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L'istat ha pubblicato i coefficienti necessari per calcolare con esattezza una rendita con decorrenza 2015. 

L'Istituto Nazionale di Statistica ha da poco comunicato i coefficienti che consentono di rivalutare le retribuzioni - oppure i redditi per i lavoratori autonomi - utili per determinare la base annua pensionabile nel regime retributivo.

Con i nuovi coefficienti i pensionati possono dunque calcolare con precisione l'assegno con decorrenza 2015.

Anno Quota A Quota B
2015 1,0000 1,0000
2014 1,0000 1,0000
2013 1,0020 1,0120
2012 1,0110 1,0211
2011 1,0420 1,0628
2010 1,0700 1,1021
2009 1,0870 1,1305
2008 1,0950 1,1498
2007 1,1300 1,1978
2006 1,1500 1,2305
2005 1,1720 1,2658
2004 1,1920 1,2993
2003 1,2160 1,3376
2002 1,2460 1,3831
2001 1,2760 1,4291
2000 1,3110 1,4814
1999 1,3440 1,5322

Nella colonna A sono indicati i coeffidenti di rivalutazione delle retribuzioni da utilizzare per il calcolo della quota di pensione riferita alla contribuzione versata a tutto il 31/12/1992 (quota A). Nella colonna B sono riportati i coefficienti da utilizzare per il calcolo della quota di pensione maturata sulla base della contribuzione successiva al 1° gennaio 1993 (quota B). Dalla rivalutazione sono escluse le retribuzioni dell'anno di decorrenza della pensione e di quello precedente.

Il sistema retributivo - Il calcolo retributivo è stato definitivamente soppresso dal 1° gennaio 2012 e si basa principalmente su due elementi. Il primo è quello del numero degli anni di contribuzione unito alla media delle retribuzioni lorde aggiornate e riferite all'ultimo periodo di attività lavorativa.

L'ammontare della prestazione pensionistica è pari al 2 % del reddito pensionabile per ogni anno di contribuzione: con 25 anni di contributi si ha diritto al 50% della pensione, con 35 anni di contributi si ha diritto al 70% della pensione sino a raggiungere l'80% con 40 anni di contribuzione. 

La rendita è costituita dalla somma di due distinte quote, la quota A e la quota B. La prima corrisponde all'importo relativo alle anzianità contributive maturate fino al 31 dicembre 1992; l'altra, la B, si riferisce alle anzianità acquisite dal 1° gennaio 1993 sino al 31 dicembre 2011.
La base pensionabile della quota A è costituita dalla media degli stipendi degli ultimi 5 anni che precedono la decorrenza della pensione. La base pensionabile della quota B si determina invece dalla media annua delle retribuzioni degli ultimi 10 anni.

Tuttavia gli importi impiegati per il conteggio non sono quelli effettivamente incassati nella busta paga dal lavoratore ma sono quelli rivalutati tenendo conto dell'inflazione ed escludendo l'anno di decorrenza e quello immediatamente precedente. Per esempio uno stipendio di 20mila euro nel 2012 in pensione ne vale 20.220 euro se riferito alla quota A e 20.422 euro se deve essere calcolato per la seconda quota, la B, riferita all'anzianità maturata dopo il 1992.

Il contributivo - Il sistema contributivo è diverso. La legge stabilisce che il montante individuale dei contributi sia determinato applicando alla base imponibile (retribuzione o reddito) una aliquota di computo, 33% per i lavora­tori dipendenti, 22,20% per gli autonomi, e rivalutando la contribuzione così otte­nuta su base composta al 31 dicembre di ogni anno, con esclusione della contri­buzione dello stesso anno, al tasso di capitalizzazione dato dalla variazione media quinquennale del pro­dotto interno lordo (Pil) nominale.

Al momento dell'accesso alla pensione, al montante contributivo, cioè alla somma delle quote ac­cantonate (e rivalutate), si applica un coefficiente di conversione correlato al­l'età del pensionando: 4,661% per chi sceglie di chiederla a 60 anni, 5,435% per chi decide di farlo a 65 anni, e così via si­no al massimo di 6,541% per chi esce a 70 an­ni. Il metodo contributivo si applica interamente a chi ha iniziato a lavorare dal 1996 in poi. E in forma pro-quota per chi era in possesso di meno di 18 anni di contributi entro il 1995 (il metodo si applica sulle anzianità successive al 1996).

La Quota C - Per le pensioni con de­correnza dal 2012, il calcolo della rendita deve tener conto, oltre alle due fette di pensione calcolala con il metodo retributivo, anche di una ulteriore quota (C), riferita all'anzianità acqui­sita successivamente al 31 dicembre 2011 per tutti co­loro che potevano contare su 18 anni di versamenti al 31 dicembre 1995, i quali avevano in precedenza be­neficiato del solo criterio retributivo.

Nel piano annunciato da Matteo Renzi gli sgravi Irpef non verranno estesi ai pensionati. I sindacati in una nota congiunta denunciano: i pensionati non sono persone di serie B.

L'anno nuovo e il nuovo governo non riservano buone notizie per i titolari di reddito da pensione. Gli oltre 16 milioni di pensionati italiani sono infatti rimasti fuori dal taglio dell'Irpef annunciato questa settimana dal primo ministro Matteo Renzi. Quindi, almeno per ora, l'aumento di 100 euro al mese in busta paga non ci sarà. Anzi in vista potrebbero esserci dei nuovi tagli sui trattamenti pensionistici che superano i 3mila euro al mese, un intervento questo che se non calibrato correttamente potrebbe ulteriormente comprimere il potere d'acquisto di pensioni già fortemente indebolite dall'acuirsi della crisi e dalla mancata indicizzazione.

La preoccupazione dei sindacati è stata espressa in un comunicato congiunto della Cgil, Cisl e Uil in cui si afferma che "ormai è del tutto evidente che i pensionati sono stati considerati a tutti gli effetti dei cittadini di serie B non meritevoli di alcuna attenzione. La condizione di milioni di persone a cui sono stati chiesti negli ultimi anni tanti sacrifici non può essere archiviata così. Chiediamo al Governo di ravvedersi. Noi non staremo né fermi né zitti a guardare subire l'ennesima ingiustizia ai danni di chi ha lavorato una vita versando i contributi e pagando le tasse fino all'ultimo centesimo. E' inaccettabile che per pensionati ed annziani non ci siano sgravi fiscali" conclude il comunicato congiunto.

Sul punto è intervenuto anche il presidente della commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano che ha sollecitato il governo ad "aprire un tavolo di confronto con i sindacati per affrontare il tema della indicizzazione delle pensioni. La manovra ha una indubbia valenza sociale: evitiamo di comprometterla con misure sbagliate. È fortemente contraddittorio il fatto che allo stesso tempo si dettassino i redditi medio bassi dei lavoratori dipendenti e non quelli medio bassi dei pensionati, una misura fortemente discriminatoria" ha detto Damiano.

Il decreto Destinazione Italia raddoppia le sanzioni per i datori che non rispettano le norme dell'orario di lavoro.

La nuova stretta sul lavoro nero è contenuta nel decreto Destinazione Italia (Dl 145/2013 convertito con legge 9/2014). Tra le tante materie regolate dal decreto c'è infatti una rimodulazione degli importi della sanzioni per i datori di lavoro che impiegano manodopera non regolare e non rispettano gli orari di riposo.  Vediamo dunque quali sono le novità introdotte. 

Orario di lavoro - Relativamente alle violazioni connesse al mancato rispetto dell'orario di lavoro il provvedimento dispone l'incremento in misura doppia delle sanzioni sulle violazioni della durata massima settimanale dell'orario di lavoro, del riposo settimanale e di quello giornaliero. Le nuove sanzioni si applicano alle condotte illecite commesse dal 24 dicembre 2013, la data di entrata in vigore del Dl 145/2013. Escluse dall'intervento, e dunque dall'incremento delle sanzioni, le violazioni connesse al godimento delle ferie.

La durata massima settimanale dell'orario di lavoro, secondo quanto disposto dall'articolo 4 del Dlgs 66/2003, non può superare, per ogni periodo di sette giorni, le 48 ore, incluse le ore di straordinario. Il rispetto di questa media deve avvenire nell'ambito di un periodo di riferimento, di norma pari a quattro mesi, fatte salve specifiche disposizioni della contrattazione collettiva. Il ministero del Lavoro (Circolare 8/2005) ha chiarito inoltre che nel computo delle ore, oltre alle ferie e alla malattia non si devono considerare neanche le assenze dovute a gravidanza e infortunio. Tutti i restanti periodi di assenza, con diritto alla conservazione del posto, sono invece ricompresi nell'arco temporale di riferimento, sia pur con indicazione delle ore pari a zero.

Il riposo settimanale - Le multe salgono anche per quanto riguarda le violazioni legate al mancato rispetto del riposo settimanale: l'articolo 9, del Dlgs 66/2003, stabilisce che il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero, a eccezione dei casi previsti dalla norma stessa. Con le modifiche apportate dalla legge 133/2008, il periodo di riposo consecutivo viene determinato come media in un arco temporale non superiore a 14 giorni.

Le sanzioni - Con l'entrata in vigore del Dl 145/2013 la sanzione per il superamento dei limiti dell'orario di lavoro è dunque compresa tra 200 e 1.500 euro. Qualora la violazione riguardi più di cinque lavoratori o si sia verificata in almeno tre periodi di riferimento, la multa sale da 800 a 3mila euro. E se nella violazione sono coinvolti più di 10 lavoratori o questa si è protratta per almeno cinque periodi, la sanzione è compresa tra 2mila a 10mila euro. Per la violazione del riposo settimanale la sanzione prevista è quella relativa al superamento delle quarantotto ore settimanali di media, con gli stessi importi appena indicati.

Il riposo giornaliero - Per il riposo giornaliero le nuove sanzioni prevedono l'importo da 100 a 300 euro se la violazione coinvolge fino a cinque lavoratori o due periodi di riferimento. Le sanzioni passano da 600 a 2mila euro qualora la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori o si è verificata in almeno tre periodi di ventiquattro ore. Se riguarda più di dieci lavoratori o almeno cinque periodi, l'importo è ricompreso tra i 1.800 e i 3mila euro.

La proposta di far scattare già dal 2014 un prelievo sui trattamenti superiori ai 2mila euro viene bocciata da Matteo Renzi dopo le proteste dei sindacati.

Il premier Matteo Renzi smentisce la proposta contenuta nel piano sulla spending review targato Cottarelli presentato ieri in Consiglio dei ministri. "L'idea che uno che guadagna 2 mila euro di pensione sia chiamato a dare un contributo forse c'è per Cottarelli, ma io la escludo" ha affermato ieri il premier a Porta a Porta ammettendo però che l'idea non è un tabu' ma che potrebbe essere legata a soglie piu' elevate: "è chiaro che se prendi ottomila euro netti e il governo ti chiede un sacrificio io mi sento di difendere questa misura, che peraltro già esiste".

Le parole del premier erano indirizzate in particolare ai sindacati che ieri erano già sul piede di guerra contro l'ipotesi dell'introduzione di un nuovo contributo di solidarietà. Sia per la Cgil che per l'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano la proposta fatta circolare dal commissario Cottarelli era del tutto inaccettabile. Renzi ha dunque rassicurato: "chi sostiene che i pensionati pagheranno la manovra sbaglia."

Il problema sta nelle soglie - Il segretario Cgil Camusso tuttavia non è contraria tout court alla misura a condizione che pero' che si fissi la soglia del contributo di solidarietà sopra i 3 mila e 500 - 4mila euro in modo da garantire le fasce medie. L'ipotesi peraltro è condivisa negli ambienti governativi. Insomma un intervento una tantum sui trattamenti superiori ai 4-5 mila euro lordi al mese non è del tutto da scartare come del resto ha detto ieri mattina il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio. Ma in ogni caso le pensioni avranno un ruolo marginale nel finanziamento di altri capitoli di spesa del governo Renzi in quanto il contributo, se sarà introdotto, "sarà comunque temporaneo" ha detto Delrio. 

I calcoli - Insomma la precisazione dovrebbe garantire che l'eventuale prelievo di solidarietà - se sarà introdotto - riguarderà solo il 5 per cento dei pensionati e forse anche meno. Peraltro Renzi dovrebbe ricordare che alcuni di questi trattamenti già pagano un contributo di solidarietà reintrodotto con l' ultima legge di stabilità, anche piuttosto salato, che scatta sopra i 90 mila euro lordi annui - cioè circa 7mila euro al mese - e dovrà essere pagato fino al 2016. E quindi, a meno che non si voglia ulteriormente penalizzare queste "pensioni d'oro", la reale platea che potrebbe essere interessata dalla misura è quella che va dai 3-4 mila euro ai 7mila euro. Quante sarebbero le pensioni colpite? Circa 350mila secondo i calcoli Inps; ed ipotizzando una aliquota del 5 per cento massimo sulla parte eccedente i 3000 euro al mese, Renzi potrebbe racimolare circa 260 milioni di euro l'anno. Una cifra del tutto inadeguata evidentemente a finanziare gli sgravi sul lavoro per stimolare le nuove assunzioni. 

Ma il calcolo potrebbe anche avvenire in modo differente laddove il governo scegliesse di prelevare la parte dell'assegno non derivante da versamenti contributivi che per queste fasce di pensioni raggiunge anche il 25 per cento dell'importo. In tal caso il "danno" per i pensionati sarebbe ingente perchè colpirebbe la parte retributiva e la misura comporterebbe un gettito molto più ricco per le casse dello Stato.

Doccia fredda per i pensionati. Renzi annuncia l'introduzione di un nuovo contributo di  solidarietà sulle pensioni sopra i 2500 euro lordi. Immediata la replica di Damiano: "la misura è fuori dalla realtà".

Nelle novità annunciate ieri dal primo ministro, Matteo Renzi, ci sono anche alcuni provvedimenti che potrebbero interessare i pensionati. Non si tratta però delle misure tanto attese, come un allargamento delle maglie degli esodati o l'introduzione dei pensionamenti flessibili, ma di un ennesimo contributo temporaneo di solidarietà a carico dei trattamenti più elevati. E' quanto annunciato dal commissario straordinario alla spending review Carlo Cottarelli nella conferenza stampa di mercoledì. Ma andiamo con ordine. 

Secondo Cottarelli il piano di revisione della spesa pubblica sarà articolato in 33 punti con l'obiettivo di conseguire risparmi dai 5 ai 7 miliardi quest'anno, 18 miliardi il prossimo e 35 miliardi nel 2016. I tagli saranno graduali con i primi provvedimenti che potranno essere avviati dal prossimo mese di maggio "sempre che si riesca ad agire seriamente e subito" ha detto Cottarelli. Tra le misure annunciate ci sarà chiaramente una sforbiciata alle auto blu che secondo il presidente del Consiglio dei Ministri "ne devono restare una per ministro e massimo 5 auto per ogni dicastero".  

Ma la scure della spending review potrebbe essere calata ancora una volta sulla previdenza. Secondo Cottarelli il settore non può non essere coinvolto: "i costi del sistema sono ancora troppo elevati dato che raggiungono circa il 16 per cento del Pil, per un valore di ben 270 miliardi di euro". A tale riguardo Cottarelli è stato abbastanza chiaro: l'ipotesi è di introdurre "un contributo temporaneo di solidarietà sui trattamenti previdenziali più elevati a beneficio della fiscalizzazione degli oneri per i lavoratori neoassunti". Secondo il commissario verranno colpiti gradualmente solo il 15 per cento degli assegni previdenziali. Si tratterebbe in particolare, anche se in via temporanea, degli assegni sopra i 2500 euro lordi mensili (ossia con la soglia oltre cinque volte il minimo), cifre che a ben guardare non sono in realtà un gran reddito ma che andrebbero a colpire i redditi medi già duramente provati dalla stop all'indicizzazione dei trattamenti negli ultimi anni. Altro che pensioni d'oro.

Secondo Cottarelli l'intervento sulle pensioni è giustificabile anche perché i pensionati, stando alle indagini della Banca d'Italia, "sono tra coloro che riescono più a risparmiare."

Dure le critiche dell'ex ministro del lavoro Cesare Damiano che dal suo blog denuncia: "E’ fortemente contraddittorio il fatto che, allo stesso tempo, si detassino i redditi medio-bassi dei lavoratori dipendenti e si tassino quelli medio-bassi dei pensionati. Se qualcuno pensa che 2.000 euro lordi mensili assomigliano ad una pensione d’oro, è  fuori dalla realtà. “In questo modo, da una parte si sostengono i consumi mentre, dall’altra, si deprimono: sarebbe assurdo e non crediamo che il Governo voglia manovre economiche a somma zero. Inoltre, i pensionati non trarranno alcun beneficio dalla manovra e avrebbero un doppio svantaggio. Per questo chiediamo che l’Esecutivo apra un tavolo di confronto con i sindacati per affrontare il tema della indicizzazione delle pensioni. Infine si dovrebbe affrontare, nell’ambito del lavoro autonomo, il tema delle partite IVA autentiche agevolando questi lavoratori, in molti casi giovani, attraverso la fissazione dell’aliquota dei contributi previdenziali al 24%, come nel caso del lavoro autonomo. La manovra può essere completata con queste correzioni che rafforzerebbero il suo carattere di equità".

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