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Si accende la polemica all'interno del governo per l'anticipo dell'uscita solo per i dipendenti pubblici. Gli esodati chiedono di essere inseriti nel progetto.

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Anche l'ex ministro del lavoro Elsa Fornero è andata contro il ministro Madia. «Alla Madia suggerisco di essere abbastanza attenta, i dipendenti privati farebbero bene ad arrabbiarsi perché non possono essere sempre solo loro a pagare».

Il progetto del ministro, che ha ufficialmente annunciato il piano di prepensionamenti per gli statali, inizia a suscitare le reazioni. Dopo i sit-in degli esodati che stanno protestando davanti alla direzione del Pd anche alcuni all'interno del partito cominciano a diffondersi in primi malumori.

Il problema è che ci sono migliaia di dipendenti del settore privato, oltre 120mila, ancora non salvaguardati dalle normative attuali che sono usciti dal mondo del lavoro con la speranza di andare in pensione e che ora sono rimasti a bocca asciutta dopo la Riforma del 2011.

La platea è molto vasta, probabilmente inquantificabile in maniera ufficiale e protesta contro le ipotesi di anticipare l'accesso al pensionamento dei dipendenti pubblici. "Loro un posto di lavoro e una fonte di reddito già la hanno", così dicono al sit-in di via del Nazareno.

Ciò che gli esodati chiedono è di destinare le risorse a risolvere prima il loro problema, piu' grave in quanto non hanno alcuna fonte di reddito. «È assolutamente prioritario prima di qualsiasi intervento sulle pensioni», dice Stefano Fassina, ex vice ministro dell'Economia in quota Pd sotto il governo Letta, «risolvere il problema degli esodati».

Fassina nei giorni scorsi, insieme a Gianni Cuperlo, ha incontrato gli esodati per chiedere un incontro diretto con il premier Matteo Renzi. «Non si possono rivedere le regole per anticipare la pensione a dirigenti pubblici che hanno stipendi elevati», spiega l'ex ministro, «per una questione di equità va assicurato lo stesso trattamento anche ai dipendenti privati».

Anche l'ex ministro del welfare Cesare Damiano, è d'accordo. «Serve che il governo si coordini al suo interno», il problema «è che non si percepisce il fatto che la questione esodati stia diventando esplosiva».

Nei giorni scorsi il ministro del lavoro Giuliano Poletti, in audizione alla Camera, ha parlato della volontà del governo di trovare una «risposta organica» al problema. Sul punto è lo stesso Ministro ad aver ricordato ieri che è stata calendarizzato alla Camera per il 14 Aprile la discussione della proposta unificata sul tema delle deroghe alla Riforma del 2011 approvata in Commissione Lavoro due settimane fa.

Il nodo è quello delle risorse. Per risolvere il problema degli esodati alla radice, secondo la Ragioneria, si dovrebbero trovare 17 miliardi fino al 2022. Cifre troppo grandi per un paese in difficoltà.

L'ex ministro del lavoro Enrico Giovannini aveva ipotizzato l'escamatoge dell'introduzione del "prestito pensionistico". In pratica sarebbe consentito a tutti i dipendenti di lasciare il lavoro in anticipo, ma scaricando il costo in parte sulle imprese, in parte sullo Stato e in parte sul lavoratore stesso, con una riduzione della pensione tra il 10 e il 15 per cento.

E poi c'è il progetto di legge firmato da Damiano e dall'attuale sottosegretario dell'Economia, Pierpaolo Baretta, che giace in Commissione lavoro e concede la possibilità di lasciare, per tutti, il lavoro a 62 anni con almeno 35 di contributi. Ed anche in questo caso è prevista una penalizzazione sulla pensione percepita.

L'ultimo lavoratore in posizione utile per essere incluso nella graduatoria dei 5 mila lavoratori salvaguardati dal posticipo delle decorrenze disposte dalla salvaguardia della legge 111/2011 ha risolto il rapporto di lavoro il 30 Novembre 2009.

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L'INPS con il messaggio 3591 del 26 marzo 2014 ha aggiornato la normativa applicabile ai lavoratori salvaguardati ai sensi dell'articolo 24 commi 14 e 15 della legge 214 2011 e successive modifiche. 
Il messaggio, nell'individuare le modalità di ricalcolo degli assegni di solidarietà di settore, precisa alcuni aspetti sino ad oggi non chiari relativi alle normativa di salvaguardia. 

In particolare il messaggio precisa con riferimento ai lavoratori che perfezionano il diritto a pensione in presenza del requisito di anzianità contributiva non inferiore a quarant'anni indipendentemente dall'età anagrafica gli effetti dell'articolo 18, comma 22, della legge 111 2011.
L'articolo citato aveva stabilito il posticipo delle decorrenze di un mese qualora il requisito contributivo fosse stato perfezionato nel 2012; di due mesi si perfezionato nel 2013 e di 3 mesi se perfezionato dal 2014 in poi. Il comma 22 quater del citato articolo 18 aveva tuttavia salvaguardato da detto posticipo 5mila soggetti. In pratica il posticipo delle decorrenze non avrebbe trovato applicazione per 5 mila lavoratori.

Ebbene con riferimento a tali soggetti l'Inps ha per la prima volta ufficialmente indicato che dal monitoraggio effettuato è risultato che l'ultima data di cessazione del rapporto di lavoro utile per poter accedere al beneficio è quella del 30 novembre 2009.  Pertanto i lavoratori quarantisti che sono cessati dal servizio in data successiva al 30 novembre 2009 sconteranno l'ulteriore posticipo della decorrenza come disposto dal comma 22 ter dell'articolo 18. Coloro invece che sono cessati entro il 30 novembre 2009 non subiranno l'applicazione delle cosidette "finestrine". 

Di particolare importanza il messaggio inps 3195/2014 pare ammettere gli interessati allo slittamento della decorrenza di cui alla legge 111/2011 alla fruizione del beneficio individuato dell'articolo 12 comma 5 bis della legge 122 2010 il quale, lo si ricorda, prevede il prolungamento del sostegno al reddito per il periodo dello spostamento della decorrenza con oneri a carico del Fondo sociale per l'occupazione la formazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Si tratta questa di una precisazione importante in quanto sino ad oggi le sedi inps non avevano chiarito se il prolungamento dell'assegno al reddito avesse potuto coprire anche l'ulteriore slittamento prodotto dalla legge 111/2011 (oltre a quello determinato dalla legge 122/2010).

Chi ha un contratto a canone di mercato potrebbe essere invogliato a optare per quello concordato.

Tra le novità approvate con il decreto casa, dl 47/2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 28 marzo 2014, la principale è certamente quella che ha ridotto la cedolare secca sugli affitti abitativi al 10 per cento. 

La tassa piatta, lo si ricorda, è una forma di fiscalità che sottopone la rendita da locazioni abitative tra persone fisiche ad un prelievo, in sostituzione alla ordinaria tassazione Irpef, fissato al 10 per cento. La tassa piatta si applica tuttavia solo per i contratti a canone concordato. Ciò significa che l'aliquota agevolata potrà essere applicata solo nei comuni ad alta tensione abitativa individuati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica. 

Detto questo vediamo dunque rapidamente quali sono le scelte che può effettuare il proprietario dopo le novità introdotte dal decreto casa.

L'ipotesi più semplice è quella in cui il locatore già avesse stipulato un contratto a canone concordato optando per per la tassa piatta. In tal caso nessun altro adempimento sarà richiesto in quanto già risulta nel mod 69 dell'Agenzia delle Entrate l'opzione per il regime agevolato. In pratica in tal caso l'aliquota ridotta scatterà automaticamente.

Se invece il locatore avesse originariamente optato per l'Irpef e vuole ora passare alla tassa piatta dovrà curare due adempimenti: effettuare la comunicazione all'inquilino della rinuncia all'adeguamento Istat e quindi comunicare l'opzione per la cedolare attraverso il mod 69 all'Agenzia delle Entrate. 

Il passaggio alla cedolare secca comporta il vantaggio di non dover pagare altre imposte riguardanti il rapporto di locazione. Ad esempio non dovrà essere più pagata l'imposta di registro annuale, il bollo e chiaramente l'Irpef. Il passaggio alla cedolare tuttavia determina che l'aliquota colpirà l'intero importo del canone di di locazione e quindi contribuente non potrà più godere delle detrazioni previste per l'Irpef.

Chi ha invece stipulato un contratto di mercato, per passare alla cedolare secca, dovrà necessariamente, di comune accordo con il conduttore, risolvere il precedente rapporto contrattuale di locazione e sottoscriverne uno nuovo sulla base delle disposizioni previste per i contratti concordati. 

Dopo il parere contrario della Presidenza della Repubblica rimane il doppio tetto di spesa per il bonus mobili.

Con la pubblicazione del decreto casa 2014 (dl 47/2014) avvenuta venerdì scorso in Gazzetta Ufficiale non è stato eliminato l'obbligo secondo il quale le spese per l'arredamento non possono superare l'importo che il contribuente ha sostenuto per i lavori di recupero edilizio.

Niente da fare dunque per l'eliminazione del doppio tetto di spesa introdotto con la scorsa legge di stabilità (legge 147/2013). I contribuenti dovranno pertanto rispettare 2 limiti per fruire del beneficio: rispettare il tetto massimo di spesa di 10 mila euro e non superare in ogni caso le spese sostenute per il recupero edilizio. 

Ad esempio chi spende 4.000 euro per ristrutturare il proprio appartamento potrà applicare la detrazione del 50 per cento su una spesa massima di 4.000 euro in mobili ed elettrodomestici. Qualora invece si spendano 40.000 euro per i lavori di ristrutturazione edilizia il tetto massimo resta fisso a 10 mila euro. 

Il doppio tetto per fruire del bonus mobili è stato introdotto dall'ultima legge di stabilità che è entrata in vigore lo scorso 1° gennaio 2014. Subito dopo il governo Letta è tornato sui suoi passi tentando di ripristinare la norma contenuta nel dl 63/2013 (che consentiva la fruizione del beneficio indipendentemente dall'importo delle spese di lavori di ristrutturazione edilizia con il solo limite di 10mila euro) con il decreto salva Roma bis.

Il problema è che questo decreto è stato fatto decadere con la conseguenza che il il doppio tetto è stato riportato in vita. 

Secondo Paolo Del Vecchio, consigliere dell'Ordine nazionale degli architetti, diventerà importante per i contribuenti comprendere la data in cui sono state effettuate le spese per i beni per l'acquisto degli arredamenti. "Infatti le spese che sono state effettuate fino al 31 dicembre 2013 non sono soggette al doppio tetto in quanto il vincolo introdotto dalla legge di stabilità 2013 ha efficacia a decorrere dal 1º gennaio 2014".

Ciò significa, secondo Del Vecchio che le "spese effettuate entro la fine dell'anno scorso devono esclusivamente rispettare il tetto dei 10mila euro come individuati nel dl 63/2013. 

Per capire quale disciplina applicare bisogna fare riferimento alla data di effettuazione del bonifico bancario o postale di pagamento. Se invece gli acquisti siano stati effettuati con moneta elettronica, la data di pagamento è il giorno di utilizzo della carta di credito o di debito da parte del titolare indicata nella ricevuta telematica di avvenuta transizione. 

Le spese intervenute successivamente al 2013 devono invece rispettare il doppio tetto individuato dalla legge di stabilità 2014; cioè non possono superare le spese per interventi di recupero edilizio sostenute dal contribuente".

Il modello Ire non va compilato se il pagamento avviene per intero quest'anno.

Scade oggi il termine per l'invio telematico della comunicazione all'Agenzia delle entrate e delle spese sostenute dai contribuenti nell'anno 2013 riguardanti lavori di risparmio energetico degli edifici. Si tratta del modello Ire cioè del modello di comunicazione degli "Interventi di Riqualificazione Energetica".

Soggetti all'obbligo della comunicazione sono i contribuenti che contemporaneamente proseguono quest'anno o negli anni successivi i lavori iniziati e non finiti negli anni precedenti e hanno sostenuto spese agevolate nell'anno precedente a quello dell'invio della comunicazione. Pertanto qualora i lavori siano stati effettuati prima del 31 dicembre dello scorso anno e i pagamenti vengano effettuati solo quest'anno la comunicazione non deve essere inviata. Invece se c'è stato un acconto o il saldo lo scorso anno il modello dovrà essere spedito indicando i pagamenti effettuati.

Esenti dall'obbligo dunque quei contribuenti che hanno iniziato i lavori di risparmio energetico quest'anno con pagamento dell' acconto il precedente anno; coloro che hanno terminato i lavori lo scorso anno con pagamento  dell'acconto e del saldo nel 2014; sollevati dalla comunicazione infine anche i contribuenti che hanno iniziato e terminato i lavori nel 2013 ed hanno pagato tutte le somme nel 2014.

Il mancato invio del modello Ire comporterà l'applicazione di una sanzione da 258 a 2.065 euro, ma non ha come conseguenza anche la decadenza delle detrazioni Irpef e Ires previste dalla legge. L'invio di questa comunicazione alle entrate non sostituisce inoltre quella che deve essere trasmessa all'Enea entro 90 giorni dalla fine dei lavori.

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