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L'inchiesta di Panorama svela il diffondersi dei timori nell'alta dirigenza della Magistratura contabile. 12 alti Magistrati hanno già chiesto il collocamento a riposo in vista di una possibile decurtazione dello stipendio.

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Secondo quanto spiegato dal settimanale Panorama, alla Corte dei Conti e nelle alte Magistrature c'è un diffuso senso di preoccupazione, celata ma percepibile.

Sono infatti già sette i Magistrati  contabili che hanno scelto di andare in pensione prima che i tanto attesi tagli alle retribuzioni pubbliche limino i loro stipendi e incidano sui relativi trattamenti pensionistici; altri cinque sono pronti a seguire i colleghi entro maggio.

Il timore è di percepire un vitalizio inferiore alle aspettative, magari decurtato in base a qualche norma o dettaglio ministeriale ancora oggi non chiaro. Naturalmente la domanda l'avevano presentata in precedenza e nessuno dichiara che siano stati i tagli a determinarla, ma il clima che si respira è di grande preoccupazione. 

«Questa e una vera rivoluzione - commenta furioso, un presidente di sezione - vogliono far fuori l'alta dirigenza pubblica e prendersi tutto il potere. Altro che risparmi e crisi! Si parla di circa 200 persone e non è certo così che si risanano i conti».

Tra i 460 Magistrati contabili in questi giorni la domanda più ricorrente era: i tagli di Renzi toccheranno la buonuscita?

Voce importante della busta paga quando si lascia il lavoro, pari a centinaia di migliaia di euro, una somma accantonata in media in 40-50 anni. «Ci siamo convinti - dice un alto Magistrato contabile - che i tagli non incidano sulla buonuscita. Meno male, sarebbe stato un disastro».

I timori si estendono anche ai piani bassi delle toghe. «Assicurano che i nostri stipendi - spiega un consigliere - non verranno toccati perche non arrivano alle cifre di cui si parla. Ma temiamo che al governo non si fermino qui. Come potremmo avere dei presidenti che guadagnano poco di piu' di quelli un gradino più sotto? Arriverà un ritocco in basso, sicuro».

Bonus pieno per i redditi compresi tra 8 e 24 mila euro. Cala progressivamente sopra i 24 mila per azzerarsi a 26mila. Esclusi gli incapienti. La distribuzione del bonus è articolata in otto mesi, da maggio a dicembre, ma il diritto si matura in dodici.

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Il decreto Irpef conferma un «bonus» di 640 euro per tutti i lavoratori dipendenti e i collaboratori «assimilati» che hanno un reddito compreso fra 8mila e 24mila euro all'anno; una piccola somma discendente viene anche corrisposta al crescere del reddito a chi si attesta nella fascia 24-26mila euro.

In pratica al di sopra della soglia dei 24mila euro, calano progressivamente gli sconti fino ad azzerarsi a quota 26mila. Esclusi quindi dal beneficio gli incapienti, cioè quei lavoratori con redditi fino a 8mila euro che non pagano l'Irpef grazie alle detrazioni già in vigore.

Qualora invece il lavoratore abbia un reddito superiore agli 8mila euro ma riesca ad abbattere l'Irpef grazie alle detrazioni per lavoro dipendente (come ad esempio coniuge a carico), godrà comunque dei 640 euro annui.  

Il bonus inoltre sarà rapportato al periodo di lavoro nell'anno. Ciò significa che il bonus sarà "massimo" per chi lavora per tutto il periodo  Maggio/Dicembre 2014 (640 euro) mentre, dovrà essere rapportato al numero di mesi lavorati negli altri casi (es. chi lavora 6 mesi avrà diritto al 50% del bonus, cioè 320 euro). In pratica, la distribuzione del bonus è articolata in otto mesi da maggio a dicembre, ma il diritto si matura in dodici.

Ecco come funziona il bonus previsto dal decreto Irpef approvato dal governo di Matteo Renzi.

Fascia di Reddito
Bonus
Aumento del reddito Disponibile
9.000


640 euro










7,3%
10.000 6,7%
11.000 6.3%
12.000 5,9%
13.000 5,5%
14.000 5,2%
15.000 4,9%
16.000 4,6%
17.000 4,4%
18.000 4,2%
19.000 4,0%
20.000 3,9%
21.000 3,7%
22.000 3,6%
23.000 3,4%
24.000 640 euro 3,3%
24.500 480 euro 2,4%
25.000 320 euro 1,6%
25.500 160 euro 0,8%
26.000 0 0%
Il Ministro annuncia «misure strutturali per evitare ogni volta aspettative e ingiustizie». Al piano servirà la partecipazione di tutti i soggetti comprese imprese e lavoratori, per sostenere i costi di una simile operazione.

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Flessibilità in uscita, si riparte. Il Ministero del Lavoro accende i riflettori sul capitolo esodati, le persone vicine alla pensione che hanno perso il lavoro, per le quali intende studiare soluzioni strutturali; proprio mentre Palazzo Chigi annuncia l'ampliamento della platea dei benefici fiscali questa volta anche ai pensionati.

Una misura nei prossimi tempi per tamponare la perdita del potere d'acquisto che hanno lasciato sul terreno le pensioni in questi ultimi cinque anni.

Sugli «esodati» servono soluzioni strutturali «per evitare di alimentare ad ogni round aspettative ed ingiustizie», ha spiegato il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti annunciando «tra una settimana» il confronto con Inps, parti Sociali,Commissioni Lavoro di Camera e Senato; un tavolo cui il presidente della Commissione Lavoro Cesare Damiano (Pd), vuole anche il Ministero dell'Economia. 

Poletti afferma che «bisogna lavorare a soluzioni dinamiche, che producano delle condizioni strutturali, con un meccanismo mobile in grado di tenere tutti dentro».

Il Ministro ne aveva parlato qualche giorno fa: «Stiamo costruendo uno scivolo che consenta di collegare la condizione di queste persone al pensionamento». Senza ricorrere però a tutele parziali. «Bisogna fare una regola generale che dica che tutti quelli che arrivano a questa condizione possono avere questo tipo di trattamento. Naturalmente questa è un'operazione che ha dei costi» ha detto, ma va costruita tecnicamente bene per evitare di riprodurre problemi, trovando «un bilanciamento che consenta di fare quest'operazione in maniera efficace». 

E' l'idea di quel prestito pensionistico che era stata già studiata da Giovannini, l'ex Ministro del lavoro del Governo Letta che tiene banco al Dicastero di Via Veneto. Poletti non ne ha fatto un mistero la scorsa settimana in una intervista a Repubblica Tv, in cui ha anticipato i binari della riforma che intende presentare a sindacati e imprese.

Un piano a cui servirà la partecipazione (soprattutto economica) di tutti i soggetti, anche dello Stato che non si può però piu' permettere di sostenere tutti i costi di una simile operazione.

L'ex presidente di Lega Coop, ha fatto l'esempio di un lavoratore che si accorda con l'azienda per andare in pensione un anno prima: «II datore paga tutti i contributi di quell'anno e poi il lavoratore glieli restituisce con la pensione».

«Ti manca un anno al pensionamento? Ti dò un assegno per fare i 12 mesi, quando arrivi al 30 dicembre vai in pensione; per questo anno l'impresa ti paga i contributi previdenziali e il costo dell'assegno una parte la restituisci tu e una parte la paga lo Stato».

E visto che gli "esodanti" (che stanno per diventare esodati) sono ancora tanti, potrebbe essere proprio questa la soluzione strutturale. Insomma la soluzione prevede che queste persone dovranno probabilmente pagarsi almeno in parte, il privilegio di andarsene in pensione e probabilmente con un debito per agguantare l'assegno.

Un decreto ridefinirà la mappa dei terreni con esenzione Imu. Nel mirino ci sono i terreni agricoli di collina e di montagna che saranno tassati per recuperare un maggior gettito di imposta municipale a favore dei comuni.

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L'articolo 22 del decreto Irpef, attribuisce una delega ad un decreto del Ministero dell'Economia, di concerto con le Politiche Agricole e l'Interno per delimitare i comuni montani nei quali si applica l'esclusione dall'Imu per i terreni agricoli. La norma chiede che l'elenco dei comuni esenti da Imu deve essere predisposto a decorrere dal periodo di imposta 2014 e che la delimitazione dei territori esenti deve generare un maggior gettito non inferiore a 350 milioni di euro.

L'individuazione dei comuni dovrà essere effettuata sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco predisposto dall'Istat. Ciò comporterà  verosimilmente, la perdita dell'esenzione da Imu dal 2014 per i terreni di collina che finora usufruivano invece dell'agevolazione e che non potranno risultare nell'elenco.

Si tratta nella stragrande maggioranza dei casi, di beni produttivi adibiti a coltivazioni di vigneti che rischiano quindi di dover contribuire al bilancio dei comuni.

La norma tuttavia conferma il trattamento di riguardo per i terreni agricoli posseduti e coltivati da coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali (Iap) iscritti nella gestione Inps; soggetti, questi, che beneficiano già oggi di due disposizioni di favore: un coefficiente di determinazione della base imponibile Imu per i terreni pari a 75 volte il reddito dominicale rivalutato, in luogo di 135;  un diverso sistema di calcolo della base imponibile che, in presenza di aree edificabili destinate alla coltivazione agricola, viene assunta in base al valore catastale e non di mercato come avviene per gli altri contribuenti.

In sostanza quindi il Ministero dell'Economia, sulla base dei territori montani rilevati dagli elenchi Istat, dovrà stabilire quelli per i quali continuerà ad applicarsi l'esenzione da Imu. Si ritiene che l'asticella verrà alzata o abbassata in relazione al raggiungimento del gettito fissato dalla norma.

L'istituto del prepensionamento nel settore pubblico è già stato introdotto dall'articolo 2 del Dl 95/2012 come strumento proritario per consentire alle amministrazioni centrali di riassorbire i soprannumeri determinati dalle misure di riduzione delle dotazioni organiche, prima di ricorrere alla mobilità coattiva.

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Il ministro Madia ha evocato in queste ultime settimane il tema dei prepensionamenti nella Pubblica Amministrazione. E' una strada questa difficilmente percorribile per diverse ragioni. La prima è di carattere equitativo: la riforma Fornero ha improvvisamente allontanato di molti anni il collocamento a riposo per tutti i lavoratori.

Chiedere oggi di approvare una deroga per mandare in pensione anticipata i dipendenti pubblici, non può  far altro che discriminare i dipendenti del settore privato tanto piu' che molti, specialmente se anziani, hanno il timore di perdere il posto perché è noto che le aziende non siano per niente contente di tenersi i lavoratori fino a 66-67 anni e anzi cerchino il modo di liberarsene il prima possibile.

Inoltre, quando si parla di prepensionamenti nel pubblico, bisogna anche ricordare le norme che già ci sono. La prima legge di spending review del governo Monti - il Dl 95/2012 -  tagliò del 20% l'organico dei dirigenti e del 10% quello degli altri dipendenti pubblici, disponendo che questi soggetti potranno andare in pensione con le regole precedenti alla riforma Fornero a condizione che maturino i requisiti anagrafici e contributivi utili a comportare la decorrenza del trattamento entro il 31.12.2014 (data spostata al 31.12.2016 dal dl 102/2013).

Usciranno in questo modo già 7-8 mila lavoratori secondo quanto aveva affermato l'ex Ministro Dalia. Pochi probabilmente rispetto agli oltre 3 milioni di dipendenti ma qui bisogna ricordare che la legge poteva imporre questi tagli solo alle amministrazioni dello Stato e non anche a quelle di Regioni ed enti locali per via delle competenze attribuite dal titolo V della Costituzione.

Per trattare allo stesso modo dipendenti pubblici e privati si dovrebbe pertanto lavorare per introdurre per tutti maggiori elementi di flessibilità sull'età pensionabile chiedendo a chi sceglie di uscire prima una riduzione dell'assegno. Che comunque potrà colpire solo le anzianità maturate con il sistema retributivo presenti nell'arco della vita lavorativa del pensionando.

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