Notizie
Pensione anticipata, le ferie escludono la penalizzazione
Il Ministero della Funzione Pubblica fornisce ulteriori chiarimenti circa i periodi di contribuzione non utili ai fini della sterilizzazione delle penalità previste per l'accesso alla pensione anticipata entro il 31.12.2017 per i lavoratori che non hanno compiuto i 62 anni.
{div class:article-banner-left}{/div}
Il Ministero della Funzione Pubblica, ha fornito ulteriori chiarimenti circa i periodi utili per evitare l'applicazione delle penalità previste nei pensionamenti anticipati con età anagrafiche inferiori a 62 anni ai sensi di quanto previsto dall'art. 6 - comma 2- quater del Dl 216/2011 convertito con legge 14/2012 e successive modifiche ed integrazioni.
Si ricorda infatti che dal 2014 il pensionamento, indipendente dall'età anagrafica, è pari a 41 anni e 6 mesi per le donne, 42 anni e 6 mesi per gli uomini e qualora la decorrenza della prestazione pensionistica dovesse avvenire prima che il soggetto abbia compiuto i 62 anni, le quote di pensione retributive in possesso dal soggetto al 31.12.2011 subirebbero un taglio dell'1% per ogni anno di anticipo e del 2% per ogni ulteriore anno rispetto ai 60 anni.
Con l'intervento del Dl 216/2011 tuttavia gli effetti della penalizzazione sono stati congelati sino al 31.12.2017 a condizione però, che la contribuzione risulti composta da versamenti effettivi da lavoro, da altri periodi figurativi quali l'astensione obbligatoria per maternità, l'assolvimento degli obblighi di leva, i periodi d'infortunio, di malattia e di Cigo, i giorni fruiti per la donazione di sangue e di emocomponenti, i congedi parentali di maternità e paternità previsti dal relativo testo unico e i congedi e i permessi di cui all'articolo 33 della legge 104/92.
L'Inps, con il messaggio 219/13, ha ritenuto utili anche i «periodi lavorativi riscattati» finalizzati alla costituzione di rendita vitalizia.
Secondo le precisazioni fornite dal Ministero, l'elencazione dei periodi indicati nell'art. 6 - comma 2 - quater del Dl 216/2011, ha carattere tassativo e pertanto nel concetto di prestazione effettiva di lavoro sembra potersi ritenere compreso l'insieme di tutti i periodi effettivamente lavorati, includendo solo gli istituti esplicitamente citati nella norma; fanno eccezione le ferie, in quanto istituto a fruizione obbligatoria per il lavoratore.
Secondo il Ministero restano esclusi dal concetto giuridico di prestazione effettiva, i periodi che si collocano al di fuori del rapporto di lavoro in quanto la disposizione fa espresso riferimento ai periodi d'astensione e, presuppone l'esistenza del rapporto lavorativo, nonché i periodi di anzianità maturati in virtù di norme speciali che accordano particolari benefici.
In altri termini, una maternità verificatasi al di fuori del rapporto di lavoro e richiesta in accredito figurativo ai sensi dell'articolo 25 del Dlgs 151/01, farebbe scattare la penalità; parimenti, il servizio militare reso quando il lavoratore non risultava assicurato in alcun attività.
Non possono essere utili ai fini del computo dei periodi da conteggiare come «prestazione effettiva di lavoro», tutti quei periodi inerenti la fruizione di istituti facoltativi per il dipendente non espressamente menzionati come ad esempio: la licenza matrimoniale, il congedo per cure termali, l'astensione dal lavoro per giorni di sciopero, nonché i periodi riscattati non connessi ad attività effettivamente resa come quelli relativi ai periodi di studio.
Taglio Irpef, il governo studia una soluzione anche per gli incapienti
In arrivo tagli alla spesa e un miliardo dalle banche per garantire 80 euro in busta paga a 10 milioni di italiani. Tra i possibili beneficiari anche gli incapienti.
{div class:article-banner-left}{/div}
L’operazione che consegnerà 80 euro al mese per i redditi sino a 25mila euro lordi annui si dovrebbe allargare anche agli incapienti, le persone che non pagano le tasse perché restano al di sotto della soglia minima di 8 mila euro lordi l’anno. E' quanto annunciato dal premier Renzi nella conferenza sul DEF, che contiene fondamentalmente solo le linee guida della politica economica del Paese, con i numeri sulle prospettive dell’economia italiana, e il cosiddetto «Piano Nazionale delle Riforme».
Insomma il famoso taglio delle tasse che porterà fino ad 80 euro netti in più nelle buste paga di lavoratori dipendenti ed assimilati, come i co.co.co., a partire dallo stipendio di maggio dovrebbe interessare, in qualche misura, anche coloro che, avendo dei redditi troppo bassi, dall’aumento delle detrazioni non avrebbero alcun vantaggio. E' stato lo stesso Renzi a dire che nel decreto legge che il governo dovrebbe approvare il 18 aprile ci sarà un intervento a favore di questa categoria.
Quanto alle coperture i 6,6 miliardi necessari per i restanti 8 mesi del 2014 saranno trovati tagliando la spesa pubblica attraverso la spending review di Carlo Cottarelli, con il gettito Iva aggiuntivo, ma anche togliendo 1 miliardo alle banche che beneficiarono della rivalutazione delle quote di Bankitalia.
Nello stesso decreto su Irpef e incapienti ci sarà lo sconto dell’Irap per le imprese: del 5% quest’anno e poi, si legge nel Def, di «almeno il 10%» a partire dall’anno prossimo. L’operazione sarà finanziata con l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie (Bot esclusi) che dal primo luglio di quest’anno dovrebbe passare dal 20 al 26% .
Coinvolgendo gli incapienti però il numero delle persone coinvolte salirebbe da 10 a 14 milioni con ulteriori risorse da individuare a meno che non si decida di spalmare in modo diverso i fondi già trovati per l’aumento delle detrazioni Irpef. Quanto alle modalità di erogazione del bonus agli incapienti il governo studia un eventuale ammontare anticipato dal datore di lavoro che poi lo recupererebbe a sua volta sotto forma di credito d’imposta. Ma restano in piedi anche l’ipotesi del taglio dei contributi Inps, comunque versati anche da chi è nella no tax area, o del contributo diretto pagato sempre dall’Inps.
Taglio Irap 2014, sforbiciata del 5% nel 2014 e 10% nel 2015
Il governo conferma la riduzione dell'Irap sulle imprese e professionisti in un decreto legge che sarà approvato Venerdì 18 Aprile. Le risorse arriveranno dall'aumento del prelievo sulle rendite finanziarie dal 20 al 26% a partire dal 1° luglio
{div class:article-banner-left}{/div}
Dopo settimane di calcoli e analisi il Governo ha confermato il doppio intervento per provare a ridurre la pressione fiscale che oggi grava su imprese e lavoratori autonomi. L'intervento messo a punto dall'Esecutivo prevederà un taglio del 5% per l'anno in corso e del 10%, come più volte promesso dallo stesso Premier Matteo Renzi, per il 2015.
Per conoscere i dettagli dell'operazione comunque, sarà necessario attendere il provvedimento annunciato per il 18 Aprile e indicato dallo stesso Piano nazionale delle Riforme approvato a Palazzo Chigi con il via libera al Documento di Economia e Finanza. Ma è ormai chiaro che a beneficiare della riduzione delle aliquote saranno circa 3,1 milioni di contribuenti Irap (1,7 milioni persone fisiche - 675 mila società di persone - 682 mila le società di capitali - 31mila enti non commerciali ).
Al netto di possibili limature dell'ultima ora le nuove aliquote Irap subirebbero per il 2014 un taglio del cinque per cento: dal 3,9% al 3,7% quella Ordinaria che poi diventerà 3,5% dal 2015 con una riduzione del 10%; dal 5,9% al 5,6% (5,3% dal 2015) per le Assicurazioni; dal 4,2% al 4% per i Concessionari (3,8% nel 2015); dal 4,65% al 4,4% per Banche e Istituti di Credito (4,2% al 2015); dall'1,9% all'1,8 e poi all'1,7% per l'Agricoltura.
Per quanto riguarda le addizionali Irap che possono essere deliberate dalle Regioni, il Governo avrebbe deciso di lasciare invariato l'attuale tetto dello 0,92% che si andrà a sommare alle nuove aliquote in vigore per gli anni d'imposta 2014 e 2015.
Inps, calano le domande di disoccupazione a Febbraio
Crescono invece le ore di Cassa Integrazione autorizzate: a marzo sono salite del 2,1% sul 2013, oltre quota 100 milioni di ore, ancora una volta per gli interventi straordinari e in deroga.
{div class:article-banner-left}{/div}
Viaggiano oltre quota 100 milioni, le ore di Cassa Integrazione autorizzate dall'Inps nel marzo scorso, mentre calano le domande per accedere ai trattamenti per la disoccupazione, che si riferiscono a febbraio e che sono state presentate: 85.964 domande di ASpI; 31.595 domande di mini ASpI; 247 domande tra disoccupazione ordinaria e speciale edile; 9.049 domande di mobilità. Per un totale di 126.855 domande; il 4,7% in meno rispetto alle 133.045 domande presentate nel mese di febbraio 2013.
Sono questi i dati diffusi dall'Inps che evidenziano, anche, come a livello cumulato gennaio-marzo, siano state autorizzate complessivamente 264,7 milioni di ore di Cassa Integrazione.
A livello tendenziale c'è una lieve diminuzione (-1,16%). Il settore industriale segna un calo dell'8,84% (a testimonianza - si spera - di primissimi segnali di ripresa). Mentre si conferma molto forte, la crisi nell'edilizia dove la richiesta di Cassa Integrazione nel periodo gennaio-marzo cresce del 23,27% rispetto allo stesso periodo 2013; e nel settore del commercio, dove l'aumento è addirittura del 33,10%. La cassa integrazione ordinaria, nei 12 mesi, diminuisce del 20%, ma rispetto a febbraio 2014 cresce del 6,1% (ciò significa che nuove aziende entrano in difficoltà).
Per quanto riguarda le domande di disoccupazione, il raffronto torna ad essere omogeneo perché, come ricorda l'Inps, bisogna ricordare che dal 1° gennaio 2013 sono entrate in vigore le nuove prestazioni ASpI e mini ASpI. Pertanto, le domande che si riferiscono a licenziamenti avvenuti entro il 31 dicembre 2012 continuano ad essere classificate come disoccupazione ordinaria, mentre per quelli avvenuti dopo il 31 dicembre 2012 sono classificate come ASpI e mini ASpI. A questo punto, l'anno di scarto si è esaurito e quindi l'andamento non è più alterato dalla variazione della platea di riferimento.
Taglio detrazioni Irpef, ecco i beneficiari
I dettagli della riduzione delle tasse per lavoratori e imprese saranno contenuti in Decreto Legge atteso per la prossima settimana.
{div class:article-banner-left}{/div}
Una detrazione Irpef che passa da 1.880 a 2.400 euro e si allarga a tutti i redditi fino a 20mila euro, contro gli 8mila attuali, per modularsi poi in discesa.
Sarebbero queste le basi su cui si sta costruendo il maxi-taglio al cuneo fiscale messo in cantiere dal Governo, con 10 miliardi all'anno di sconti fiscali per i lavoratori dipendenti e gli «assimilati» come co.co.co e co.co.pro. L'effetto in busta paga sarebbe di circa 80 euro in più al mese, in pratica una quattordicesima per fine anno.
I tecnici del Governo lavorano a un doppio aumento della detrazione fissa, quella che oggi sconta 1.880 euro a tutti i redditi fino a 8mila euro (che interessa circa 500mila persone, perché oltre l'80% dei contribuenti che dichiarano cifre simili è incapiente). L'aumento alzerebbe sia il valore della detrazione, portandola intorno ai 2.400 euro, sia il suo ambito di applicazione, che abbraccerebbe tutti i redditi fino a 20mila euro.
A partire da questo livello, lo sconto si verrebbe a ridurre progressivamente al crescere del reddito per azzerarsi a quota 55mila. In questo modo gli effetti maggiori si sentirebbero nella fascia di reddito 20-25mila euro, che è anche la più frequentata dai lavoratori dipendenti (vi si collocano 5,2 milioni di dichiarazioni, un quarto del totale): questi lavoratori otterrebbero il vantaggio fiscale massimo conseguibile pari a circa mille euro annui.
Altro...
Electrolux ferma gli esuberi
Gli stabilimenti italiani resteranno aperti e l'azienda non licenzierà almeno fino al 2017. La multinazionale propone di gestire i tagli con i contratti di solidarietà
{div class:article-banner-left}{/div}
Gli stabilimenti italiani di Electrolux resteranno aperti, stop agli esuberi per i lavoratori in tutti e quattro gli stabilimenti e via libera agli investimenti; almeno fino al 2017.
E' quanto afferma la nota ufficiale del Ministero dello Sviluppo Economico sull'esito della riunione del Tavolo dedicato alla vertenza Electrolux, durata circa quattro ore, che si è tenuta Lunedì a Roma tra l'Amministratore delegato dell'azienda Ernesto Ferrario, i sindacati e le istituzioni. " Un esito ", si legge nel comunicato, " che seppur con accenti diversi viene comunque giudicato dai partecipanti un passo avanti ".
Le parti si incontreranno nuovamente il 16 e il 28 aprile prossimi.
Insomma nella nuova versione presentata dai vertici dell'Azienda, il piano esclude l'ipotesi di chiusura per tutti e quattro gli stabilimenti italiani e la riduzione del personale fino almeno al 2017. Electrolux, ha detto il Ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, « ha presentato una riedizione del piano industriale che conferma gli investimenti su tutti e quattro gli stabilimenti, l'impegno a non licenziare e a non effettuare esuberi e nessun taglio ai salari ». Impegni che dovranno quindi essere formalizzati in un accordo tra le parti, passo indispensabile perché vengano attivati gli interventi del governo.
Per la decontribuzione dei Contratti di solidarietà, l'esecutivo partirà con il recente decreto lavoro 2014 che ha aumentato le risorse disponibili per i Contratti di solidarietà con ulteriori 15 milioni annui, in aggiunta ai 50 milioni previsti dalla legge di stabilità. Un decreto ministeriale dovrà definire i requisiti per le aziende che potranno accedervi, ma è certo che i requisiti includeranno proprio Electrolux.
Soddisfazione seppur contenuta, da parte dei sindacati. Per la Cgil " c'è un passo avanti e merita di essere riconosciuto, ma la trattativa continua ", ha detto il responsabile settori produttivi Salvatore Barone.
"Il punto positivo di oggi è la definitiva rinuncia di Electrolux a chiedere tagli di salario ", secondo il coordinatore nazionale Uilm del settore degli elettrodomestici, Gianluca Ficco. Mentre per il segretario nazionale Fim Cisl, Anna Trovò, sono "apprezzabili i presupposti del nuovo piano, la trattativa Electrolux è riaperta".
Tasi 2014, sulle imprese in arrivo una stangata
Il binomio Imu-Tasi sulle imprese porterà rincari di oltre il 15%.Il Fisco locale sulle imprese potrà essere contenuto solo in quei comuni che decideranno di applicare la Tasi solo sull'abitazione principale.
{div class:article-banner-left}{/div}
Brutte notizie per le tasse sul mattone che dovranno pagare le imprese quest'anno. Gli effetti uniti di Imu e Tasi rischiano infatti di far aumentare i costi della tassazione sul mattone di oltre il 10% rispetto all'anno precedente.
E' quanto emerge da uno studio della Cgia di Mestre.Merito prima di tutto, della diminuzione dal 30 al 20 per cento della quota di Imu che potrà essere dedotta sulle imposte sui redditi.
Solo questa misura "costa" in media un aumento di circa il 3% degli importi da pagare allo Stato. E poi c'è l'incognita Tasi che per le imprese può sommarsi all'Imu sino a raggiungere l'11,4 per mille.
Con il decreto Salva Roma, la fissazione dell'aliquota della Tasi è stata lasciata ai municipi che dovranno stabilire se caricarlo tutto sul 2,5 per mille previsto per la prima casa che salirebbe così al 3,3 ; oppure sul 10,6 per mille relativo alle seconde abitazioni e altri immobili, che arriverebbe all'11,4 per mille inclusa l'Imu, o ancora pro quota sulle due aliquote.
Ad esempio immaginando che il Comune applichi la Tasi in aliquota standard dell'1,0 per mille, un negozio del valore fiscale di 260 mila euro che abbia pagato nel 2012 un'imposta Imu del 7,6 per mille, quest'anno per effetto dell'accoppiata Imu-Tasi si troverà a pagare l'8,6 per mille (7,6 Imu e 1,0 per mille di Tasi).
In soldoni finirà per pagare 2.200 euro di tasse nel 2014 contro 1.950 euro del 2012 (+ 13,2%). Che salgono a 2.750 qualora il binomio di Imu e Tasi porti l'aliquota complessiva al 9,6 per mille (con 8,6 per mille di Imu) con un incremento del 10,4% rispetto a quanto avrebbe pagato l'esercizio nel 2012 e a 2.950 (+7,5% rispetto al 2012) con l'aliquota massima applicabile all' 11,4 per mille (10,6 per mille di Imu).
Ma per cogliere in pieno le dimensioni del problema occorre fare un altro passo indietro, al 2011: quell'anno il negozio menzionato avrebbe pagato con l'aliquota Ici massima 1.072 euro, cioè meno della metà del limite di oggi.
Questo ennesimo balzo in avanti del Fisco locale sulle imprese potrà essere contenuto in quei comuni che decideranno di applicare la Tasi solo sull'abitazione principale come ad esempio Bologna e Firenze. Ma nella maggior parte dei municipi la Tasi sarà applicata interamente sugli altri immobili ed è facile immaginare che si raggiungerà l'aliquota massima dell'11,4 per mille.
Esodati, la CGIL denuncia il rigetto di numerose istanze da parte delle DTL
All'indomani della nota del Ministero del Lavoro che ha ristretto l'ambito di operatività della quarta salvaguardia, molti lavoratori si stanno vedendo rigettare l'istanza di accesso alle Direzioni Territoriali del Lavoro.
{div class:article-banner-left}{/div}
Nello scorso mese di marzo molti lavoratori esodati che avevano presentato istanza per fare parte del contingente dei 6.500 cessati per risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro di cui Dl 102/2013 (si tratta cioè di coloro che si sono dimessi o sono stati licenziati) si sono visti rigettare dalle DTL l'istanza per l'ammissione al beneficio.
Colpa in gran parte di una nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (Prot. 14954 del 5 Marzo 2014) che escluso dal beneficio i percettori "che risultino fruitori dell'indennità di mobilità, poiché rientranti in altra categoria di salvaguardati".
Secondo Bruno Palmieri del Patronato Inca-Cgil pertanto i "lavoratori che hanno fruito dell'indennità di mobilità non possono partecipare alla lotteria dei 6.500. Ad alcuni di questi la DTL dapprima ha accettato l'istanza poi, dopo la pubblicazione della nota del Ministero, l'ha revocata. E' un comportamento inaccettabile che denota la scarsa attenzione a questo tema sociale".
Palmieri ricorda anche che questa salvaguardia ha dell'assurdo: "essendo tutelata solo la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, un lavoratore il cui contratto a termine sia scaduto alla sua data naturale non può farne parte. Ma se lo stesso lavoratore si fosse dimesso il giorno prima della scadenza risolvendo unilateralmente il rapporto, ne avrebbe avuto diritto."
Per quanto riguarda i 2.500 lavoratori in congedo tutelati ai sensi dell'art. 11 bis D.L. n. 102/2013, la nota ministeriale evidenzia anche la possibile applicazione della salvaguardia a coloro che benché autorizzati precedentemente, non hanno fruito nel corso del 2011, dei permessi di cui all'art. 33 - comma 3- della Legge n.104/92, nonchè la possibilità di concedere la salvaguardia anche ai lavoratori stessi portatori di handicap in situazione di gravità - categoria individuata dal comma 6 del medesimo art. 33 - Legge n. 104/1992.
A tal proposito la nota osserva che non sussistono motivi ostativi alla concessione del benefico a colui che ha usufruito dei permessi in questione, a prescindere che si tratti di un lavoratore che assiste un disabile o che sia esso stesso portatore di handicap.
Contratti a termine, restano i vincoli per il pubblico impiego
Nel settore pubblico il decreto Poletti si applica nei limiti in cui questo è compatibile con la disciplina indicata nel Dlgs 165/2011.
{div class:article-banner-left}{/div}
Com'è noto dal 21 marzo 2014 è entrato in vigore il Dlg 34/2014 che ha riformato la disciplina del contratto a Tempo determinato. Le principali innovazioni sono ormai chiare a tutti. Il provvedimento, che sta suscitando diverse reazioni politiche, ha provveduto all'abolizione della causale per la sottoscrizione di contratti di lavoro a termine; ha introdotto un tetto massimo pari al 20 % dell'organico complessivo dell'azienda del numero dei rapporti di lavoro a termine che possono essere stipulati, ( limite che tuttavia non opera in confronto delle aziende con meno di 5 dipendenti per le quali viene sempre prevista la possibilità per il datore di stipulare un Contratto di lavoro a termine); ed ha precisato che il contratto a tempo può essere prorogato di otto volte sino ad un massimo di 3 anni a condizione tuttavia che le parti si riferiscano alla medesima attività lavorativa per la quale il contratto è stato originariamente stipulato.
Gabriella Martini, dell'ordine dei Consulenti del Lavoro, ricorda tuttavia che le innovazioni portate dal Dl 34/2014 non hanno grandi effetti per quanto riguarda il settore del Pubblico Impiego, settore in cui restano in vigore le disposizioni di cui all'articolo 36 del Dlgs 165 del 2001.
"Nel settore pubblico resta ferma la possibilità di ricorrere a forme contrattuali flessibili di impiego del personale per rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale. Di conseguenza nel Settore Pubblico, nonostante l'introduzione della nuova normativa, resta sempre necessaria l'indicazione della causale nella stipula di Contratti a tempo determinato".
Per quanto riguarda invece il tetto massimo di Contratti a tempo determinato fissato con il 20% di organico "anche tale misura non pare essere compatibile con il Settore Pubblico in quanto, anche se è vero che sussiste un richiamo generico ai Contratti Collettivi di lavoro, questo limite è troppo elevato e ciò potrebbe favorire forme di abuso a discapito dei lavoratori".
In definitiva l'unica novità del Decreto Poletti che risulta compatibile con il Settore Pubblico è quella relativa alla possibilità di prorogare fino ad otto volte il Contratto a tempo determinato sempre rispettando il limite massimo di 36 mesi a condizione che non vi sia abuso.
Dirigenti Pubblici, Renzi dice sì al tetto a 240mila euro
I dirigenti della Pubblica Amministrazione non potranno guadagnare più del Capo dello Stato. Dal tetto agli stipendi sono attesi risparmi per 500 milioni.
{div class:article-banner-left}{/div}
Renzi accelera sull'idea di introdurre il principio in base al quale nessuno nella Pubblica Amministrazione può guadagnare più del Capo dello Stato. Nel Cdm di ieri che ha licenziato il DEF il premier ha confermato che dal prossimo 18 Aprile sarà introdotto un nuovo tetto ai stipendi dei manager pubblici pari a 239mila euro lordi annui, la retribuzione lorda del Capo dello stato. Secondo indiscrezioni potrebbero anche essere introdotti tetti differenziati e via via decrescenti per ogni figura dirigenziale della Pubblica Amministrazione.
Secondo le cifre del MEF, i risparmi per lo Stato si attesterebbero almeno sui 400milioni l'anno se il tetto allo stipendio passasse dai 311.658,53 euro lordi all'anno previsti oggi, ai 239.181 euro riconosciuti al Capo dello Stato. Una sforbiciata di oltre il 20% che funzionerà da effetto domino travolgendo verso il basso tutto il sistema delle retribuzioni dirigenziali.
Dovrebbero essere introdotti anche limiti via via discendenti per Capi dipartimento (190mila euro), Dirigenti di prima fascia (120mila euro) e per quelli di seconda fascia, che dovrebbero attestarsi verso i 70-80 mila euro annui. Il premier è determinato a continuare la sua offensiva contro gli sprechi della Pubblica Amministrazione e contro i privilegi della politica: «Non ci saranno più santuari, dopo il Senato e le Province taglierò anche doppioni ed enti inutili», garantisce Renzi che ha inquadrato nel mirino le sei-settemila aziende municipalizzate (garantiscono circa 80 mila poltrone a politici e amici dei politici), l’Aci e la Motorizzazione, i Consorzi di bonifica di cui è costellata la Penisola.
Indipendentemente dall'esito della Riforma, il meccanismo ideato dovrebbe colpire quasi tutti i dirigenti pubblici, a partire dagli Enti pubblici non economici (Inps, Aci, Istat) dove lo stipendio medio dei dirigenti di prima fascia è abbondantemente oltre i 200mila euro, e quello della seconda fascia si attesta a 135mila euro. Nei Ministeri gli importi si collocano invece fra i 187mila euro medi della prima fascia e gli 88mila euro della seconda, che salgono a 96mila per Palazzo Chigi.