese; questa del resto è l'idea contenuta nel Decreto Poletti che tuttavia si appresta ad interpretazioni diverse.

 Ma anche la specificazione che la deroga al tetto del 20 per cento dell' organico complessivo ai fini della stipulazione di un contratto a tempo determinato prevista in favore delle imprese che impiegano fino a 5 dipendenti, possa essere estesa anche agli studi professionali.

Sono queste le principali modifiche che i consulenti del lavoro hanno indicato ieri in audizione informale alla Commissione Lavoro della Camera. Il governo comunque ribadisce che non vuole stravolgimenti nel testo che allunga la causalità dei contratti a termine fino a 3 anni e concede fino ad 8 volte la possibilità di proroga.

La Commissione Bilancio della Camera dei Deputati approva un emendamento che impone effetti equivalenti o inferiori rispetto all'Imu.

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Alla Commissione Finanze Bilancio della Camera dei Deputati si complica il percorso per inserire un alleggerimento della Tasi per le abitazioni principali. Il presidente della Commissione, Francesco Boccia (Pd), nell'esaminare gli emendamenti al testo dell'articolo 1 del decreto Salva Roma ter, ha infatti precisato che "l'imperativo è quello di non fare pasticci. Bisogna varare una riforma che abbia gambe per camminare per anni evitando compromessi approvati storcendo il naso destinati a cambiare ancora fra pochi mesi."

Oltre 50 gli emendamenti proposti. Il nodo è quello delle detrazioni finanziate dall'aliquota aggiuntiva, l'attuale decreto concede la possibilità ai Comuni di aumentare le aliquote fissate per legge di un ulteriore 0,8 per mille al fine di finanziare le detrazioni.

Solo un emendamento però stato approvato dalla Commissione ed è quello presentato da Filippo Busin della Lega Nord che chiede che le detrazioni finanziate dall'aliquota aggiuntiva determinino per la Tasi effetti equivalenti o inferiori a quelli previsti per l'imu sulla stessa tipologia degli immobili.

Accantonati invece tutti gli altri emendamenti che avrebbero inciso in maniera significativa sull'impianto complessivo della tassazione immobiliare.

Il riferimento è, evidentemente, alle ultime varie riforme approvate sulla tassazione immobiliare in questi ultimi tre anni che hanno visto dapprima l'introduzione dell'Imu, poi la sua modifica, l'eliminazione parziale per le sole prime case nel 2013 e poi la reintroduzione sotto la forma della Tasi da quest'anno.

Un vero rebus per centinaia di migliaia di contribuenti che hanno messo in difficoltà anche i CAF e i professionisti del settore fino all'ultimo minuto nell'incertezza su come si dovesse procedere.

Purtroppo nonostante l'abolizione dell'Imu sulla abitazione principale in molti casi  il contribuente dovrà pagare un contributo più alto rispetto al 2012 con la Tasi. Il risultato è inevitabile per quelle case di valore catastale basso nei comuni che decideranno di non sfruttare la possibilità di introdurre un'aliquota aggiuntiva per finanziare le detrazioni base come prevedeva in origine la vecchia Imu.

In altri termini, in assenza di una decisione dei comuni  tutti i cittadini dovranno presentarsi alla cassa, anche coloro che grazie alle detrazioni fisse previste per l'Imu ne erano esenti nel 2012.

La gestione dei parasubordinati è l'unica dell'Inps ad essere in attivo. 

Niente da fare. Anche con il 2012 e dopo gli effetti "benefici", se così possiamo dire, della riforma Fornero approvata nel 2011 la gestione dei lavoratori parasubordinati, cioè la gestione separata, è l'unica che nel 2012, ultimo anno disponibile, ha regalato alle casse dell'Inps 8,6 miliardi. Il conto resta invece salato per la gestione lavoratori autonomi che ha perso 12 miliardi e quella dei dipendenti pubblici che ha perso 8 miliardi.

Come dire, senza questi contributi l'inps sarebbe in bancarotta. Il problema però è un altro. Questi professionisti senza cassa, associati in partecipazione, venditori a domicilio versano contributi a fondo perduto che non daranno diritto ad alcuna prestazione previdenziale. Si tratta spesso di giovani che nei prossimi anni si renderanno conto di non avere alcuna pensione maturata e che oltretutto non sono tutelati né dai sindacati ne dà lo Stato.

Insomma sono lavoratori che hanno molti doveri e pochi diritti.

Il problema risiede nel cosidetto minimale contributivo. A questi lavoratori viene accreditato un mese di contributi validi ai fini pensionistici, solo qualora dichiarino un reddito mensile di almeno 1.295 euro. Se ad esempio il loro reddito è pari ad un terzo di tale cifra questi lavoratori dovranno lavorare 3 mesi per mettere insieme un mese di contribuzione. E purtroppo sappiamo bene che la maggior parte degli iscritti alla gestione separata non raggiunge questi livelli di reddito.

In pratica si tratta di lavoratori che versano contributi senza poter concretamente riuscire a perfezionare il diritto alla pensione. Senza contare inoltre che l'aliquota contributiva attualmente al 28 per cento ed è destinata ad arrivare al 33 per cento nel 2018. Paghi  molto e ricevi poco. 

Ciò significa che un lavoratore iscritto alla gestione separata con 20 anni di contributi versati dopo il 1995 e con un reddito finale di 32.000 euro rischierà di non poter andare a riposo al compimento di 66 anni nonostante abbia versato più del doppio della media dei parasubordinati ma dovrà comunque attendere i 70 anni per avere una pensione modesta, intorno ai 6 mila euro. 

La riforma delle pensioni di invalidità e delle indennità di accompagnamento è quella che fa più discutere tra tutte le proposte presentate.

La proposta formulata nei giorni scorsi dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli di un possibile taglio alle indennità di accompagnamento e alle pensioni di invalidità è certamente una delle misure piu' controverse di quelle sino ad oggi proposte. Il fatto è che il commissario ha affrontato la questione solo da un punto di vista, quello contabile, trascurando in realtà quelle che sono le conseguenze sociali e le famiglie che ci stanno dietro.

Cottarelli parte dai dati relativi all'incremento della spesa legata alle prestazioni di invalidità,  passate in 10 anni da 7,6 miliardi del 2002 a 13 miliardi nel 2012.

Nell'ultimo decennio le prestazioni legate alla non autosufficienza hanno registrato una crescita di oltre il 30 per cento, un aumento evidentemente legato all'incremento dell' incidenza degli anziani rispetto alla popolazione generale che sta sempre più invecchiando. Le prestazioni di accompagnamento vengono infatti fruite principalmente da anziani, basti pensare infatti che oltre 3 su 4 dei beneficiari hanno oltre i 65 anni. 

Cottarelli ha formulato la proposta di legare la possibilità di ottenere l'assegno di accompagnamento non solo al sorgere del bisogno assistenziale cioè alla perdita dell'autosufficienza da parte del richiedente, ma anche alle condizioni economiche del potenziale beneficiario.

La soglia individuata dal commissario è di 30 mila euro come reddito personale e 45 mila euro come reddito familiare.  

Applicare il criterio reddituale per ricevere l'accompagnamento significherebbe però un passaggio negativo epocale: lo Stato offrirebbe tutela esclusivamente nei confronti delle persone indigenti non autosufficienti negando, in questo modo, quello che viene considerato, anche negli altri paesi europei, un diritto di cittadinanza di cui è possibile fruire indipendentemente dalle proprie risorse economiche.

Attualmente l'accesso all'indennità per la non autosufficienza è un diritto di tutti i cittadini riconosciuto alla stregua del diritto all'accesso alle prestazioni sanitarie.

Negli altri stati europei tuttavia è vero che spesso l'importo è graduato a seconda del bisogno e delle condizioni economiche del beneficiario in modo da adattarsi alle esigenze specifiche dell'utente. Si pensi ad esempio che in Germania e Austria l'assegno può oscillare tra i 250 e i 1700 euro mensili. Ma si tratta di paesi in cui l'assistenza sociale è comunque su di un livello difficilmente comparabile con quello di un paese, l'Italia, in cui lo Stato si è del tutto disinteressato alla tutela dei non autosufficienti ed ha delegato pertanto le famiglie nella gestione del problema.

Il dietrofront di Renzi ad un possibile intervento sulla materia è stato dunque quanto mai opportuno. 

La risoluzione del problema invalidità e degli esborsi per lo stato deve passare in realtà da controlli più stringenti che lascino agli operatori dei territori minori margini di discrezionalità nel decidere coloro che possono ottenere il beneficio e chi no. L'obiettivo è quello di filtrare le richieste indebite. Del resto è questa discrezionalità che ha consentito l'allegra concessione dei benefici in particolare nelle regioni meridionali. Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia sono infatti le regioni con il più alto tasso di prestazioni di invalidità in pagamento rapportate al numero di abitanti con età superiore a 65 anni. 

L'indennità di accompagnamento - L'indennità di accompagnamento viene fornita alle persone con il 100% di invalidità civile che hanno bisogno di assistenza continua per deambulare o a svolgere gli altri atti della vita quotidiana.

L'assegno è pari a 504 euro mensili e serve a sostenere le spese aggiuntive dovute alla necessità di assistenza continua. La spesa pubblica per questo capitolo è pari a 13 miliardi di euro annui.

La pensione di invalidità - La pensione di invalidità invece è una prestazione che viene erogata alle persone disabili con reddito inferiore ad una determinata soglia e percentuale di invalidità compresa tra il 74 e il 100%.

La ricevono i soggetti entro i 65 anni con disabilità non causata da infortuni sul lavoro cioè in questa condizione dalla nascita o che hanno avuto un incidente o una malattia. Serve a compensare i redditi che l'impossibilità totale o parziale a prestare lavoro impedisce di guadagnare e ammonta a 279 euro al mese per una spesa annua complessiva di 3,6 miliardi di euro.

L'Aran fornisce le linee guida sulla fruizione dei permessi retribuiti. I permessi non possono essere fruiti ad ore a meno che siano concessi per l'assistenza a persone portatrici di handicap gravi.

L'Aran ha diffuso il manuale contenente le linee guida per la fruizione dei permessi retribuiti. L'agenzia ricorda che sulla base dei contratti nazionali i permessi retribuiti sono classificabili in quattro categorie: il lutto, il matrimonio; la partecipazione a concorsi ed esami; e per particolari ragioni personali.

In linea generale il documento precisa che i permessi possono essere cumulati dal lavoratore senza che ciò riduca ferie e tredicesima prevista dai contratti nazionali collettivi. I permessi inoltre non possono essere fruiti ad ore a meno che siano concessi per l'assistenza a persone portatrici di handicap gravi.

In caso di matrimonio, sia civile che religioso, il lavoratore può fruire di un permesso di 15 giorni consecutivi che comprendono anche i festivi, permesso che può essere duplicato in caso di nuovo matrimonio di vedovi e divorziati. 

Per la partecipazione a concorsi ed esami i dipendenti possono fruire fino ad 8 giorni l'anno; questi permessi possono essere peraltro cumulati con quelli concessi per il diritto allo studio e vanno riconosciuti solo per il giorno di sostentamento dell'esame a prescindere dall'orario di servizio, senza comprendere quindi né gli eventuali viaggi e gli spostamenti, né i tempi per la preparazione all'esame. I permessi possono essere riconosciuti per qualsiasi tipologia di concorso e la richiesta deve essere presentata entro i 7 giorni antecedenti la data prevista per l'esame. 

Per quanto riguarda i permessi concessi per lutto l'ARAN precisa che il tetto massimo è fissato in tre giorni consecutivi per evento a condizione che questo riguardi il coniuge (compreso quello separato, ma non il divorziato) o il convivente, i parenti entro il secondo grado e gli affini entro il primo grado. I tre giorni devono essere fruiti in modo consecutivo comprendendo anche le eventuali festività.

L'ente pubblico non può opporsi alla frizione neppure nel caso in cui dipendente chiede di spostare l'avvio; l'ente inoltre non può diminuire il periodo di fruizione ai lavoratori part time.

I permessi per specifici motivi personali possono essere concessi entro il tetto massimo di tre giorni per anno di servizio e il datore di lavoro può motivatamente rifiutare la concessione degli stessi qualora sussistano comprovate esigenze di servizio. I dipendenti devono presentare con congruo anticipo la domanda allegando la documentazione necessaria a indicare le ragioni per la fruizione.

Secondo le linee guida non c'e' alcuno spazio per la contrattazione decentrata integrativa in questo ambito. Inoltre i dipendenti a tempo determinato non possono fruire dei permessi retribuiti disciplinati dai contratti nazionali salvo che in caso di matrimonio.

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