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Nel provvedimento non c'è la proroga del blocco sugli sfratti. Il Governo ha scelto di risolvere con due fondi l'emergenza abitativa: uno da 200 milioni di euro per gli affitti e, un secondo da 226 milioni per la morosita' incolpevole.

Kamsin E' stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale ieri, il Decreto Legge 192/2014, il provvedimento prevede una ventina di slittamenti in materia di pubbliche amministrazioni, ambiente, scuola e sanità. La principale novità è la proroga di un anno dei contratti per i lavoratori precari delle province, effetto della partita che si sta giocando tra governo e sindacati sugli esuberi da ricollocare in attuazione della recente riforma Delrio.

Nel provvedimento c'è poi il prolungamento a tutto il 2015 del termine del turnover nelle Pa per assumere a tempo indeterminato a compensazione delle uscite avvenute nel 2013. Tra le misure c'è anche una disposizione per il Ministero dei Beni Culturali per il quale si prevede la possibilità di attingere fino al 2016, ai fini delle assunzioni in servizio, dalle graduatorie degli idonei a concorso. Novità anche per la giustizia con lo slittamento dal primo luglio al primo settembre 2015 del termine per la soppressione delle sedi distaccate dei Tar nei comuni senza Corte d'appello e dal primo gennaio al primo luglio 2015 della scadenza relativa all'avvio del processo amministrativo digitale.

Il Dl fissa lo slittamento alla fine del prossimo anno degli aumenti dei compensi per i manager statali che siedono nei cda, in organi di indirizzo, direzione e controllo o in organi collegiali degli enti pubblici.

Arriva , inoltre , la proroga di un anno della privatizzazione della croce rossa italiana , il posticipo al primo gennaio 2016 della remunerazione  delle farmacie , la proroga delle sanzioni legate al sistri,  il sistema di tracciabilità dei rifiuti.

Novità anche sul terreno istruzione con la possibilità per il ministero di erogare agli enti locali fondi per l'edilizia scolastica anche nel corso del 2015. Senza contare che le università potranno chiamare come professori associati chi ha superato l'abilitazione.

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Il testo del Decreto Milleproroghe 2015

La frenata dell'inflazione limiterà la crescita degli assegni nel 2015 e i pensionati dovranno restituire all'Inps i soldi elargiti in eccesso.

Kamsin Inizio d'anno amaro per i pensionati italiani. L'inflazione più bassa del previsto avrà effetti sulla consueta rivalutazione degli assegni ed a gennaio l'Inps taglierà i trattamenti riducendo gli importi. I calcoli sono facili: dato che l'andamento dei prezzi a fine 2014 (l'1,1% ) è stato più basso rispetto alle previsione dell'1,2 sulla base della quale, l'anno scorso, era stato calcolata la consistenza delle pensioni i pensionati devono restituire allo Stato i soldi elargiti in eccesso. Uno 0,1% in meno di inflazione reale rispetto a quella prevista.

A conti fatti una pensione minima (importo intorno ai 500 euro lordi) perderà 5,40 euro su dicembre 2014, mentre a una da 1.500 euro mancheranno 16,30 euro. La pessima sorpresa, però, avrà un effetto limitato al mese di gennaio perchè già a partire da febbraio la rivalutazione automatica prevista per il 2015 (calcolata sulla base di un'inflazione annua dello 0,3%) porterà nelle tasche di un pensionato con il trattamento al minimo 1,50 euro in più sul 2014 e tre euro di maggiorazione per una pensione da 1.500 euro. Insomma un piccolo recupero dopo la brutta sorpresa di inizio anno. Anche se bisognerà aspettare fine maggio per recuperare quanto perso a fine gennaio.

Il meccanismo - L'inflazione incide anche sul valore della pensione. E, proprio per scongiurare che con il passare del tempo l'assegno perda potere d'acquisto, esiste un meccanismo di salvaguardia che prende il nome di perequazione o rivalutazione automatica e che indica esattamente l'adeguamento periodico di quanto si percepisce all'aumento del costo della vita.

L'Istat determina la percentuale di incremento del livello dei prezzi da un anno all'altro ed eroga, da quel momento in avanti, la pensione aumentata di quella percentuale. Nel corso degli ultimi anni la leva della rivalutazione è stata ampiamente utilizzata — secondo diverse modalità — per realizzare risparmi per le casse dello Stato. Per il 2015 il meccanismo prevede l'adeguamento al 100% dell'indice Istat per le pensioni fino a tre volte il trattamento «minimo» (1.503,64 euro), mentre per quelle di importo superiore la rivalutazione sarà via via decrescente, fino a scomparire, come si vede nella tabella. Il punto è che per il 2015 proprio l'indice Istat utile per la perequazione — fissato a novembre dal ministero dell'Economia — sarà solo dello 0,30% e, dunque, i benefici saranno di conseguenza prossimi allo zero. Non solo, Poiché per il 2014 sono stati corrisposti incrementi superiori dello 0,10% a quanto dovuto, il risultato sarà un aumento ancora più basso: solo 0,20%. Per i trattamenti sopra i 3mila euro mensili lordi, per effetto di ulteriori aggiustamenti e conguagli, si arriverà addirittura a un taglio dell'assegno.

In tema di pensioni, è arrivata almeno una schiarita sul «caos date» per i pagamenti. La legge di stabilità ha fissato che gli assegni Inps saranno liquidati il primo del mese mentre quelli Inpdap il 16, così come è avvenuto fino ad oggi. Invece, per i titolari di due o più pensioni e nello specifico quelle di reversibilità, invalidità civile e di rendite vitalizie per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro le prestazioni saranno liquidate il 10 del mese. Ma ieri l'Inps ha ridimensionato la portata della novità indicando che nel mese di gennaio non ci sarà nessuna novità sul calendario dei pagamenti delle pensioni: gli assegni verranno liquidati come sempre il primo del mese e il 16 del mese. La questione si presenterà però nei mesi successivi, per cui occorrerà trovare «una soluzione ha precisato l'Inps. Il quale ha spiegato che «il problema riguarda i soli pensionati che incassano più assegni legati a carriere sia nel settore pubblico che in quello privato». Per loro, stando alla legge di Stabilità, la data sarebbe il 10 del mese.

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Entro la fine del Gennaio entrerà in vigore la Riforma della Disciplina dei licenziamenti illegittimi. Il reintegro sarà ammesso solo in casi "residuali".

Kamsin Il reintegro del lavoratore sul posto di lavoro resterà possibile solo per il licenziamento discriminatorio, per quello intimato in forma orale oppure nel caso di licenziamento disciplinare (giustificato motivo soggettivo o giusta causa) quando sia accertato in giudizio che il fatto contestato al lavoratore non sussiste.  Negli altri casi, per i nuovi assunti resterà solo il meccanismo delle tutele crescenti, cioè un indennizzo proporzionato al periodo di permanenza in azienda: la misura è pari a due mensilità per ogni anno, con un minimo di quattro ed un massimo di ventiquattro. Passiamo dunque in rassegna le novità:

Licenziamenti economici - Nelle imprese con piu' di 15 dipendenti prima, con la riforma Fornero, ogni lavoratore dipendente assunto a tempo indeterminato poteva essere licenziato per ragioni «economiche» in cambio di un indennità monetaria. Ma: 1) si doveva passare per un giudice; 2) serviva molto più tempo; 3) l'azienda avrebbe speso di più (da un minimo di 12 a un massimo di 24 mensilità, più eventuali incentivi); 4) il giudice avrebbe potuto decidere di restituire il posto di lavoro al lavoratore licenziato, cioè la tutela dell'articolo 18.

Ora, con la riforma, per chi ha già un contratto di lavoro attivo continuano a valere le regole della legge Fornero. Chi verrà assunto con un contratto «a tutele crescenti», sarà facilmente licenziabile: basterà pagare un'indennità che varia da un minimo di 4 mensilità di stipendio, e sale di 2 mensilità per anno di servizio fino a un tetto di 24 mensilità. Non si passa mai per il giudice, a meno che il lavoratore voglia cercare di dimostrare che si tratta di un licenziamento discriminatorio e nullo. La stessa disciplina riguarda anche i licenziamenti collettivi, quelli effettuati in caso di crisi aziendale.

Nelle imprese con meno di 15 dipendenti (se agricole, meno di 5) la disciplina vigente non prevede mai il reintegro in caso di licenziamento ingiustificato. C'è solo un indennizzo economico che può oscillare tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità.  Con la Riforma Renzi si prevede che per tutti i nuovi assunti in una impresa di piccole dimensioni valgono le procedure stabilite per i licenziamenti economici nelle grandi aziende: soltanto che le indennità economiche sono dimezzate. In pratica, si parte da due mesi di stipendio il primo anno, si sale di una mensilità l'anno fino a un massimo indennizzo pari a sei mesi di stipendio del lavoratore.

Novità anche sui licenziamenti disciplinari. Con la legge Fornero in alcuni casi erano i contratti collettivi, in altri un giudice, a stabilire che cosa accadeva a un lavoratore licenziato per ragioni disciplinari, se la sanzione del licenziamento era proporzionata alla colpa commessa o meno. In generale, il lavoratore poteva recuperare il posto se il fatto contestato non esisteva oppure rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa. In altri casi il lavoratore perdeva il posto, ricevendo però un indennizzo dal datore di lavoro, variabile a seconda dei casi da un minimo di 6 a un massimo di 24 mensilità di stipendio. Adesso per tutti i lavoratori assunti dopo la riforma la reintegra nel posto di lavoro diventa piu' difficile. Resterà infatti in vigore soltanto per i soli casi di insussistenza materiale del fatto contestato, a prescindere da quello che stabiliscono i contratti.  In tutte le altre situazioni il lavoratore sarà licenziato, e riceverà in cambio una indennità economica.

Per quanto riguarda, infine, il capitolo dedicato ai licenziamenti discriminatori, la normativa attualmente vigente prevede che se il licenziamento è riconosciuto come discriminatorio (legato a orientamenti sessuali, religione, opinioni politiche, attività sindacale, motivi razziali o linguistici, handicap, gravidanza, malattia, come stabiliscono leggi e Costituzione) il lavoratore sia subito reintegrato dal giudice nel suo posto di lavoro. In più all'azienda si impone il pagamento dello stipendio maturato nel periodo di assenza obbligata per il lavoratore.  La Riforma Renzi lascia immutata questa disciplina stabilendo, però, che dagli stipendi arretrati il datore di lavoro possa detrarre quanto incassato dal lavoratore licenziato grazie ad altri lavori. Viene anche precisato che il risarcimento minimo è pari a 5 mensilità piu' i contributi arretrati. Resta ferma la possibilità per il lavoratore di andarsene comunque dall'azienda prendendosi un'indennità di 15 mensilità.

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Il Professore giudicava «inique» le pensioni calcolate con il metodo retributivo, in vigore parzialmente fino alla riforma Fornero, in quanto assicurano un assegno previdenziale superiore a quello che si avrebbe con il solo metodo contributivo.

Kamsin La missione di Boeri all'Inps non è semplice. «Il nostro Paese è segnato da importanti cambiamenti demografici» e dunque quello delle pensioni è un terreno minato. «Lo verifico anche in queste ore», si limita a dire il neo-commissario . Gli «importanti cambiamenti demografici» di cui parla Boeri sono quelli che finiscono per imporre una specie di patto tra generazioni sulle pensioni. In pratica, è necessario trovare qualcuno in grado di sbrecciare il muro che divide oggi giovani e anziani. Insieme a Fabrizio e Stefano Patriarca, Boeri ne aveva parlato un anno fa in un articolo pubblicato su «La Voce.info», il sito economico di cui è stato fin dall'inizio l'ispiratore.

Cerchiamo di mandare a mente le tesi dell'economista. Boeri e Patriarca spingono per un'operazione basata sul seguente presupposto: «Principi di equità distributiva e intergenerazionale legittimano interventi sulle pensioni in essere circoscritti a 1) redditi pensionistici al di sopra di un certo importo e 2) su quella parte della prestazione che non è giustificabile sulla base de contributi versati, vale a dire la differenza fra le pensioni che si sarebbero maturate con il sistema contributivo definito dalla legge del 1995, e quelle effettivamente percepite». In pratica, si dovrebbero ricalcolare con il metodo contributivo (che mette in relazione l'importo dell'assegno con i contributi versati), tutte le prestazioni previdenziali liquidate nei decenni passati. E a quelle (superiori a 2mila euro ) che non rispettano l'equilibrio versamenti/prestazioni si dovrebbe applicare un taglio.

I due economisti si sono spinti anche a simulare gli effetti dell'operazione. Il numero dei 'colpiti' si aggirerebbe attorno a 1,7 milioni di persone: 850mila ex dipendenti privati (soprattutto pensionati di anzianità), 770mila ex pubblici e 100mila ex autonomi. La sforbiciata dovrebbe essere progressiva: meno 20% sulla quota in più garantita dal metodo retributivo per pensioni tra 2mila e 3mila euro; meno 30% per quelle tra 3mila e 5mila; meno 50% per quelle superiori a 5mila. In soldoni, ogni assegno in ballo subirebbe una decurtazione tra il 3 e il 10 per cento. Il gettito ottenibile sarebbe pari a circa 4,2 miliardi.

Il Boeri oggi diventato presidente dell'Inps, proverà ad applicare quella ricetta? «Credo in quel che ho scritto», si limita a rispondere. Tutti capiscono che tanta prudenza si spiega con i precedenti in una materia estremamente delicata, e quindi,  molto probabilmente questo progetto sarà accantonato. Ma sulle pensioni il 2015 potrebbe riservare alcune sorprese mascherate sotto-forma di flessibilità in uscita. Proprio alla Vigilia di Natale, mentre ìl premier Renzi negava in un'intervista al Quotidiano nazionale la possibilità di interventi sulle pensioni, Gutgeld, con altrettanta sicurezza, in un'intervista a Repubblica affermava l'esatto contrario: nel 2015 il tema della previdenza sarà ai primi posti nell'agenda del governo, sia pure con un approccio più furbo, meno punitivo di quello prospettato un anno fa.

Ora Gutgeld non dice più che bisogna tagliare le pensioni retributive in essere, ma quelle future, pagando «agli ultracinquantenni che hanno perso il posto l'assegno sulla base del sistema contributivo, e solo su quello, non un euro di più». Uno strumento che già esiste e che potrebbe essere esteso in favore di tutti i lavoratori. Si tratta dell'opzione donna (articolo 1, comma 9 della legge 243/04) che consente un anticipo dell'età pensionabile a quelle lavoratrici che accettano il ricalcolo dell'assegno con il contributivo puro a condizione che abbiano 57 anni e 3 mesi di età e 35 anni di contributi. In sostanza c'è una rinuncia alla quota retributiva eventualmente maturata. Un intervento, peraltro, più facile da proporre e da digerire. Vedremo se il 2015 riserverà tale sorpresa.

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Una normativa rimasta in vigore anche dopo la Riforma Fornero del 2011 consente, a coloro che svolgono lavori particolarmente faticosi e pesanti, di andare in pensione con il quorum 97,3 ed un'età di almeno 61 anni e 3 mesi.

Kamsin L'inps ha fissato al 1° marzo 2015 il termine per la presentazione della domanda volta al riconoscimento dei benefici connessi alle attività usuranti  per chi perfezionerà il diritto alla pensione durante il prossimo anno. L'eventuale ammissione al beneficio sarà comunicato dall'Inps agli interessati entro il 30 ottobre. 

L'inps ricorda che possono fare domanda di riconoscimento dell'attività usurante coloro che perfezioneranno il diritto alla pensione nel 2015. In esito alle richieste l'Inps comunicherà agli interessati, entro il 30 ottobre 2015  l'accoglimento della domanda, con indicazione della prima decorrenza utile della pensione, qualora sia accertato il possesso dei requisiti relativi allo svolgimento delle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti e sia verificata la sussistenza della relativa copertura finanziaria.

Qualora sarà accertato il mancato possesso dei requisiti sullo svolgimento delle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti l'istituto comunicherà il rigetto della domanda.

L'Inps ricorda, infine, che la domanda del beneficio non sostituisce quella di pensionamento vero e proprio e che l'accesso anticipato alla pensione sconterà la vecchia «finestra mobile», ossia il periodo di 12 mesi per i dipendenti e di 18 mesi per gli autonomi dopo la maturazione dei requisiti pensionistici. 

I benefici -  Per tutelare i lavoratori impiegati in attività particolarmente faticose e pesanti il Dlgs 67/2011 ha previsto la possibilità di anticipare l'uscita rispetto ai requisiti introdotti dalla riforma Fornero del 2011. Nella tabella sono indicati i benefici previdenziali per chi si riconosce in questo stato.

I beneficiari si distinguono in due categorie: gli addetti a lavori faticosi e pesanti, ossia lavoratori addetti alle mansioni particolarmente usuranti (lavori in galleria, cava o miniera ecc.); lavoratori addetti alla cosiddetta «linea catena»; conducenti di veicoli adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo; e i lavoratori notturni. Per godere dei benefici che vedremo i lavoratori sopra citati devono avere svolto queste attività per almeno 7 anni, compreso l'anno di maturazione dei requisiti, negli ultimi dieci anni di attività lavorativa per le pensioni con decorrenza fino al 31 Dicembre 2017; per le pensioni aventi decorrenza dal 1° Gennaio 2018 tali attività devono essere state svolte per almeno la metà della vita lavorativa complessiva.

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